di Leonardo Locci
È necessario che le forze che si oppongono alla prospettiva di barbarie e disumanità che i poteri forti vogliono imporre alla società si impegnino in lotte per la tutela della salute pubblica e per la difesa del sistema sanitario nazionale ormai in smantellamento.
Il quadro della situazione del Servizio Sanitario Nazionale è drammatico e tende al peggio. I numeri parlano chiaro: tra il 2010 e il 2020 sono stati chiusi 111 ospedali, 113 Pronto Soccorso, 85 unità mobili di rianimazione; sono stati cancellati 37.000 posti letto e il Ssn è stato definanziato di 37 miliardi di euro. In compenso i posti letto nelle strutture sanitarie private sono aumentati di 1.747 unità (fonte Cimo-Fesmed).
Dal 2010 al 2019 tutti i governi succedutisi hanno gareggiato nei tagli alla sanità: dal 2010 al 2015 i governi Berlusconi IV, Monti, Letta e Renzi hanno tagliato 25 miliardi di euro; dal 2015 al 2019 i governi Renzi, Gentiloni e Conte 1 hanno tagliato 12 miliardi di euro.
A livello nazionale la Corte dei Conti ha rilevato la carenza di personale infermieristico pari a 65.000 unità e il numero chiuso nell’anno 2023 ha impedito le iscrizioni a 3.000 candidati e nell’anno 2022 a 6.000 candidati (fonte FpCgil).
Il problema delle liste di attesa è tale che oltre 4 milioni di cittadini rinunciano alle cure perché non possono attendere i lunghi tempi di attesa o non in grado di sostenere le tariffe delle strutture sanitarie private (fonte Istat).
La situazione attuale è il frutto di oltre 30 anni di politiche di tagli operati da tutti i governi succedutisi fino ad ora. Le origini di questo disastro sanitario risalgono al Decreto Legislativo 502 del 1992, emanato dal governo Amato nel periodo in cui si stavano approntando gli accordi di Maastricht che ponevano le condizioni per l’ingresso nell’Europa dell’euro: rapporto deficit-Pil entro il 3% e rapporto debito-PIL entro il 60%. Fu nel rispetto di tali vincoli di bilancio che si decise di inserire in una logica di mercato il Ssn che dal 1978, con la legge 833, era articolato in Usl (Unità Sanitarie Locali) ad accesso universalistico. Infatti, con il D.Lgs. 502/92 le strutture sanitarie cambiarono denominazione passando alle Asl (Aziende Sanitarie Locali) introducendo il criterio gestionale aziendalistico manageriale e le prestazioni a pagamento con la “libera professione” dei medici. Il successivo Dpcm (Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri) del 27 marzo 2000, articolo 5, comma 3, stabilì che nelle strutture sanitarie pubbliche fossero destinati spazi per l’esercizio della intramoenia tra il 10% e il 20% degli spazi destinati alle prestazioni “istituzionali” (a ticket) e che i posti letto destinati all’Alpi (attività Libero Professionale Intramuraria) fossero tra il 5% e il 10% del totale della struttura ospedaliera.
I primi anni ’90 furono quelli in cui si poneva come urgente il risanamento dei conti per potere fare parte della moneta unica attraverso il taglio alla spesa sociale, di cui il capitolo sanità era tra i principali su cui “risanare”, e la svendita delle aziende di stato ai privati. La vulgata era che i sacrifici necessari sarebbero stati compensati dai vantaggi di cui avrebbero beneficiato tutti i popoli dei Paesi facenti parte dell’Euro. La storia successiva ci ha dimostrato che così non è stato perché i tagli alla spesa sociale e le privatizzazioni sono servite, finanziaria dopo finanziaria, solo a fare aumentare il debito pubblico e a mettere in mano ai monopoli privati la politica delle tariffe, sempre più onerose, dei servizi erogati.
La politica di privatizzazione del servizio sanitario erogato all’interno degli ospedali pubblici attraverso la intramoenia ha violato le stesse regole a suo tempo stabilite dal legislatore che prevedevano: 1) per il medico la scelta di rapporto di dipendenza esclusivo con il Ssn e il vincolo di numero di prestazioni sanitarie erogate in “libera professione” che non avrebbero dovuto superare il numero delle prestazioni “istituzionali”, a ticket nei casi previsti; 2) che i servizi erogati in “libera professione” non avrebbero dovuto essere di ostacolo allo smaltimento delle liste di attesa delle prestazioni a ticket; 3) che i tempi di attesa nelle liste a ticket avrebbero dovuto essere uguali a quelli delle liste nella “libera professione” per garantire al paziente una effettiva libera scelta.
La realtà di oggi è costituita da liste di attesa bloccate anche per diversi mesi per saturazione delle prenotazioni, di fronte alla quale il paziente che ha urgenze da rispettare è costretto alle prestazioni in ALPI, nel caso in cui possa permetterselo economicamente. La vessazione del paziente avviene allo stesso sportello di prenotazione delle prestazioni sanitarie Cup in cui viene offerta la possibilità di tempi più celeri con le prestazioni in “libera professione”. Oltre a questo tipo di vessazione, il blocco o le lungaggini delle prenotazioni a ticket costringono migliaia di pazienti alla migrazione in altra regione per potersi curare. Il dato aggiornato al 2020, sicuramente peggiorato nel mentre, è di 351.000 persone che hanno dovuto spostarsi di regione per potersi curare (fonte Cittadinanzattiva).
La volontà politica demolitoria del Ssn è confermata anche dal Pnrr. Infatti, basta confrontare la spesa sanitaria nazionale stanziata nel 2018 pari all’8,8% del PIL con il 6,2% del PIL previsto per il 2025. E la scelta di favorire il settore privato è confermata dalla legge di bilancio 2024, all’articolo 46, che stanzia per le strutture sanitarie private 123 milioni di euro per il 2024, 368 milioni di euro per il 2025 e ben 490 milioni per il 2026. È da notare che le strutture sanitarie private, oltre a queste regalie con soldi pubblici, non sono vincolate ad alcun di tetto di spesa, potendo quindi potenziare strutture e organici, tetto di spesa invece vigente per le strutture sanitarie pubbliche che devono rispettare il limite stabilito nell’anno 2004 ridotto dell’1,4%.
Secondo la Federazione Cimo-Fesmed a dicembre 2022 c’era una carenza complessiva di medici di oltre 20.000 unità, di cui 10.000 nei reparti ospedalieri, 4.200 nei Pronto Soccorso e 6.000 tra il personale di medicina generale.
Le criticità croniche della sanità pubblica hanno determinato condizioni di lavoro insopportabili per il personale sanitario che a fronte di un orario settimanale teorico di 38 ore, frequentemente è costretto a lavorarne 60-70 per sopperire al sottorganico, rinunciando a riposi e ferie. Conseguenza di tali turni disumani è il fenomeno della fuga di medici e infermieri dal Ssn per passare alle “partite iva” iscritte alle cooperative o a impieghi all’estero. Secondo Anaao Assomed tra il 2019 e il 2021 dal registro Onaosi, a cui sono iscritti i dipendenti del Ssn, si desume che si sono dimessi volontariamente circa 8.000 medici.
Inoltre, le carenze di personale nel Ssn hanno dato origine al fenomeno speculativo delle “cooperative” e “società di servizi” che sta collassando ulteriormente la sanità, sia in termini di qualità del servizio che finanziari. La loro funzione è quella della intermediazione nella fornitura di personale sanitario, medico e infermieristico, per sopperire ai turni scoperti nei Pronto Soccorso e nei reparti ospedalieri. È personale sanitario definito “gettonista” che si sposta da un ospedale all’altro, anche tra diverse regioni, nella consapevolezza di erogare un servizio di scadente qualità perché non affiatato nelle equipe dei reparti degli ospedali in cui è richiesto il loro intervento, essendo in un continuo pellegrinaggio stabilito dalla cooperativa di appartenenza che lo smista a seconda delle domande. Tuttavia, le prestazioni di scadente qualità dei gettonisti sono compensate da retribuzioni scandalose arrivando a costare 1.200-1300 euro per 12 ore di turno.
Questa perversa speculazione è nota e favorita dal governo che mette a disposizione la piattaforma informatica Mepa (Mercato Elettronico Pubblica Amministrazione) predisposta per fare incontrare domanda e offerta del personale gettonista e consentendo la elusione dei tetti di spesa delle strutture ospedaliere facendo figurare i costi dei “gettonisti” alla voce “beni e servizi” dei bilanci, anziché alla voce “costo del personale” che è sottoposto a vincolo.
È interessante l’analisi dei costi del fenomeno “gettonisti” effettuata dalla Corte dei Conti regionale Piemonte il 28 febbraio 2023 in cui è stato evidenziato che a livello regionale nel 2022 si sono spesi quasi 49 milioni di euro con un incremento rispetto al 2020 del 130%. È un dato che fa emergere le gravi responsabilità della Regione sul fenomeno delle esternalizzazioni attraverso i “gettonisti” il cui ricorso potrebbe essere evitato inserendo nei reparti ospedalieri gli “specializzandi” arrivati al 3° anno di specializzazione. Sarebbe una boccata di ossigeno per i 34 Pronto Soccorso del Piemonte, di cui oltre la metà ricorre ai gettonisti, in cui su una necessità di organico complessivo di 640 medici ne mancano 300 (fonte Anaao Assomed).
Sarebbe di competenza della Regione destinare in modo più proficuo le risorse che attualmente sperpera con la privatizzazione attraverso le esternalizzazioni dei “gettonisti”, finanziando borse di studio per i corsi di specializzazione medica e infermieristica, oltre alla rimozione del numero chiuso alle iscrizioni dei corsi di laurea.
Contrastare la politica di mercificazione della salute attuata a colpi di privatizzazioni ed esternalizzazioni dei servizi sanitari e ripristinare l’accesso universalistico alla cura della salute, è un percorso che deve necessariamente cominciare col:
- dirottare tutte le risorse economiche oggi destinate alle strutture sanitarie private e convenzionate a quelle pubbliche;
- rimuovere l’anacronistico “numero chiuso” alle iscrizioni dei corsi di laurea sia alle facoltà di medicina che di infermieristica;
- dirottare le risorse attualmente sperperate per personale “gettonista” delle cooperative per finanziare, ad opera della Regione, borse di studio per corsi di medicina e infermieristica;
- sopperire al sotto organico del personale sanitario inserendo nei reparti gli specializzandi arrivati al 3° anno;
- parificare i tempi di attesa delle prenotazioni in intramoenia di “libera professione” ai tempi di attesa delle prenotazioni per prestazioni sanitarie a ticket, affinché il paziente sia di fronte ad una effettiva libera scelta.
Sono soluzioni realistiche e realizzabili se ci fosse una volontà politica che ponesse come prioritario la tutela della salute pubblica anziché lo sviluppo delle strutture sanitarie private. È questo l’impegno che dovranno assumersi le organizzazioni politiche che si oppongono alla prospettiva di barbarie e disumanità che i poteri forti vogliono imporre alla società.
In questa direzione dovranno spendere le proprie energie ed intelligenze le forze politiche che aspirano ad una società di giustizia e uguaglianza.
Immagine: Sbragagia, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons
Lascia un commento