Ue: altri 50 miliardi di euro a Zelensky

di Fosco Giannini *

Il voto favorevole di Viktor Orbàn scopre le carte ambigue del falso “sovranismo” e delle forze della destra.

Al vertice straordinario dell’Ue dello scorso 1° febbraio 2024 si è verificato un fatto di grande importanza politica: il premier ungherese Viktor Orbán, dopo circa due anni di resistenza e dinieghi ai voleri di Bruxelles, ha votato sì agli aiuti – economici e dunque militari – dell’Ue all’Ucraina. Votando, peraltro, per un nuovo pacchetto di aiuti non certamente esiguo: 50 miliardi di euro. Con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha avuto modo di affermare, dopo il voto: “L’Ue sta assumendo la leadership e la responsabilità del sostegno all’Ucraina” e con Volodymyr Zelensky che, in collegamento con Bruxelles, ha sentitamente ringraziato il Consiglio Europeo, alzando tuttavia, come sempre, la posta, chiedendo cioè ancor più aiuti economici e militari “poiché la Corea del Nord sta fornendo munizioni alla Russia”.

Con quali argomenti il Consiglio Europeo ha piegato la resistenza di Orbán, conseguendo così il risultato di avere un sì agli aiuti a Zelensky con la totalità dei voti, 27, invece che 26? Con due argomenti: primo, con la minaccia di attuare l’Articolo 7 del Trattato sull’Ue, che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Ue qualora un Paese violi “gravemente e persistentemente i principi sui quali l’Ue si fonda”, che per l’Ungheria avrebbe previsto l’espulsione dalla vita politica dell’Ue e la cancellazione del diritto di voto in sede Ue, con la conseguente cancellazione anche del diritto di veto. Secondo argomento, decisivo, quello di cancellare i quasi 6 miliardi di euro di sovvenzioni all’Ungheria, per la ripresa post pandemia, che l’Ue dovrebbe versare nelle casse di Budapest. Orbán ha ceduto e come ulteriore “premio”, oltre il poter far restare l’Ungheria nell’Ue ed averne i sussidi, ha ottenuto quello di poter far entrare il proprio partito, il Fidesz, dopo le prossime elezioni europee, nel Gruppo parlamentare dei Conservatori guidato da Giorgia Meloni. Anche perché prossima, per il Fidesz, è l’espulsione dal Gruppo di centro dei Popolari.

Perché il cedimento di Orbán e il suo voto favorevole ai 50 miliardi di euro di aiuti all’Ucraina è politicamente degno di interesse? Perché anche Orbán, con la sua resistenza a Bruxelles, era divenuto un punto di riferimento per quell’area politica che in Italia asserisce che non esista più destra e sinistra, comunisti e fascisti, ma che tutti, indipendentemente dal loro colore politico e ideologico, sarebbero arruolabili, in virtù delle loro affermazioni relative all’Ue o alla Nato, nel “fronte sovranista generale”. In modo tale che alcuni “comunisti” o “sovranisti” italiani possano agevolmente unirsi, nella lotta “sovranista”, a nazifascisti dichiarati come Alemanno, a fascisti in progress come il generale Vannacci e ai “missini” della Fiamma Tricolore.

Cosa dimostra, invece, il voltafaccia di Orbán, cosa dimostra il suo voto favorevole agli aiuti all’Ucraina? Dimostra che “l’ideale” politico del premier ungherese era solo di facciata, che il suo “sovranismo” era di cartastraccia. Che la sua politica interna segnata da politiche liberiste e socialmente tiranniche, sessiste, omofobe e poliziesche sino ai ceppi e ai guinzagli per cani messi su Ilaria Salis è il corrispettivo della caduca politica di sovranità. Che ogni, finto, “sovranista”, ogni finto antimperialista, come gli uomini senza principi, ha un prezzo. Ma la resa di Orbán rimanda ad una questione ancor più grande e densa di implicazioni e così riassumibile: il “sovranismo” dei fascisti e delle destre è una contraddizione in termini, poiché il fascismo è consustanziale all’imperialismo e al capitalismo e dunque immodificabile nella sua natura serva dell’imperialismo e dei padroni. E ciò dovrebbe essere una lezione anche per quei “comunisti” e “antimperialisti” italiani che affermano di voler rafforzare il fronte “sovranista” con Alemanno, Vannacci, l’Msi. Quando in verità, è nostro parere, puntano, piuttosto, ad aumentare il loro, eventuale, bottino elettorale.

Non si dichiarava, forse, Mussolini, ai primordi, anticapitalista e antimperialista, per poi, una volta ottenuti i consistenti e decisivi, per le sue squadracce, aiuti economici dalla borghesia francese e italiana per fermare la rivoluzione in Italia, divenire il violento difensore del grande capitale italiano, il punto di riferimento, con il fucile in mano, dei padroni italiani della terra e il nemico principale del movimento operaio italiano? Non si dichiara, anche nel discorso di dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, nemico delle “plutocrazie” (cioè, dei potentati del capitalismo finanziario) francesi e britanniche, mentre si prepara a genuflettersi all’imperialismo tedesco nazista?

Questa trasformazione di Mussolini faceva forse parte del carattere personale del Duce? Non si tratta di questo: questa bieca mutazione mussoliniana faceva in verità parte della concezione economica e ideologica del corporativismo fascista, una concezione che, una volta abbandonato il socialismo, ha finto di distinguersi dal capitalismo attraverso la “proposta” di unire, sotto il manganello antioperaio, in una sola “corporazione”, capitale e lavoro, dove il capitale regnava sempre, violento e incontrastato, sul lavoro. Vi è, inoltre, un finto “antiliberismo” di Mussolini al quale possono appellarsi nazifascisti e idolatri dello Stato dittatoriale (e, insieme, liberale) come Alemanno, ma rispetto a ciò mai va dimenticato come Mussolini, nel 1931, chiarì il proprio rifiuto della democrazia definendo la diseguaglianza come “feconda e benefica” e asserendo, in Dottrina del Fascismo, che “i regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione die essere sovrano, mentre la vera, effettiva, sovranità sta in altre forze, talora irresponsabili e segrete”. Concezione, questa del “sovranismo” di Mussolini, ideologicamente sovrapponibile, oggi, a quella di Alemanno, Vannacci, la Fiamma Tricolore-Msi, Casa Pound e altri simili orrori dei quali si vanno innamorando alcuni, fortunatamente pochi, “comunisti” e “antimperialisti” nostrani.

“Antimperialisti” nostrani, peraltro, che da tempo, trascinandosi dietro alcuni “comunisti” ad essi culturalmente subordinati, vanno costruendo relazioni con aree di destra estrema a livello internazionale e, in modo più stringente, con la destra estrema “trumpiana”, e specificatamente con l’ex capo stratega della Casa Bianca ai tempi di Trump, Steve Bannon, il cui pensiero politico e la cui ideologia sono da essi interpretati come “oggettivamente” antimperialisti. Condividendo questo pensiero con la destra estrema e fascista italiana.

È probabile che l’attrazione fatale di alcuni “sovranisti” e “comunisti” italiani verso Steve Bannon dipenda dal fatto che l’ex ideologo di Trump abbia dichiarato al mondo intero, nel 2017, di volersi offrire quale architrave dei movimenti populisti e nazionalisti del mondo. Muovendosi, peraltro, a livello mondiale (e la grande ricchezza personale glielo permetteva) per disseminare il proprio pensiero e sostenendo, anche economicamente, molti movimenti politici conservatori, populisti e nazionalisti in diverse aree del pianeta e anche lavorando a costruire sul campo una rete di partiti di destra ed estrema destra in Europa, una rete che ha preso il nome di “The Movement”, all’interno della quale si sono rafforzati anche la Lega e Fratelli d’Italia, oltreché diversi altri movimenti, in Europa e in Italia, definiti, alla grossa, “antisistema” e “del dissenso”.

Forse gli attuali militanti “antisistema” non lo ricorderanno, ma non era “antisistema” anche Guglielmo Giannini, il leader dell’“Uomo Qualunque”, che molto sapeva di fascismo, che tuttavia anche diversi comunisti ingannò e dal quale nacque la concezione del “qualunquismo”?

Bannon, tuttavia, oltreché ideologo e costruttore di una consistente parte del movimento populista internazionale, è sempre rimasto, nella sua essenza ideologica, il banchiere d’ investimenti  della Goldman Sachs, il co-fondatore di «Breitbart News», il giornale on-line fascista che lo stesso Bannon definiva come “la piattaforma per l’alt-right”, cioè “alternative”, tanto per dire come tale aggettivo sostantivato può trarre in inganno, specialmente i populisti, gli amici di Alemanno che non rimarcano più l’abissale differenza tra comunismo e fascismo e anzi, come fossero un  parlamento europeo qualunque nella sua “banalità del male”, ormai la negano?

Il populismo oggi piace ai “comunisti” amici di Alemanno, il populismo è in auge e si reincarna anche in ogni movimento metafisico, metempirico, sovrannaturale, trascendentale, da un luddismo attualizzato ad una medicina esoterica. Ma Lenin aveva già affrontato, e “battuto in breccia”, come un tempo si soleva dire, i populisti. Il capo dell’Ottobre rimarcava la superiorità scientifica del marxismo e rimprovera i populisti di soggettivismo sociologico: “I marxisti – scriveva – prendono da Marx i metodi senza i quali non è possibile mettere in chiaro i rapporti sociali, senza precostituire schemi astratti e altre assurdità, commisurando la giustezza della teoria con la sua corrispondenza con la realtà. I populisti sono invece dei ‘soggettivisti’, perché costruiscono teorie astratte, nelle quali la realtà è sostituita da idee consolatorie”.

I “comunisti” e gli “antimperialisti” italiani che oggi volutamente travisano, piegando biecamente e cinicamente la parola d’ordine denghista “non importa che il gatto sia bianco o nero basta che acchiappi i topi” al loro progetto di unirsi con i fascisti, non ricordano certamente che tra le tesi iniziali di Augusto Pinochet vi erano quelle di “superare la divisioni in classi sociali” e di “ripristinare l’autonomia della nazione cilena”, falsi e populisti progetti finiti, il primo, nello sterminio dei comunisti, dei marxisti e nel più assoluto liberismo di mercato e, il secondo, nella totale svendita dell’economia nazionale cilena al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale e all’Export-Import Bank, portando il popolo cileno alla sofferenza e alla miseria di massa. Tutto ciò a conferma che il fascismo è un solo “fascio” con il capitale e, anche rispetto a ciò, che il suo “sovranismo”, come nel caso di Orbán, non solo è inesistente, ma è ideologicamente e politicamente impossibile a farsi.

L’impossibilità “ontologica” che l’antimperialismo dichiarato dalle forze fasciste e populiste possa essere vero e resistere alle “intemperie” e ai venti politici non è dato forse dalla stessa, repentina e totale trasfigurazione politica di Giorgia Meloni e del suo partito, Fratelli d’Italia?

Il partito di provenienza storica di Meloni è l’Msi di Almirante, che nel suo Congresso di Roma del 1949 si dichiarò contrario al Patto Atlantico, alla Nato, senza che per questo il Pci di Togliatti (lezione per quei “comunisti” odierni amici di Alemanno) considerasse possibile che i “topi neri” di Almirante potessero unirsi nella lotta ai comunisti. La stessa Meloni, fino al 2019, impostava la linea politica di Fratelli d’Italia sul “sovranismo”, una sorta di nazionalismo radicale (del quale è rimasto ora un solo, miserrimo, retaggio semantico impropriamente reiterato: la Nazione) attraverso il quale si criticavano, anche aspramente, sia la Nato che l’Ue, attraverso il quale ci si opponeva alle sanzioni contro la Russia esprimendo anche una forte simpatia politica verso Putin. Un “sovranismo” tardo-fascista, tuttavia, rapidamente e totalmente svaporato tra le stanze del potere borghese, gli abbracci sentimentali ad Ursula von der Leyen e gli abbracci e le armi da inviare senza sosta a Zelensky.

No, non è un cambiamento opportunista di Giorgia Meloni, cari “compagni comunisti” amici di Alemanno e simpatizzanti sino a ieri di Orbán: è che i fascisti sono esistiti storicamente, ed ancora esistono politicamente, nel loro apparente disordine ideologico, solo in virtù della loro natura di braccia armate del capitale.

E voi state con loro?

* Coordinatore Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista

Immagine: Elekes Andor, CC0, via Wikimedia Commons

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