di Ascanio Bernardeschi, della redazione e del Centro Studi “Domenico Losurdo”
Il Mes è un tassello del disegno europeo di affermazione del dominio del capitale sulla politica. Il governo di destra abbandona le promesse sovraniste e cerca di negoziare qualche briciola. L’opposizione di “sinistra” evita di occupare lo spazio di una critica alle devastanti politiche sociali dell’Unione Europea perché è più realista del re. Spetta ai comunisti indicare una diversa strada.
L’economista Emiliano Brancaccio ebbe a dichiarare che con il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) siamo di fronte a un disegno di rilancio del dominio del capitale sulla politica. Io più che di rilancio parlerei di accelerazione, perché dall’istituzione dell’Unione Europea (Ue) in poi, fin dal contenuto dei trattati istitutivi, il leitmotiv è stato proprio la sottomissione della politica ai voleri del capitale, fino a stravolgere la stessa democrazia liberale, figuriamoci il compromesso sociale contenuto nella nostra Costituzione.
Per motivare questa affermazione vediamo di che si tratta.
Il Mes, detto anche fondo salva-Stati, non è solo un meccanismo ma un vero e proprio soggetto istituito dall’Ue in sostituzione del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (Fesf) che venne varato nel 2010 per fare fronte ai dissesti finanziari conseguenti alla grande crisi mondiale del capitalismo del 2007-8 e che oggi è rimasto in piedi solo per portare a termine le operazioni già avviate nei confronti di alcuni Stati (Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia). Quindi non è l’Ue, per quanto anch’essa fondata su basi ademocratiche, a gestire il meccanismo ma una istituzione apposita che si regge su basi ancor meno rappresentative. Ha per scopo dichiarato quello di garantire la stabilità finanziaria della zona euro – quindi possono accedervi solo i paesi che hanno adottato l’euro – e ha sede in Lussemburgo. È gestito dal Consiglio dei governatori, formato dai ministri finanziari dell’area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale. Vi partecipano come osservatori senza diritto di voto il commissario Ue agli affari economico-monetari e il presidente della Banca Centrale Europea (Bce).
Esso opera attraverso “aiuti” ai paesi in difficoltà che consistono in prestiti (sottoscrizione di titoli del debito degli Stati) e mai in trasferimenti a fondo perduto.
Il capitale complessivo è di 702 miliardi, di cui oltre 80 già conferiti degli Stati membri.
Gli 80 miliardi di partecipazione sono stati ripartiti fra gli Stati in proporzione alle rispettive quote di partecipazione alla Bce le quali tengono di conto sia delle rispettive dimensioni demografiche che del Prodotto interno Lordo (Pil). Anche il diritto di voto è in proporzione alle rispettive partecipazioni. L’Italia, per esempio, ha sottoscritto il 125,3 miliardi e ne ha già versati oltre 14 (17,8% del capitale complessivamente versato) e quindi il suo voto vale il 17,8%.
Il Mes di norma opera all’unanimità ma il requisito richiesto nei casi di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro, e a seguito di richiesta di intervento urgente da parte della Commissione Europea e della Bce, si limita a una maggioranza qualificata dell’85 per cento del capitale. Germania, Francia e Italia, che detengono ciascuna partecipazioni superiori al 15% (27%, la Germania, 20,3 la Francia e 17,8 l’Italia) hanno nella sostanza il diritto di veto.
Nel caso vengano richiamati (“con breve preavviso”!) ulteriori versamenti del capitale sottoscritto lo Stato inadempiente perde il diritto di voto finché non salda il debito.
Il Mes può emettere obbligazioni da collocare sul mercato. Poiché tali titoli saranno assistiti dalla garanzia dei paesi dell’area euro, ciascuno in proporzione alle proprie quote di partecipazione al capitale, si presuppone che saranno ben considerati dai “mercati” e quindi collocabili a tasso di interesse contenuto, consentendo così di effettuare prestiti agli Stati in difficoltà a condizioni migliori di quelle che essi stessi avrebbero potuto spuntare sul mercato.
Tutto bene quindi? Vediamo l’altra faccia della medaglia.
Il Mes è un organismo di diritto pubblico ma gestito con criteri privatistici, con il diritto di voto proporzionato al capitale, come nelle Società per Azioni, e con la selezione dei prestiti in base alla solvibilità del debitore. Lo conferma l’ex governatore Ignazio Visco il quale ha affermato: “come per qualsiasi prestatore, non avrebbe senso erogare credito a chi ha un debito che non è considerato sostenibile, visto che si tratterebbe di un trasferimento a fondo perduto”. Pertanto i prestiti del Mes “erano e restano doverosamente rigorosi”. È stato messo in piedi quindi un organismo di carattere privatistico ma finanziato con soldi pubblici.
Mark Twain ebbe a dire che le banche sono come coloro che ti prestano l’ombrello solo quando non piove e lo rivogliono indietro quando piove. In questo il Mes non si distingue dalle banche, è una superbanca, che finirà di rifarsi sul tracollo dei debitori, cioè dei Paesi più deboli che accedono ai suoi finanziamenti. Infatti i paesi “beneficiari” vengono distinti in buoni e cattivi e il relativo trattamento dipende dalla rispettiva collocazione.
I buoni sono gli Stati che chiedono il sostegno per shock temporanei, ma hanno i fondamentali in regola e in particolare un debito pubblico inferiore al 60% del Pil e il rispetto del patto di stabilità. A loro viene fornita una “assistenza finanziaria precauzionale”, e l’unica condizione è che il beneficiario presenti una generica “lettera di intenti”. È presumibile che difficilmente tali Stati abbiano necessità di ricorrere agli aiuti. Probabilmente non pioverà.
Ai cattivi, cioè a quelli che dovono affrontare la pioggia, i quali è molto più probabile che abbiano avere necessità di ricorrervi – l’Italia rientra fra questi – il prestito viene concesso “a condizioni rafforzate” dettate da un memorandum (art. 13) da stilare con i criteri stabiliti dal Mes e della Commissione Europea che preveda un programma di correzioni macroeconomiche e il “rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” (art. 12). Il memorandum d’intesa viene siglato senza l’obbligo di ratifica da parte dello Stato membro. La politica viene quindi espropriata dal capitale. In buona sostanza lo Stato che avesse necessità di ricorrervi sarebbe commissariato e gli verrebbero imposte scelte di politica economica, cioè le consuete direttive e “riforme strutturali”, leggasi taglio alla spesa pubblica, in particolare alle pensioni, privatizzazioni, flessibilizzazione delle leggi sul lavoro, allo scopo dichiarato di rendere nuovamente sostenibili i conti pubblici e a quello non dichiarato di sostenere i profitti e la “competitività” attraverso l’abbattimento del costo del lavoro e in generale delle condizioni di vita dei lavoratori. Era prevista originariamente anche la ricapitalizzazione delle banche ritenute poco solvibili (cioè il sistema bancario dei paesi deboli poteva essere acquisito dalle banche dei paesi forti).
Visto l’esiguo potere contrattuale dello Stato che ricorre all’assistenza, le condizioni del memorandum sono decise dalla Troika, anzi in questo caso da una tetrarchia, perché alla Troika (Commissione europea, Bce e Fondo Monetario Internazionale) si aggiungerebbe il Mes. Attualmente i Paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60% sono: Grecia, Italia, Portogallo, Belgio, Cipro, Francia, Spagna, Austria, Slovenia e Irlanda.
Nonostante il carattere sostanzialmente privatistico, la veste formale pubblica del Mes ha consentito una sorta di immunità sia del suo patrimonio, ovunque si trovi e chiunque lo detenga, che di tutti i suoi membri, non soggetti a procedimenti legali penali, civili e amministrativi in relazione al loro comportamento nell’esercizio delle proprie funzioni, sia infine dei loro atti e documenti ufficiali. Una banca sostanzialmente privata ma che non risponde alla legge è il massimo della creatività giuridica dell’Ue. Come ha sostenuto il Prof. Paolo Maddalena, giudice costituzionale emerito, “eliminato questo cardine (della punibilità, nda), i poteri forti faranno in modo che essi siano al di sopra del Diritto, siano effettivamente ‘Sovrani’”, distruggendo la sovranità degli Stati.
Ciascuno Stato mantiene invece l’obbligo “irrevocabile e incondizionato” (art. 8, c. 4) di contribuire al capitale autorizzato, anche se, essendo già in difficoltà, diviene beneficiario o riceve assistenza finanziaria dal Mes. In caso di mancato pagamento non potrà esercitare i propri diritti di voto fino a quando non avrà adempiuto al saldo.
In sostanza per avere diritto a un prestito a condizioni leggermente migliori di quelle di mercato occorre: sottoscrivere il capitale del Mes, versare le quote quando richiamate, offrire le garanzie e accettare severissimi steccati alla politica economica.
Per questi motivi l’adesione dell’Italia al Mes è stato un atto di autolesionismo. I fautori di questa scelta si difesero sostenendo che aderire non avrebbe significato ricorrervi ma deve essere considerato che aderire senza usufruirne è doppiamente autolesionistico perché restano a carico gli oneri pur non essendoci l’intenzione di accedere ai finanziamenti.
Non solo. Il capitale sottoscritto e versato peggiora il bilancio e quello non versato figura come un debito verso il Mes e quindi aumenta la posizione debitoria del Paese che di conseguenza viene considerata dai creditori più rischiosa. Pertanto il collocamento dei titoli di Stato nel mercato diventerà più oneroso anche senza avere chiesto l’aiuto. Se invece lo si chiede abbiamo di fronte lo scenario greco. Come ricorderà il lettore, la Grecia, nonostante il No del referendum popolare, si fece prestare 326 miliardi al costo di riforme socio-economiche (aumento dell’Iva, riforma delle pensioni, nuove leggi sul lavoro e incremento delle imposte indirette) che cacciarono quel paese in una profonda povertà.
Ormai è chiaro che l’obiettivo dell’attuale sistema economico predatorio neoliberista e dell’imperialismo europeo, vassallo degli Usa è l’annichilimento della forza della classe lavoratrice, lo smantellamento del “patrimonio pubblico” e la “privatizzazione” di tutti gli aspetti della vita, la loro sussunzione sotto il dominio del capitale. Da qui la stessa messa in soffitta del compromesso keynesiano e del compromesso della nostra Costituzione che in parte vi si ispira. Tutto deve essere subordinato alle esigenze dell’accumulazione capitalistica. Le regole europee tutelano la concorrenza, proibiscono l’intervento dello Stato nell’economia, salvo quando si tratta di avvantaggiare il profitto, non pongono paletti alla speculazione, lasciando i capitali liberi di vagare incontrollati fra le nazioni. Tutto questo nonostante le crisi ricorrenti e sempre più gravi mostrino tutti i limiti del capitale e il suo carattere distruttivo.
Il Mes in definitiva non è che un ulteriore tassello del disegno reazionario dell’Unione Europea la quale mette in discussione la stessa democrazia e non a caso vede l’affermazione della peggiore destra in molti Stati membri.
Evitiamo di addentrarci nelle procedure previste per attivare i prestiti, che prevedono l’intervento della Commissione Europea, per passare al dibattito e alle polemiche di questi giorni.
Come ho scritto sopra l’Italia è già dentro il Mes. Tuttavia è l’unico paese che non ha ratificato la sua recente riforma che prevede soprattutto una sorta di rete di protezione delle banche. Il sistema bancario era già dotato di un Fondo di Risoluzione per le crisi degli istituti di credito finanziato dalle banche stesse. Il Mes riformato vi aggiunge proprie garanzie per ovviare ad eventuali insufficienze del primo. Un’altra clausola della riforma prevede che per accedere al finanziamento occorre che lo Stato destinatario ristrutturi preventivamente il debito pubblico (una sorta di concordato preventivo non pattuito con i creditori, il che può avere conseguenze gravi per il sistema delle imprese e per i risparmiatori. Quindi la novità essenziale si sostanzia in un paracadute per quelle banche che rischiano di precipitare, e che vedranno invece salire il valore delle loro azioni, e in più pesanti imposizioni ai paesi che necessitano di aiuto. Necessità che per lo più è una conseguenza delle regole di Maastricht le quali hanno amplificato la forbice delle disuguaglianze fra nazioni e impedito loro un’autonoma politica monetaria e fiscale.
In Italia la Camera e il Senato, con una risoluzione del giugno 2019, invitarono il governo gialloverde (Conte 1) a non approvare modifiche che penalizzino gli Stati membri più deboli e di sospendere ogni decisione fino al pronunciamento in merito del Parlamento. Fu una decisione opportuna perché anche questa revisione si inserisce nel processo di smantellamento dei poteri dello Stato in ambito economico avviato con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht. Fu l’ex Governatore della Banca d’Italia Guido Carli ad affermare in un colloquio riservato che i nostri politici non avevano compreso che, sottoscrivendo quel patto, accettavano la trasformazione profonda della natura dello Stato il quale si sarebbe ridotto ai minimi termini, cosa che all’ex Governatore della Banca d’Italia non dispiaceva affatto.
Occorre considerare anche il contesto in cui si inserisce questo meccanismo. La nostra economia si sta riconvertendo in economia di guerra. Nonostante la lezione da trarre dalla pandemia, la spesa militare ha superato quella per la sanità. Gli aiuti all’Ucraina, da cui si stanno defilando gli Usa ma che il nostro Governo pare voler continuare, stanno incidendo significativamente sul nostro bilancio. Nel calcolo dei parametri previsti dalle regole europee sembra che non verranno conteggiate le spese per sostenere questa guerra ma, al di là dei trucchi contabili, il debito effettivo salirà. Anche gli assurdi rialzi dei tassi decisi dalla Bce contribuiranno a rendere meno sostenibile il debito. La nostra solvibilità ne patirà le conseguenze e i mercati potranno speculare su questa situazione il cui peggioramento potrebbe divenire un buon pretesto per accedere al Mes. In tal caso, per sostenere la guerra, ci consegneremo al grande capitale finanziario e perderemo ogni capacità di politica fiscale autonoma.
Giorgia Meloni ha affermato che sul Mes “non ha cambiato idea” e che intende affrontare il tema nel quadro più ampio dell’esame delle “regole della governance europea”. Il Mes è quindi per lei “una micro-questione nel tema complessivo che stiamo trattando”. In sostanza pare che voglia attingersi a ratificare la riforma per ottenere la contropartita di qualche cambiamento delle regole europee. Avendo mietuto consensi sulla base di una posizione sovranista, si trova ora a mendicare briciole, dato che i fili delle decisioni politiche fondamentali non risiedono a Roma.
Le banche europee stanno conseguendo profitti enormi. Il nostro governo aveva promesso di tassarli ma poi se n’è guardato bene. Il Mes riformato servirà invece a far fare un nuovo balzo alle quotazioni azionarie di queste banche, messe al sicuro dalle garanzie pubbliche. Tuttavia in questi giorni il governo cela questa evidenza e storna l’attenzione sulla riforma del “Patto di stabilità”, questione di grande rilievo ma che non può essere affrontata con dei do ut des.
Ma che dire della sinistra di regime e del suo assoluto silenzio? Essa ha fatto molto clamore, con azioni plateali, sulla questione del reddito di cittadinanza, elevando barricate a difesa di una proposta per la verità del tutto insufficiente, ma manca di una qualsiasi visione critica delle politiche europee. La sua insensata fedeltà all’Ue e alla Nato le fa avere le traveggole e le critiche al governo riguardano tutt’al più la sua indecisione. Si accusa la destra non perché si oppone troppo blandamente (e ipocritamente) alle politiche europee, ma perché non è abbastanza europeista. Ancora una volta lascia alle destre lo spazio della critica alle politiche economiche e sociali dell’Ue.
Se questa è la sinistra (?) di governo, i comunisti debbono avere chiara la natura di questa Europa e i danni provocati alla classe lavoratrice e al Paese dal trattato di Maastricht in poi. Dovranno fare uno sforzo per far conoscere ai lavoratori, ai disoccupati, ai pensionati, agli studenti, ai ricercatori, a chi ha bisogno di cure pubbliche il nesso esistente fra le guerre in atto, le devastazioni sociali e le politiche dell’Ue.
Immagine: Ank Kumar, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons