di Federico Giusti
Gli intenti di inizio anno del governo Meloni ci offrono un desolante quadro di continuità nel servilismo ai poteri dominanti, con politiche atlantiste che appoggiano le peggiori nefandezze contro i popoli e assoggettamento di ogni politica sociale al dogma del neoliberismo. L’opposizione è al momento “non pervenuta”.
La Conferenza stampa di inizio anno di Meloni forse passerà alla storia per un fatto di costume (la fisiologica fuga in bagno), ma di certo non per i contenuti espressi e men che mai per la capacità del giornalismo italiano di porre quesiti insidiosi all’Esecutivo.
I primi giorni del 2024 vedono entrare nel vivo quella guerra globale votata dal Congresso Usa e scatenata, per procura e non, con attentati nel Libano e nell’Iran, un’escalation che si aggiunge ai continui bombardamenti israeliani in Palestina, in Siria e nel Libano, nel silenzio assenso dei governi Ue che ogni giorno ricordano all’opinione pubblica quanto sia prioritaria la lotta al terrorismo, salvo poi tacere su quanto accade nel globo ovunque ci siano presenze contrastanti con i loro interessi.
Se guardiamo ai documenti ufficiali Usa e Ue si capisce bene dove si stanno indirizzando i paesi a capitalismo avanzato e come il ricorso strutturale alla guerra sia parte integrante di una strategia imperialista, anche se definirla tale è ormai un autentico tabù anche tra i comunisti e le aree conflittuali che preferiscono accapigliarsi sui necrologi a Toni Negri o su questioni di lana caprina.
I giornali italiani hanno parlato per giorni del parlamentare di FdI che alla festa di Capodanno ha esploso accidentalmente un colpo di pistola ferendo un commensale.
Se fosse accaduto a un comune mortale l’episodio sarebbe rimasto confinato nella cronaca locale, etichettato come eccesso da ultimo dell’anno per la insana abitudine di esplodere colpi di arma da fuoco per salutare l’arrivo del nuovo anno.
Sia ben chiaro, il Parlamento dovrebbe occuparsi di ben altro, per esempio dell’arresto di Verdini jr per un presunto giro di tangenti che avrebbero pilotato gli appalti Anac. L’inchiesta in corso della Magistratura ricorda che all’ombra degli appalti pubblici e dello stesso Pnrr si scatenano appetiti illeciti e fenomeni corruttivi assai pericolosi per la comunità. E anche il ridimensionamento della Magistratura Contabile e dei suoi controlli cade a fagiolo fermo restando che la Corte dei Conti in questi anni è stata spesso un’arma puntata contro i dipendenti pubblici e assai meno attiva nell’individuare e punire le responsabilità politiche. Ridurre i controlli, semplificare le norme inerenti agli appalti è un obiettivo dichiarato, pur in altri termini, dall’attuale Esecutivo come del resto una controriforma della Magistratura.
Preoccupante è la canea mediatica scatenata contro giudici che hanno assunto posizioni pubbliche, magari controverse, e vengono accusati di non essere imparziali e super partes; si scatenano giornali e giornalisti di parte che tornano a tuonare contro una Magistratura di parte e orientata “a sinistra” , un copione già visto ai tempi di Mani Pulite il cui ruolo politico fu comunque indiscutibile per favorire il passaggio alla Seconda Repubblica, con l’avvento del Maggioritario e dell’elezione diretta dei sindaci che ha ridotto nella sostanza il potere dei cittadini rafforzando ruoli e funzioni degli Esecutivi e spianando la strada alla revisione della Carta con il pareggio di bilancio e le politiche di austerità introdotte nella Costituzione.
Siamo abituati alle canee mediatiche, alimentate tramite tv e radio oltre alla carta stampata peraltro in crisi (sempre meno letta), canee funzionali a non indagare fino in fondo quei fenomeni corruttivi che hanno bruciato ingenti risorse pubbliche che avremmo potuto destinare al sociale, in un paese nel quale crescono ogni giorno i fenomeni di povertà relativa e assoluta
Ci imbattiamo, dopo anni di propaganda alla legittima difesa del cittadino assediato dalla criminalità, nella sconcertante normalità delle armi; la licenza del porto d’armi dovrebbe essere concessa solo in casi veramente eccezionali, ma le continue pressioni di certe industrie e delle lobby di settore tendono invece a normalizzarne il possesso alla stregua di quanto avviene da anni negli Usa dove ogni anno si registrano centinaia di morti.
E dopo un decennio nel quale le licenze sono state ridotte, i prossimi anni potrebbero invertire la tendenza alimentando la paura costruita ad arte contro il nemico di turno (immigrato, piccolo delinquente, ambientalista, occupante di casa o facchino della logistica). Questa presunta minaccia rappresenta il brodo di cultura da cui nascono i pacchetti sicurezza che negli ultimi lustri hanno attraversato governi tecnici, di destra e di centrosinistra, fino all’ultimo decreto sul finire del 2023. Ben altre sono invece le minacce reali, per esempio l’insicurezza sociale, la sanità che non funziona, la precarietà del lavoro e i debiti insolventi perché le nostre buste paga sono ridotte ai minimi termini, eppure a livello legislativo faranno di tutto nel favorire la concessione dei permessi per detenzione personale di un’arma in un paese, guarda caso, che si annovera tra i principali produttori di armi leggere nel mondo.
Sempre nel periodo delle feste natalizie è stata presentata, e subito ritirata, la proposta di legge che avrebbe autorizzato il porto d’armi per la caccia ai sedicenni: anche in questo caso innegabile il suggerimento di qualche azienda produttrice particolarmente ascoltata in seno al governo.
La normalità della guerra e del possesso delle armi sono parte integrante di quel processo di militarizzazione della società che si accompagna alla costante presenza di militari nelle scuole, agli alzabandiera all’inizio dell’anno scolastico, agli stage Pcto di alternanza scuola-lavoro, senza dimenticare il ruolo delle Fondazioni legate alle imprese di guerra nella militarizzazione delle scuole e dell’università.
Ormai i fenomeni corruttivi, debitamente minimizzati dietro a ben orchestrate campagne mediatiche, stanno diventando una sorta di normalità, pur in mezzo a mille prese di distanza o condanne rituali, una corruzione endemica da condannare ma non da combattere, alla quale in qualche misura abituarsi per far ripartire l’economia italiana.
La conferenza della premier Meloni ha toccato vari punti dentro una lettura acritica di mera esaltazione dell’operato governativo.
Anche la stampa non ha mai focalizzato l’attenzione sui numerosi casi di esponenti politici o parlamentari invischiati in varie inchieste della Magistratura per reati anche pesanti; eccetto rari casi non ci sembra di avere letto articoli e inchieste finalizzate alla dimissione di politici alquanto chiaccherati.
E la stessa stampa ha una responsabilità oggettiva nel presentare l’immagine di un paese riducendo in barzelletta questioni dirimenti sulle quali un giornalismo di inchiesta indipendente da interessi economici e partitici avrebbe, in tempi ormai lontani, indagato a fondo.
Non una domanda è arrivata alla Meloni sulla tenuta di un sistema che finanzia le imprese attraverso il taglio al cuneo fiscale e a sgravi e aiuti di vario genere, aiuti che anno dopo anno dovranno essere rifinanziati dalla Manovra di bilancio.
Perfino sul Pnrr gran parte della cittadinanza ignora la riscrittura degli obiettivi a livello comunitario, si annuncia una nuova stagione di riforme che riguarderanno la pubblica amministrazione, la giustizia, il sistema fiscale e perfino la previdenza a proposito della quale Meloni parla di interventi organici in accordo con le parti sociali. Un governo assai contraddittorio con il programma elettorale presentato ai cittadini; erano i nemici giurati della Fornero e oggi invece hanno costruito meccanismi iniqui che ne salvaguardano l’impianto, anzi quell’impianto sarà ulteriormente peggiorato inasprendo la perdita economica per chi andrà in pensione prima del tempo.
Il nostro paese oggi, c’è poco da ironizzare, vanta 983.000 famiglie in povertà assoluta, 150 famiglie sfrattate ogni giorno con la forza pubblica, case di edilizia popolari fatiscenti per la manutenzione delle quali servirebbero cifre assai maggiori di quelle destinate annualmente.
E infine le privatizzazioni annunciate dal governo, tagli di spesa e meno tasse, la classica ricetta neoliberista che equivale a un sistema fiscale con minori aliquote a solo beneficio dei redditi elevati e dei grandi capitali. Come ogni governo di destra che si rispetti, il dogma della riduzione delle tasse significa contrarre lo stato sociale pur dietro alla cortina fumogena del sostegno alle famiglie autoctone. Se così non fosse oggi avremmo ancora il Reddito di cittadinanza, magari con qualche modifica, dacché abbiamo scoperto, e con noi gli istituti statistici, quanto fosse necessaria questa misura inclusiva e di contrasto alla povertà.
E per chiudere, il continuo richiamo a Enrico Mattei di cui ormai si ignora l’operato e per questo possono inserirlo nel Panteon della destra di governo. L’Italia è tra i paesi Ue più schierati e servili rispetto alla Nato e agli Usa, una linea estera atlantista, filoucraina e filoisraeliana, l’esatto contrario di quanto un coerente seguace di Mattei oggi dovrebbe fare. Ma chiedere coerenza all’Esecutivo sarebbe troppo; del resto la stessa opposizione di centro-sinistra ha assunto le medesime posizioni e oggi vorrebbe apparire agli occhi dei nostri dominatori un interlocutore più serio e credibile. Insomma, una gara al servilismo atlantico di cui oggi dovremmo fare a meno alla luce delle notizie provenienti dal Medio Oriente.
Immagine: Palazzo Chigi, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons
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