di Vladimiro Merlin, responsabile Lavoro del Movimento per la Rinascita Comunista
La demagogia che Meloni e Salvini hanno utilizzato a piene mani per ottenere il consenso di settori di lavoratori e di ceti popolari fino alle ultime elezioni è completamente contraddetta dalle misure che il loro governo sta attuando.
Coscienti di questa situazione, i due esponenti della destra tentano di nascondere la realtà con un utilizzo spregiudicato dei media che sono, in tutta evidenza, collaterali al governo.
In particolare le televisioni, sia quella pubblica che quelle private, fanno di tutto per gonfiare dati fasulli per cercare di avallare l’immagine del “buon operato del governo”.
Nei giorni scorsi il parlamentare Donzelli di FdI, in un servizio di un Tg Rai, è arrivato ad affermare che “questo governo ha praticamente cancellato la disoccupazione in Italia”, e l’affermazione è passata senza alcun commento giornalistico, come se fosse un dato di fatto. Considerate che a ottobre 2023 il tasso di disoccupazione (misurato dall’Istat) era al 7,8%, senza contare il fatto che tra la popolazione inattiva, quella cioè che non cerca lavoro, vi sono molti disoccupati mascherati che per vari motivi hanno rinunciato a cercare lavoro, almeno ufficialmente, o che non lo hanno fatto nella settimana di riferimento della rilevazione.
Inoltre bisogna sapere che il criterio che usa l’Istat per contare gli occupati è che sono tali tutti coloro che lavorano almeno per un’ora nella settimana di riferimento per la valutazione.
È chiaro che con un criterio di questo tipo una massa di lavoratori che lavora anche pochi giorni in un anno finisce per gonfiare il valore degli “occupati” e ridurre la cifra dei disoccupati.
Ho citato questo esempio, fra i tanti che si potrebbero fare, per dimostrare che ancora la destra non rinuncia all’uso sfrenato della demagogia ma, essendo al governo, è costretta a fare degli atti concreti, e quelli che ha fatto sino ad ora hanno completamente smentito quanto ha sempre affermato, e in particolare quanto promesso nella campagna elettorale del 2022.
Quando erano all’opposizione (ma nel caso di Salvini anche quando era al governo) le destre hanno sempre fatto proclami presentandosi, a parole, come difensori dei lavoratori, dell’italianità delle aziende pubbliche, per la tassazione dei sovrapprofitti delle banche ecc.
Questo primo anno del governo Meloni ha visto l’esplosione di un’inflazione enorme che non si vedeva da decenni, che è stata più elevata sui generi di prima necessità, gli alimentari, il riscaldamento e l’energia, la benzina ecc.
I provvedimenti presi dal governo sono stati puramente simbolici, dei bonus che non hanno inciso per nulla sulle difficoltà di moltissime famiglie ad arrivare alla fine del mese, fatti più per “salvare la faccia” e alimentare una propaganda spudorata quanto fasulla che per dare un reale aiuto a chi era più in difficoltà.
Tanto più che nello stesso momento hanno abolito il reddito di cittadinanza, che per le famiglie in condizioni più precarie ha rappresentato un’ancora di salvezza, per il breve periodo in cui è stato in vigore.
È stato abolito con la scusa che vi erano state truffe, ma quante truffe si sono verificate, da decenni in qua, ad opera delle imprese sui vari finanziamenti ricevuti dallo Stato? Perché allora, con lo stesso criterio, non si aboliscono i finanziamenti pubblici alle imprese private?
La retromarcia più clamorosa, di questo governo è stata quella sulla tanto strombazzata tassazione degli extraprofitti delle banche e dei colossi energetici che, peraltro, è sempre stata una proposta demagogica di Fratelli d’Italia quando era all’opposizione.
Gli extraprofitti sono stati enormi e nessuno li ha negati, quelli delle banche sono stati realizzati con la speculazione sui mutui e sui prestiti in rapporto agli interessi attivi pressoché nulli che vengono dati ai risparmiatori, ma il risultato della misura prima è stato ridotto e poi è diventato zero, con una completa retromarcia di Meloni, e non vi è stata nessuna tassazione degli extraprofitti bancari.
Lo stesso vale per i colossi energetici che con la scusa (falsa) della guerra in Ucraina hanno alzato enormemente i costi dei carburanti e dell’energia (gas, luce) realizzando profitti speculativi enormi che non si vedevano da diversi anni, che sono pubblici e dimostrabili ma che non sono stati né tassati dal governo né calmierati in quanto aumenti non giustificati (nell’entità che si è verificata).
Neppure, Meloni, è intervenuta mettendo in pratica una delle tante sue promesse: la riduzione (se non l’abolizione) delle accise sui carburanti, anzi ha riprostinato quelle che erano state sospese dal governo precedente.
Ma guardiamo un attimo anche a Salvini, che da ministro anti-immigrati e anti-Ong è riuscito, ora, a qualificarsi anche come ministro antisciopero, con un utilizzo della precettazione che oltre a una sfacciata strumentalità a fini elettorali, mette in luce anche la sua cultura autoritaria e fascistoide.
Niente male per un personaggio che nel 1997 si presentò come capolista dei “comunisti padani” nella farsesca elezione del cosiddetto “Parlamento Padano”, nel tentativo della Lega di allora di catturare consensi tanto nell’estrema destra quanto nella sinistra; in quel periodo Salvini si presentava anche come un frequentatore del Centro Sociale Leoncavallo e difendeva, a parole, la funzione sociale e aggregativa dei giovani svolta dai centri sociali, quegli stessi centri sociali che alcuni anni dopo si proponeva di “spianare” con le ruspe.
Questa lezione di opportunismo senza limiti, finalizzato sempre e solo alla propria affermazione personale, il giovane Salvini di allora l’ha assimilata bene, infatti pochi anni dopo, diventato leader della Lega, apriva le porte all’estrema destra, da Casapound (che occupa da decenni uno stabile del centro di Roma che però Salvini non vuole spianare con la ruspa) ai neonazisti di Lealtà e Azione.
O, più recentemente, ai suoi amici neonazisti dell’Afd, o agli olandesi di estrema destra di Wilders da sempre dichiaratamente anti-italiani.
La sua scelta di un uso, finora mai visto, delle precettazioni nasce anche dalla valutazione opportunistica che gli utenti dei servizi sono molti di più dei lavoratori dei trasporti e questo può essere utile in vista delle prossime elezioni europee.
È lo stesso film che abbiamo visto per alcuni anni del Salvini “difensore degli operai” sul tema delle pensioni, in particolare contro la legge Fornero, che lui sapeva, dai sondaggi e dalle rilevazioni nel web del suo amico Bannion, essere odiata dai lavoratori, in particolare da chi avendo iniziato a lavorare a 14 o 15 anni e facendo lavori pesanti e pericolosi si vedeva spostata, sempre più avanti negli anni, la soglia della pensione, oltre che ridurre l’entità della pensione stessa.
Fino a che questo tema è stato utile per ottenere voti tra gli operai e i lavoratori, in particolare in Lombardia e Veneto, ma in generale anche nel resto d’Italia, Salvini ha sfruttato questo “cavallo di battaglia “salvo ora, con questo governo, e con un ministro leghista alle finanze, approntare una modifica pesantemente peggiorativa della stessa legge Fornero.
Lo scopo di questa ennesima controriforma pensionistica è sempre lo stesso: utilizzare il “bancomat” dei contributi dei lavoratori dipendenti non per pagare, come sarebbe dovuto, le loro pensioni, ma per stornare quei fondi verso altri utilizzi.
Infatti la cosiddetta “spesa” per le pensioni, una spesa per lo Stato non è.
Ancora nel 2022, se si tolgono le spese assistenziali, che devono essere coperte con la fiscalità generale (cioè pagate da tutti e non solo dai lavoratori dipendenti) e le tasse pagate dai pensionati che, essendo entrate per lo Stato, non dovrebbero assolutamente essere conteggiate come “spesa”, il rapporto tra contributi versati dagli attuali lavoratori e la reale spesa pensionistica risulta in attivo di ben 44 miliardi, che grazie al suddetto “trucco” contabile non solo non restano come accantonamento per l’Inps per pagare le future pensioni, ma spariscono completamente dai bilanci finendo utilizzati per altri scopi, a vantaggio dei soliti noti, e questa vera e propria truffa ai danni dei lavoratori dipendenti è in atto da decenni.
La pantomima del Salvini difensore dei lavoratori è arrivata al capolinea.
Vediamo, allora, alla luce del suo operato come ministro, quali sono in questo momento i referenti sociali al centro delle sue attenzioni; parliamo, ovviamente, del ponte sullo Stretto di Messina.
Un’operazione molto discussa e discutibile che molti tecnici di fama hanno definito problematica e rischiosa per vari motivi tra cui l’alta sismicità dell’area, le forti correnti e il fatto che le due coste tendono a distanziarsi tra loro nel tempo, ma, al di la di questi aspetti, che pure non andrebbero sottovalutati, ve ne sono altri più che discutibili.
Prima di tutto, l’enorme spesa: si tratta, per ora, di circa 15 miliardi di euro, diciamo per ora perché l’esperienza ci insegna che queste opere faraoniche non si chiudono mai con i costi previsti, ma lievitano sempre in modo molto consistente.
Ma ragioniamo pure sui 15 miliardi; quante opere infrastrutturali si potrebbero mettere in atto in tutta Italia con una cifra di questo genere? Sulla rete ferroviaria, per esempio, o su quella autostradale (ci ricordiamo dei ponti e dei viadotti ammalorati, emersi dopo la vicenda del ponte Morandi e ora completamente dimenticati?); con una cifra così imponente si potevano attivare molti interventi in varie parti d’Italia e, per restare alla Sicilia, migliorare la sua disastrata rete ferroviaria e autostradale.
Questo tipo di interventi avrebbe dato lavoro a molte piccole e medie imprese, mentre il ponte sullo stretto è sostanzialmente appannaggio delle grandissime imprese, quelle che già gestiscono i grandi appalti miliardari.
Anche in questo caso Salvini tradisce dei suoi “storici” referenti sociali in favore dei grandi potentati economici, cioè i piccoli e medi imprenditori, che cerca di accattivarsi sul solo terreno della protezione dell’evasione e dell’elusione fiscale.
Torniamo alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, perché non è che si sia rimangiata “solo” qualche promessa, ha fatto esattamente il contrario di quanto proclamava dall’opposizione e in campagna elettorale.
In un manifesto elettorale con il suo mezzobusto sopra, Meloni proclamava: “NO alla privatizzazione di Poste Italiane”, argomentando: “produce utili, assicura la presenza dello stato in piccoli comuni e periferie, raccoglie i risparmi degli italiani e finanzia Cassa Depositi e Prestiti” e attaccava: “il Pd vuole privatizzarla – Fratelli d’Italia dice NO”.
Quell’altro bel personaggio di Renzi aveva privatizzato circa il 35% di Poste Italiane, ma il 35% di Cdp e il 30% circa rimasto al Mef garantivano un solido controllo pubblico; ora il governo Meloni vuole vendere (svendere) ai privati la quota del Mef, perdendo il controllo pubblico che sarebbe rappresentato dal solo 35% di Cdp.
Non ripeto le argomentazioni del manifesto di Meloni, ma ne voglio aggiungere un’altra: questa privatizzazione sarebbe, come per le altre (non solo di aziende statali, ma anche di ex municipalizzate), un danno per lo Stato. Infatti, che si parli di Autostrade, di Eni o di Enel o di importanti municipalizzate (come per esempio A2A di Milano), i quattro soldi che si incassano dalla vendita delle azioni, in pochi anni, vengono cancellati dalle minori entrate derivanti dalla minore quota di utili che provenivano da queste società.
Quindi la privatizzazione di queste società pubbliche, che sono in attivo, si traduce in un grande regalo per gli investitori privati che fanno grandi profitti e non investono per migliorare i servizi (caso eclatante in questo senso è stato quello di Autostrade), e addirittura vengono messe in mano a fondi finanziari internazionali, come sta succedendo con Tim, alla faccia della difesa della sovranità nazionale, bandiera di FdI.
A proposito di sovranità ricordiamo bene – noi, non i mass media – i proclami di Meloni di opposizione contro la svendita di Alitalia (poi Ita) ai tedeschi; anche in questo caso, appena arrivata al governo ha pensato bene di svendere, per usare il suo linguaggio, Ita a Lufthansa.
Nella corsa all’accaparramento di voti tra i lavoratori e in alcune aree territoriali vale anche la pena di ricordare che FdI aveva, prima delle elezioni, ventilato la possibilità, considerata la partecipazione pubblica in Monte dei Paschi di Siena, di fare di questa banca la nuova banca pubblica nazionale, anche in questo caso l’arrivo al governo fa cambiare la musica: ora il Mef sta cercando di mettere in vendita il pacchetto di azioni dello Stato in quella banca.
Evidentemente la subalternità alla Ue e ai potentati economici, anche internazionali, vale molto di più per Meloni dei “Grandi Principi” che proclamava a gran voce prima di sedersi sulla poltrona di presidente del Consiglio.
È da notare anche che l’unico partito all’opposizione di Draghi, contro cui la loro leader, Meloni, sparava, come si suol dire, ad alzo zero, sia in Parlamento che fuori, arrivato a esprimere il presidente del Consiglio si sia trasformato nel continuatore della politica “draghiana”, anzi si è dimostrato più “draghiano” di Draghi, sia sulla subalternità totale alla Ue sia sul terreno della fedeltà atlantica e della guerra, come su quello delle privatizzazioni, e ci fermiamo qui in un elenco che, come abbiamo visto, potrebbe continuare.
C’è ancora un tema che è stato utilizzato sia da Meloni che da Salvini per costruire consenso popolare e tra settori di lavoratori, quello dell’immigrazione.
Non è una novità che le classi dominanti abbiano sempre cercato di aizzare i cosiddetti “ultimi” gli uni contro gli altri per poter continuare ad arricchirsi sulle spalle di entrambi. Questo fatto è stato per molti anni vissuto sulla propria pelle dagli emigranti italiani, sia in Europa che in America, che si trattasse dei veneti o dei lombardi che nell’800 e all’inizio del ’900 hanno dato vita a flussi migratori di cui ora si sono “scordati”, come di altri lavoratori delle altre regioni italiane.
Ma, come sappiamo, prima di diventare presidente del consiglio, Meloni su questa problematica aveva la “soluzione”, stiamo parlando del famoso “blocco navale” e della caccia agli scafisti in ogni parte del “globo terracqueo” di cui dal giorno dopo il suo insediamento si è completamente “scordata”. Soffre forse di gravi problemi di amnesia? In questo caso, dato la frequenza di queste amnesie, farebbe bene a farsi visitare da uno specialista, ma uno bravo, come si suol dire.
Forse, però, non è così, perché per far dimenticare queste sue affermazioni, tanto drastiche quanto fatue, ha estratto dal cappello il “famoso Piano Mattei” in modo da sviare l’attenzione dalle sue vecchie “soluzioni” e dare del materiale per la propaganda dei suoi fedeli mass media; anche quest’ultimo, però, si sta dimostrando, alla prova dei fatti, l’ennesima bufala demagogico-mediatica, tanto altisonante quanto inconsistente.
Chiudo velocemente su due questioni.
La prima: non dobbiamo farci ingannare dall’incapacità e dalla cialtroneria di questo governo e dei suoi componenti per pensare che non siano pericolosi. L’oltranzismo guerrafondaio che esprimono, la loro cultura profondamente antioperaia e antisindacale, la loro vena autoritaria che si incarna nel progetto di elezione diretta del premier – che sarebbe l’ultimo tassello ancora mancante per l’abbattimento completo e totale di quel poco che restava degli assetti istituzionali e democratici frutto della guerra di Liberazione dal fascismo e definiti dalla nostra Costituzione – dimostrano che la pericolosità di questa destra è reale e non va sottovalutata.
A questo proposito invito anche a guardare alla controriforma del lavoro che ha attuato il governo di destra greco, che giustamente alcuni hanno definito un ritorno alle condizioni di lavoro dell’800 o anche del periodo della dittatura fascista dei colonnelli.
La seconda: questa destra è pericolosa, ma il problema è la mancanza di un’alternativa reale. Il Pd sul terreno della guerra, dell’atlantismo, della Ue, delle privatizzazioni e delle “riforme” sui temi del lavoro e delle pensioni ecc. non è alternativo alle posizioni concrete della destra (la presunta contrapposizione tra europeisti e “sovranisti” come si è visto alla prova dei fatti è fasulla); il M5S ha fatto delle cose diverse, alcune anche positive, pur con mille contraddizioni, ma da solo non è in grado di esprimere un’alternativa complessiva e vincente.
Questo è stato compreso da vasti settori sociali, specie popolari, infatti ormai vota meno del 50% degli aventi diritto, ma questo non preoccupa né la destra né il centrosinistra che si vogliono giocare entrambi il consenso dei ceti medio-alti.
Il problema di una reale alternativa sul piano politico richiede una maturazione che necessita di tempi che non saranno brevi, ma sul terreno sociale e in primo luogo sindacale potrebbero esprimersi lotte e conflitti in grado di mettere in difficoltà questo governo. Anche qui, però occorrerebbe un salto di qualità, la capacità di tutti i sindacati non filogovernativi di superare le sterili contrapposizioni e concorrenze tra sigle per mettere in campo su obiettivi comuni condivisi una battaglia unitaria che metta insieme, su quel programma, tutti i lavoratori e i settori sociali mobilitabili, in modo da avere la forza necessaria per raggiungere quegli obiettivi.
Sul piano del terreno democratico, quindi della lotta contro il cosiddetto “premierato”, si tratterebbe di ridare vita a quel vasto schieramento sociale e associativo che permise di sconfiggere la controriforma di Renzi.
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