Ancora cinema italiano: “Adagio” il ritorno di Stefano Sollima

di Laura Baldelli

Un grande ritorno al cinema italiano di Sollima, completando la sua trilogia su Roma criminale, dopo Romanzo criminale – la serie e Suburra, ed ora il nuovo film Adagio: un noir, un action-crime di straordinaria intensità, 127 minuti di rapimento di vero cinema per immagini.

Meritava più attenzione alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia questo lavoro che Sollima ha dedicato al padre Sergio, anche lui regista e sceneggiatore, scomparso poco prima.

Un ritorno perché il regista ha lavorato con successo nei USA, ma il suo stile non è stato contagiato dall’action di Hollywood, anzi la sceneggiatura intimista ci porta dentro “un viaggio al termine della notte” alla Celine, tra ellissi ed iperboli dove ogni innocenza è perduta, accompagnata da un registro linguistico argotico-gergale, sullo sfondo di una Roma anti-cartolina, cinematograficamente mai vista, distopica ma anche riconoscibile nella drammatica viabilità delle tangenziali con gente sempre in movimento, flagellata dal caldo infernale, incendi e black-out.

Sollima conclude la trilogia in cerca di redenzione, dove i vecchi criminali, mimetizzati ed anonimi in attesa della morte, hanno comunque consapevolezza di sé e del crimine, mentre oggi tra falsi piaceri indotti, ambiguità sessuali, fasulle libertà, modelli di vita iperconsumisti e trash, si è perso il confine tra il vero e il falso; è la metafora di un’epoca senza valori feroce e caotica che calpesta ogni tipo di relazioni: un viaggio apocalittico nei sentimenti.

Il montaggio di Matthew Newman dà un ritmo alla grammatica dell’azione della storia, ma rende anche sempre presente un passato mai dimenticato, dove la fotografia dark, senza alcun ammiccamento, di Paolo Carnera valorizza le scenografie realiste di Paki Meduri e la colonna sonora dei Subsonica, premiati a Venezia, commenta il dramma tra declino e riscatto. La scena iniziale del film ha le parole del brano Take3, il genere trap del rapper Shiva, che sottolinea il dramma attualissimo dei giovani di oggi, suggestionati da musica cialtrona, che addirittura influenza, nel totale vuoto educativo, i comportamenti verso stili di vita, di cui ci accorgiamo solo quando un episodio di cronaca nera ce li sbatte in faccia; mentre il finale è affidato a Tutto il resto è noia di Franco Califano, assolutamente perfetto. Dovremmo riflettere sui modelli di svago diffusi soprattutto tra le nuove generazioni che hanno riempito purtroppo il vuoto di valori della società liquida.

In tutto il film c’è solo una donna, “la moglie di…”, è una storia di uomini-padri nelle superbe interpretazioni di Pier Francesco Favino, Valerio Mastandrea, Tony Servillo, attori italiani di straordinaria intensità, ma la vera sorpresa è Adriano Giannini che ci regala un personaggio che non ci piace, un corrotto senza scrupoli per far vivere meglio i propri figli, fregandosene di quelli degli altri; ma il confine è labile tra il figlio del poliziotto e quello del criminale, perché i pervasivi stili di vita corrotti contagiano tutti.

Il giovane protagonista, dove tutti gli protagonisti ruotano, è l’esordiente Gianmarco Franchini, anche lui premiato a Venezia come nuovo talento, che vicino ai grandissimi, sostiene un’interpretazione formidabile di un adolescente di oggi in una giungla di adulti predatori. Nel cast ci sono anche i bravi Francesco Di Leva, Lorenzo Adorni e Silvia Salvatori.

Adagio è il passo lento dei tre protagonisti-criminali, quasi letargici, giunti al fine vita, ma anche protagonisti di colpi di teatro davvero imprevedibili, in un racconto per immagini tra declino e riscatto, che crea una sinfonia visiva da grande cinema, in un genere thriller-poliziesco dove si rubano la parte tra buoni e cattivi, sparigliando il finale.

Siamo lontani dai luoghi comuni portati sullo schermo dal cinema industriale made in USA e la produzione vede in campo lo stesso regista.

Adagio è un film sfuggente e sporco, sfacciato e complesso, costruito con creatività da una sceneggiatura e regia da cult movie, che ne fanno un film epico che ti rimane dentro, e rifletti sull’apocalisse dei sentimenti di questo nostro Paese.

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