di Paula Jesus
L’Inquinamento pakistano rappresenta una sfida umanitaria globale, provocando un’infanzia senza progettualità. Le responsabilità europee rimangono nascoste nelle discariche pakistane.
Del Pakistan si sa pochissimo, nessuno ne parla, a nessuno interessa e anche i migranti arrivati in Italia si vergognano a parlare delle verità del paese che si sono lasciati alle spalle. In Pakistan le emergenze sono tante, come tanti sono i bambini e bambine, innocenti quanto ignari, che sperimentano il mondo in un ambiente dove la povertà regna sovrana. Piccoli piedi e occhi neri si districano con la stessa destrezza dei gatti randagi tra motorini fumanti, binari ferroviari e fogne all’aperto.
Qui le persone gestiscono il nulla portando la logica fino ai limiti dei paradossi. La domanda sorge spontanea: come si fa a vivere nel nulla, a mangiare il nulla, a nascere dal nulla? L’inumano offre questo all’umano. Prendere quindi quel che non si ha e spostarsi. Molti sono nomadi, altri semplicemente si spostano alla ricerca di qualche centesimo in più. Ogni bambino prende suo fratello più piccolo, e il più piccolo quello appena nato. Un po’ come delle matrioske dalla pelle marrone. Camminano a testa alta e con l’orgoglio tipico di quelli consapevoli della propria forza. Grande parte della popolazione vorrebbe andarsene, purtroppo però non è semplice per i pakistani. Il paese sta sprofondando, è sufficiente camminare per le strade distrutte, senza nessun parametro di salute ambientale o igienica per rendersi conto della profonda miseria nella quale i pakistani vivono alla meglio.
L’ecosistema si sgretola sotto il peso della sovrappopolazione e della mancanza di risorse. In questo inferno ambientale, la lotta per la sopravvivenza si intreccia inesorabilmente con la lotta per l’opportunità, mentre il ciclo perpetuo della povertà continua a stringere la sua morsa senza lasciare vie di fuga. I bambini e bambine vivono abbastanza da poter fare altri figli e altri ancora, diventando loro stessi motore d’inquinamento e povertà.
Secondo le dichiarazioni di agosto 2023 del primo ministro Shehbaz Sharif, il Pakistan ha un tasso di crescita annuale della popolazione stimato intorno al 2,5%, rendendolo uno dei paesi con una delle più alte crescite demografiche al mondo. Una crescita demografica fuori controllo che aggrava proporzionalmente le criticità socio-politiche.
Lungo le strade si trovano quotidianamente bambini che mendicano, mentre altri sono impegnati a saldare motorini o a spaccare pietre. Qui non ci sono regole, non esiste l’infanzia né tantomeno la vecchiaia, tutti soffrono allo stesso modo e non c’è pietà per nessuno. Eppure giorno per giorno continuano perseveranti a cercare vie alternative per vivere un giorno in più. Camminano a testa alta e schivano i pericoli come dei toreros che però non vorrebbero vedere più morte e dolore intorno a loro. Qui sembra di vivere in un limbo, l’età si misura in quanti chili di terra o immondizia riesci a caricarti sulle spalle.
La visione simile a un racconto dantesco si staglia con un’oscurità che avviluppa gli occhi e l’anima. Il verde fluorescente dei liquami irrompe violentemente nei panorami urbani, periferici e rurali. L’odore che accompagna questo viaggio è citrico e nauseabondo. Il fetore si insinua tra le fibre dei vestiti, avvolge i capelli e stringe la gola fino a far vomitare. I vicoli delle strade sono affollati e in ogni angolo si vende pollame, intorno bruciano rifiuti e cacciano i ratti con lo stesso coltello con cui tagliano la carne bianca. Dire che non esistono parametri di condizioni igieniche sembra una brutta barzelletta.
L’orizzonte è dominato da una cupa disperazione, mentre l’aria è densa di un senso di abbandono e miseria che ricopre il Pakistan da nord a sud.
Le vite di coloro che abitano questo panorama sembrano condannate a un’esistenza senza speranza, dove il viaggio verso un futuro migliore è una promessa che sa di cattivo presagio.
C’è una stratificazione della povertà disumana. Qui si tocca il profondo nero, la terra fuma e l’aria è umida e densa, l’odore dell’inferno annebbia la mente.
Qui manca l’aria, ogni buon pensiero e speranza sono destinati a vedersi schiacciati dal peso della povertà. I livelli di miseria sono talmente profondi e radicali da riuscire a toccare l’astratto. Volti consumati da illusioni bruciate.
L’emergenza rifiuti
L’Italia, come membro dell’Unione europea, è uno dei paesi che alimenta l’export dei rifiuti verso i paesi fuori dall’Ue. Perché sì, basta portare altrove l’immondizia. Il problema è che quell’altrove sono paesi reali che vengono inondati di rifiuti danneggiando e aggravando la qualità della vita e dell’ambiente.
Nel 2004 il Pakistan ha importato 0,1 milioni di tonnellate di rifiuti, nel 2021 è salito in modo preoccupante a 1,3 milioni di tonnellate dichiarati, ma nella realtà dei fatti è impossibile censirle e calcolare il peso dei rifiuti che il Paese ospita. Questa crescita esponenziale nell’importazione di rifiuti è un indicatore preoccupante da cui trapela la logica del potere da parte dei continenti dove il sistema delle ricchezze viene concentrato.
Mentre la Turchia si erge come dominatrice nel settore del rottame di ferro, il Pakistan sta emergendo come un attore chiave che sta tristemente guadagnando terreno nel mercato dei rifiuti.
I bambini mangiano i resti dell’umanità, invece di andare al supermercato prendono quel che trovano nelle discariche, succhiano i liquidi che rimangono dai cibi consumati dal tempo o mordono i resti delle carcasse di pollo. I loro giochi sono pezzi di polistirolo o vecchi pneumatici.
I membri dell’Unione Europea stanno esportando i loro rifiuti al di fuori dei confini dell’Ue perché in paesi come il Pakistan non esistono standard ambientali, normative sulla salute umana e tutela dei lavoratori. Paesi come l’Italia scelgono di risparmiare riempendo container di immondizia perché meno costoso in termini di conformità normativa e requisiti.
Questa dinamica evidenzia la necessità di adottare politiche più sostenibili e di migliorare la gestione dei rifiuti all’interno e all’esterno dell’Unione Europea, al fine di garantire che l’ambiente, la salute umana e i diritti dei lavoratori siano adeguatamente protetti.
L’export di rifiuti da parte dei membri dell’Unione Europea verso paesi in via di sviluppo, come il Pakistan, solleva gravi preoccupazioni, sia a livello etico che umanitario. Questa pratica indica un atteggiamento di indifferenza da parte dell’Ue verso le condizioni di vita nei paesi di destinazione, spesso fragili e con normative ambientali e di diritti umani inesistenti.
Le condizioni di vita nel Pakistan portano molte persone a cercare opportunità di vita altrove. Questo alimenta la migrazione verso Paesi come l’Italia, che ipocritamente crea politiche di respingimento e violenza alle frontiere.
Questo solleva domande importanti sulla responsabilità globale nell’affrontare i problemi ambientali e umanitari. Mentre l’export di rifiuti può ridurre i costi per l’Ue, è essenziale considerare il prezzo umano che viene pagato in termini di degrado ambientale, deterioramento delle condizioni di vita e spostamenti di persone in fuga dalla disperazione.
In Pakistan si muore ancora di tifo, malaria e lebbra. I morti vengono gettati nei fiumi artificiali fatti di liquami, dove a loro volta il bestiame si disseta. È un altro mondo, dove l’inumano non lascia scampo all’umano.
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