di Fosco Giannini *
Sabato 27 gennaio: il “no” del governo alle manifestazioni a fianco del popolo palestinese è un ulteriore colpo contro questo popolo. Perché, nel Giorno della Memoria che ricorda l’orrore dello sterminio nazista degli ebrei, protestare contro un altro sterminio in atto, che ha le medesime caratteristiche genocide e di pulizia etnica, dovrebbe essere visto come una provocazione?
La Repubblica del Sudafrica, immediatamente appoggiata dal ministero degli Affari esteri di Cuba, ha chiesto che lo Stato di Israele, per gli orrori perpetrati a Gaza, venga processato dal Tribunale dell’Aia e condannato per genocidio. I massacri di natura nazifascista che l’esercito israeliano ha disseminato in tutta Gaza contro l’intero popolo palestinese, non solo contro Hamas, hanno scosso tanta parte della comunità internazionale, tanti intellettuali del mondo, non solo le forze comuniste, antimperialiste, di sinistra, ma anche tutte le forze democratiche e progressiste internazionali. Lo stesso segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha più volte stigmatizzato l’implacabile guerra israeliana, chiedendo la fine dell’intervento militare, la tregua, le stesse dimissioni di Netanyahu, e ciò sulla base di una stessa riflessione di Guterres: “È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla, poiché il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”.
Lo sterminio ordinato da Tel Aviv contro il popolo palestinese di Gaza (contro il popolo, non solo contro Hamas, e ciò non ricorda forse l’ordine che il criminale di guerra Erich Priebke dette, dopo l’azione partigiana di via Rasella del 1944, di fucilare 10 italiani per ogni militare tedesco ucciso, ordine che Kappler eseguì, fucilando 335 italiani alle Fosse Ardeatine?), questo sterminio israeliano che non vuole finire e che ha indignato tanti popoli del mondo, questa emozione che ha toccato l’animo di centinaia e centinaia di milioni di esseri umani sulla Terra ha spinto anche i movimenti filopalestinesi di Roma, e non solo Roma, a chiedere di manifestare contro i crimini che Israele sta compiendo a Gaza, con l’orrenda complicità degli Usa e dell’Ue, nello stesso Giorno della Memoria: sabato 27 gennaio.
Di fronte a questa legittima richiesta, il presidente della comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, con queste parole si è appellato al governo Meloni: “La manifestazione pro-Palestina indetta a Roma per il 27 gennaio, Giorno della Memoria, sarebbe una sconfitta per tutti. Non capiamo come sia stato possibile concedere l’autorizzazione in una ricorrenza che è internazionale, per di più nel contesto del 7 ottobre, massacro antisemita come non se ne vedevano dai tempi del nazismo. Alle istituzioni, nazionali e locali, chiediamo di impedire questa vergogna”. E sembra che, ormai, il governo di destra italiano abbia scelto di stare dalla parte di Fadlun e non dalla parte della democrazia, vietando le manifestazioni per il popolo palestinese.
Il Movimento per la Rinascita Comunista (MpRC), al di là delle parole di Victor Fadlun – che come è ormai nello stile consolidato dei fedelissimi al governo e all’esercito israeliano, ricorda solo il 7 ottobre di Hamas, rimuovendo vergognosamente gli eccidi di Israele a Gaza – si unisce invece alla richiesta di confermare l’autorizzazione alla manifestazione a fianco del popolo palestinese indetta per il 27 gennaio a Roma. Alla quale manifestazione, se confermata, il MpRC parteciperà.
Il punto è il seguente: perché Victor Fadlun e la comunità ebraica romana dovrebbero interpretare la richiesta, da parte delle forze solidali con il popolo palestinese, di manifestare nello stesso Giorno della memoria come una provocazione?
È ora di fare chiarezza: i comunisti, le forze antimperialiste, di sinistra, democratiche non hanno mai dimenticato e non vogliono dimenticare l’orrore perpetrato dalle forze naziste contro gli ebrei. Non vogliono e non possono oggettivamente dimenticarlo, peraltro, perché la data scelta per il Giorno della Memoria è quello del 27 gennaio 1945, il giorno in cui i soldati sovietici del 60esimo Corpo dell’Armata Rossa, guidato dal maresciallo Ivan Konev, durante l’offensiva in direzione di Berlino arrivarono presso la città polacca di Oœwiêcim (ora più conosciuta con il suo nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il più grande campo di concentramento e sterminio nazista, l’Auschwitz-Birkenau, liberandone tutti i prigionieri. E sarà, nel 2005, l’assemblea generale dell’Onu, proprio ricordando la liberazione di Auschwitz-Birkenau da parte dell’Armata Rossa, a indire, per ogni 27 gennaio, il Giorno della Memoria.
I comunisti ricordano bene, e condannano, gli orrori nazisti contro gli ebrei e li ricordano bene perché anch’essi, i comunisti, furono in numero altissimo trucidati nei lager nazisti e in ogni città occupata dal Terzo Reich, ove i comunisti si trasformavano in partigiani.
Ma, ripetiamo, perché oggi, di fronte agli orrori che lo Stato di Israele dissemina crudelmente e in stile conseguentemente nazifascista contro il popolo palestinese a Gaza, una manifestazione contro questa politica infernale di Netanyahu deve essere vissuta come una provocazione? Una manifestazione contro il genocidio perpetrato dall’esercito israeliano a Gaza ha lo stesso valore politico e morale di una manifestazione volta a ricordare, nel Giorno della Memoria, lo sterminio degli ebrei da parte di Hitler. Una manifestazione non è contro l’altra, ma entrambe sono mosse dalla stessa volontà di denunciare i crimini di uno Stato contro un popolo. Non vi è provocazione.
Ma crediamo che la questione sia altrove, e cioè nella costruzione mitologica, da parte di settori ebraici ai quali evidentemente il presidente della comunità Ebraica di Roma, Victor Fadlun, appartiene, dello Stato di Israele come uno Stato biblico, uno Stato voluto direttamente da Dio e, in quanto tale, esente da ogni colpa, uno Stato teocratico verso il quale è vietata per legge divina ogni critica e ogni denuncia. Anche quando si tratta di genocidio.
Fadlun ragiona come se le sofferenze di un popolo, e il popolo ebraico è stato perseguitato trucemente da Hitler, potessero solamente avere come proiezione, per ragioni oggettive e immutabili, un loro Stato giusto ed etico. Ragiona come se le sofferenze del popolo ebraico avessero la potenza di emendare per sempre il proprio Stato, anche se questo Stato assumesse la stessa natura dello Stato fascista. Come lo stato di Israele ha assunto.
Il pensiero di Fadlun, totalmente svuotato di ogni razionalità poiché totalmente immerso nel dogma teocratico, rimanda alla valutazione di altre esperienze storiche. Il popolo italiano che subisce per secoli l’occupazione straniera, la miseria di massa e poi gli orrori della Prima guerra mondiale, avrebbe dovuto forse, in virtù di queste sue sofferenze, emendare il fascismo dalle proprie colpe? Il popolo tedesco che vive le sofferenze, tra il 1918 e il 1933, della Repubblica di Weimar, avrebbe dovuto, in virtù di queste sofferenze, perdonare le colpe dello Stato hitleriano? Il popolo cileno segnato da secoli di miseria e sfruttamento avrebbe dovuto, in virtù di queste sue sofferenze, perdonare e fare proprio il fascismo di Pinochet?
Gli israeliani che pensano lo Stato di Israele nello stesso modo teocratico col quale viene pensato da Fadlun, in verità non riescono a comprendere la stessa storia ebraica, non riescono a dividere l’antica fase della sofferenza del popolo ebraico dall’attuale fase dello Stato israeliano imperialista e fascista. Uno Stato oggi contrario, per la sua violenza ormai intrinseca, agli stessi interessi strategici del popolo israeliano.
Per questi motivi il Movimento per la Rinascita Comunista crede che la manifestazione indetta a fianco del martoriato popolo palestinese per il 27 gennaio a Roma non avrebbe avuto nulla a che fare con la provocazione, nulla avrebbe avuto a che fare con uno spirito antiebraico pregiudiziale, che avrebbe avuto tutto a che fare, invece, con la quantomai necessaria solidarietà a un popolo, quello palestinese, che oggi soffre, non solo a Gaza, sotto il terrore di Netanyahu, come il popolo ebraico soffriva sotto il terrore hitleriano.
Non si possono facilmente contare i morti palestinesi dalla Nakba (l’esodo palestinese iniziato nel 1948) e dall’insediamento dello Stato di Israele in poi: se si parlasse di 50mila non si andrebbe lontani dalla verità. Sono oltre 6 milioni i palestinesi che vivono nel loro, ormai storicamente lunghissimo, esodo, un esodo segnato da immense e quotidiane sofferenze, segnato dalla violenta, terroristica occupazione israeliana dei Territori, segnato da fame, miseria, umiliazioni subite per mano dei soldati di Israele ogni giorno per decenni e decenni. Sono ormai circa 200 le colonie ebraiche illegali, tra la Cisgiordania e Gerusalemme Est, che hanno occupato le terre palestinesi cacciando con i fucili spianati i cittadini palestinesi che in quelle terre legittimamente risiedevano e insediando brutalmente circa 450mila cittadini israeliani, per buona parte di orientamento ipernazionalista e fascista. Un’operazione in pieno stile nazista, una pulizia etnica su larga scala di cui Fadlun non vuole, con ogni evidenza, sentire parlare. Come non vuol sentire parlare del fatto che, dall’inizio della guerra di Israele contro Gaza, sono già 24mila i morti palestinesi, tra i quali migliaia di bambini. Un’abietta operazione, quella di Netanyahu, che ricorda, in quella regione del mondo, gli orrori biblici di Erode.
Quanti massacri sono stati perpetrati dai governi israeliani contro il popolo palestinese nella fase d’insediamento dello Stato israeliano e nei decenni successivi alla Guerra dei sei giorni? Sono stati massacri quotidiani, dalla Cisgiordania a Gaza passando per ogni altro insediamento palestinese. Massacri quotidiani, contro un individuo palestinese, una famiglia palestinese, intere parti di popolo palestinese.
Dal massacro di Deir Yassin, del 9 aprile 1948, quando circa 120 combattenti sionisti della famigerata “banda Stern”, in combutta con l’esercito inglese, attaccarono il villaggio palestinese di Deir Yassin in una feroce battaglia casa per casa, uccidendo più di 100 palestinesi, sino all’inferno di Sabra e Shatila del 18 settembre 1982, quando furono 3.500 i palestinesi assassinati, queste ondate di violenza e brutalità israeliane non sono mai cessate.
Manifestare a fianco e in solidarietà col popolo palestinese, sabato 27 gennaio a Roma, mentre la comunità ebraica ricorda il terrore nazista, non sarebbe stata una provocazione. Avrebbe solo ricordato, e denunciato, le sofferenze di due popoli diversi, quello ebraico perseguitato da Hitler e quello palestinese perseguitato dai governi israeliani, oggi quello di Netanyahu.
Ma, al di là di questo 27 gennaio 2024, è tempo, di fronte alle sofferenze senza fine del martoriato ma eroico popolo palestinese, di canonizzare un Giorno della Memoria per il popolo di Palestina. È una proposta che il Movimento per la Rinascita Comunista lancia alle forze comuniste, antimperialiste, di sinistra, progressiste e democratiche: facciamo crescere, tutti insieme, questa proposta, popolarizziamola, raccogliamo firme nelle piazze e di fronte alle fabbriche, chiediamo che sia l’Onu stessa ad assumerla e istituzionalizzarla. E se l’Onu non lo facesse, se non vi fosse ascolto, lavoriamo tutti noi, assieme, per concretizzarla, cosicché dal prossimo 18 settembre 2024, e per ogni 18 settembre (il giorno nero di Sabra e Chatila) di ogni anno si ripeta il Giorno della Memoria palestinese.
* Coordinatore Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista
Immagine: Andrew Ratto, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
Lascia un commento