a cura di Adriana Bernardeschi
Intervista a Gianmarco Pisa, responsabile Esteri del Movimento per la Rinascita Comunista.
D. Caro Gianmarco, la segreteria nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista ti ha eletto, solo alcuni giorni fa, suo responsabile Esteri. L’intera redazione di «Futura Società» ti esprime i migliori auguri di buon lavoro, condividendo appieno il giudizio positivo nei confronti della tua grande preparazione, anche nel campo della politica internazionale, espresso da tutti i compagni e le compagne del MpRC che ti conoscono e hanno potuto apprezzare il tuo lavoro. Ti rivolgiamo questa intervista invertendo la scansione liturgica delle domande, e chiedendoti per prima cosa, visto che sei a contatto con tanti movimenti di lotta – in Italia e fuori dell’Italia – contro la guerra e contro le guerre imperialiste, nei quali militano tanti giovani: come vivono, oggi, i giovani i valori e l’impegno internazionalista, antimperialista, la lotta per la pace?
R. Grazie, Adriana, per le tue considerazioni e, attraverso te, un grazie all’intera redazione di «Futura Società» per l’iniziativa e il tempo dedicato a questo scambio di riflessioni. La lotta, che potremmo declinare, in generale, come lotta per la pace e contro la guerra, e, nello specifico, come lotta contro le guerre imperialiste, rappresenta un terreno di azione, sociale e politica, di primaria importanza. C’è più che mai bisogno di sviluppare un punto di vista di massa, coerente e avanzato, contro la guerra e contro l’imperialismo, a partire dall’imperialismo nazionale, l’“imperialismo del proprio Paese”. E, all’interno di questa cornice, c’è bisogno di fare avanzare una lotta coerentemente antimperialista presso le più ampie aree di movimento. Se l’imperialismo, a partire dalla nota caratterizzazione fornita da Lenin, è una categoria economica prima che politica, allora occorre sapere riconoscere i principali protagonisti della catena imperialistica internazionale, respingere equiparazioni improprie, individuare le principali minacce alla pace, alla giustizia internazionale e, come dicono a Cuba riprendendo un’ispirazione che deriva da José Martí e da Fidel Castro, all’“equilibro del mondo”, a ciò che ci collega “con i popoli e per il bene dei popoli”. La mobilitazione delle giovani generazioni diventa, allora, determinante. I giovani compagni e compagne dei movimenti democratici e comunisti, a livello internazionale, sono in prima fila in queste lotte. Nei Paesi dell’Occidente capitalistico, tra cui l’Italia, dove pure si producono attivazioni significative, va sviluppata una battaglia ancora più coerente in senso antimperialista e vanno individuati ancora più chiaramente i nessi, ad esempio, tra guerra, complesso militare-industriale, modello di sviluppo, difesa del lavoro e impatto sull’ecosistema.
D. Specificatamente, hai una grande competenza e anche una grande passione politica e intellettuale per l’America Latina – iniziando da Cuba – e le sue rivoluzioni. Che cos’è il socialismo del XXI secolo, come segna di sé gli attuali e imponenti processi di trasformazione sociale in Centro e Sud America e quale contributo politico e teorico esso consegna al pensiero e alla prassi del movimento comunista e marxista mondiale?
R. Il tema del socialismo del XXI secolo, decisivo per l’avanzamento delle forze marxiste e leniniste nel nuovo millennio e all’altezza delle sfide del presente, non si riduce, evidentemente, all’area dei processi rivoluzionari e di trasformazione in America Latina: basti pensare al contributo determinante che viene dall’elaborazione e dall’esperienza dei comunisti e comuniste cinesi e alle questioni cruciali da loro poste, sia nel senso del “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, sia nella direzione di una “comunità umana dal futuro condiviso”. Tuttavia, è indubbio che dall’America Latina emergono istanze e innovazioni di grandissima portata prospettica anche per i comunisti e le comuniste nell’Occidente capitalistico. Basti pensare, anzitutto, al luminoso esempio di Cuba socialista; la rivoluzione bolivariana e socialista in Venezuela; la rivoluzione sandinista in Nicaragua; la rivoluzione plurinazionale e socialista in Bolivia; la Revolución Ciudadana in Ecuador, solo per richiamare alcuni grandi processi latino-americani di trasformazione. Prima ancora, impossibile tacere della Insurgencia Zapatista dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale a partire dal 1994. Fenomeni, come si vede, incisivi e complessi, dai quali emergono, tra le tante, almeno due indicazioni di vasta portata: il carattere originale, innovativo e pluralistico di queste esperienze rivoluzionarie, insieme con la loro capacità di aderire efficacemente al proprio contesto storico, sociale, nazionale, di “costruire egemonia”, di istituire una “connessione sentimentale” a livello di massa; e poi il carattere specifico di tali processi, degli inediti percorsi lungo nuove “vie nazionali al socialismo”. Come ha recentemente sottolineato He Yiting, già vicedirettore della Scuola di Partito centrale del Partito comunista cinese, “il marxismo, fin dalla sua comparsa, ha superato confini geografici e barriere temporali, mosso dalla forza della verità, si è diffuso attraverso i cinque continenti e i quattro oceani, continuando a evolversi nel tempo; ha influenzato profondamente il corso generale della storia globale, modellandola razionalmente e, in definitiva, mutandone sensibilmente l’aspetto”.
D. A Gaza assistiamo al genocidio portato avanti cinicamente e impunemente dal governo e dall’esercito di Israele e alla complice accidia degli Usa e dell’Ue. Qual è il tuo pensiero al proposito? E a che compiti sono chiamati, di fronte a tanto orrore, le forze comuniste, antimperialiste, progressiste italiane? Qual è, a tuo avviso, l’azione più importante e concreta che possiamo/dobbiamo, unitariamente, portare avanti a favore della causa palestinese?
R. È stato il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a evidenziare, all’indomani degli eventi del 7 ottobre, che gli attacchi della resistenza contro Israele “non nascono dal nulla” e che “il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”. A Gaza, Israele è responsabile di crimine di genocidio. In Cisgiordania, l’occupazione israeliana, con un oppressivo dispositivo militare, si sviluppa nella forma del “colonialismo di insediamento”, basato su un’ideologia nazionale a sfondo religioso (il sionismo) e caratterizzato da tre connotati: l’insediamento coloniale e la conseguente espulsione della popolazione araba palestinese; la sottrazione della terra per scopi di annessione ed espansione; la sottrazione delle risorse fondamentali. Tra lo Stato di Israele e il popolo palestinese non esiste, propriamente, un “conflitto israelo-palestinese” perché non esiste uno scontro tra pari: la contrapposizione si svolge tra uno Stato occupante e una popolazione sotto occupazione, in lotta per il proprio diritto di autodeterminazione. È necessario sostenere la lotta di liberazione del popolo palestinese, e appoggiare i comunisti e le comuniste che, in Israele, si battono per la fine dell’apartheid contro i palestinesi, per la cacciata del governo ultrasionista di Netanyahu, peraltro sostenuto da formazioni radicali e fondamentaliste, e per una trasformazione strutturale di Israele, nel senso sia del superamento del costrutto etno-religioso che è alla base della sua costituzione materiale, sia di una riconfigurazione in senso democratico. Il Maki, il Partito comunista di Israele, è stato in prima linea nell’iniziativa di massa, con manifestazioni popolari per la cacciata di Netanyahu.
I popoli scelgono, nella loro autodeterminazione, le forme di lotta che ritengono più pertinenti; e la resistenza palestinese si è distinta per la pluralità delle forme di lotta, dalla resistenza nonviolenta alla lotta armata, dai comitati popolari di base alle forme di disobbedienza e non-collaborazione. Su questo, è bene ricordare che la Risoluzione 37/43 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (1982) ribadisce “la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dal dominio coloniale e straniero e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, ivi compresa la lotta armata”; e riafferma “il diritto inalienabile … del popolo palestinese e di tutti i popoli sotto dominazione straniera e coloniale all’autodeterminazione, all’indipendenza nazionale, all’integrità territoriale, all’unità nazionale e alla sovranità, senza interferenze esterne”. Dunque, non si tratta di assumere “il punto di vista di Hamas”; si tratta, al contrario, di riconoscere la complessità, la pluralità e l’articolazione della resistenza palestinese come movimento di massa, di comprendere il posizionamento politico delle forti componenti marxiste della resistenza palestinese (a partire dal Fplp e dal Fdlp), e di sostenere l’indicazione strategica in base alla quale il compimento della liberazione e dell’indipendenza nazionale è il presupposto della maturazione di condizioni democratiche e di avanzamento delle condizioni sociali.
D. Sono passati due anni dall’intervento russo in Ucraina, e ben dieci anni dall’inizio della guerra in Donbass. Che lettura dai di questi eventi e della loro correlazione? Cosa ha spinto Putin a iniziare l’Operazione speciale? Che epilogo dobbiamo auspicare, ed eventualmente appoggiare, del conflitto?
R. La guerra in Ucraina dura ormai da dieci anni, conseguenza del golpe di “Euromaidan” del febbraio 2014, con l’assalto ai palazzi delle istituzioni, la fuga del presidente legittimo Janukovyč, l’ondata di violenza contro gli oppositori del nuovo corso e la successiva guerra contro le popolazioni di lingua e cultura russa nelle regioni orientali del Paese. È stato messo in luce il carattere della direzione del golpe, basti citare almeno Pravyj Sektor, il Settore Destro, formazione neonazista; Svoboda, Libertà, erede del precedente Partito nazional-socialista di Ucraina; e una serie di altre formazioni, tutte, in ogni caso, nazionaliste, antirusse e, a vario titolo, filo-occidentali. L’attuale regime di Kiev, con Zelensky, ha messo al bando, nel corso del 2022, dodici partiti politici, di fatto l’intera opposizione, e dirigenti e militanti del Partito comunista dell’Ucraina sono ripetutamente sottoposti a violenze e persecuzioni. In questo contesto, la Russia è entrata nel conflitto il 24 febbraio 2022 con tre obiettivi: la difesa delle popolazioni di lingua e cultura russa del Donbass (le cui repubbliche avevano richiesto l’intervento russo a propria difesa), la denazificazione del regime di potere a Kiev, un nuovo accordo di sicurezza per prevenire la prosecuzione della minaccia militare della Nato ai confini della Russia. Basta guardare una mappa delle basi militari Usa e Nato per verificare l’accerchiamento militare della Russia e i continui rifornimenti in armi e mezzi per accertare che la guerra in corso è una guerra per procura Usa e Nato contro la Russia. In questa guerra per procura, l’Italia, co-belligerante di fatto, ha già speso oltre un miliardo in assistenza finanziaria e militare a Kiev. Come sempre, è essenziale ascoltare e riconoscere il punto di vista dei comunisti e delle comuniste del Paese: il Partito comunista della Federazione Russa, infatti, è fermo nella sua opposizione alle politiche economiche e sociali del governo russo e del capitalismo russo, ma sostiene le ragioni e le finalità dell’intervento militare in Donbass. Non c’è dubbio che occorra una soluzione politica, di pace: nessuna proposta in tal senso, peraltro, è giunta dai Paesi Nato, mentre hanno avanzato proposte di soluzione politica i Paesi africani, il Brasile, l’Indonesia e, soprattutto, la Cina, con la sua Proposta in dodici punti per la soluzione della crisi. Per l’intero movimento per la pace è essenziale ribadire le tre parole d’ordine: cessate il fuoco e fate spazio alla politica e alla diplomazia; basta armi all’Ucraina; basta sanzioni alla Russia.
D. Ci stiamo avvicinando alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Qual è il tuo giudizio sulle politiche dell’Ue? Come argomenti le nostre parole d’ordine “fuori l’Italia dall’Ue e dall’Euro”? E che cosa pensi del progetto in corso di costruzione dell’esercito europeo?
R. Fino ad alcuni anni fa, anche nell’area delle forze comuniste, permaneva il disegno di un’“altra Europa” e il progetto di una trasformazione su basi diverse, avanzate, dell’attuale configurazione dell’Unione Europea. Dal 2019, tuttavia, il riorientamento strategico dell’Ue ne ha radicalizzato i tratti che la rendono, di fatto, incompatibile sia con la prospettiva di una democrazia compiuta sia con la speranza della pace positiva. La Dichiarazione congiunta sulla cooperazione Ue-Nato del 10 gennaio 2023 sancisce il quadro strategico e di difesa della Ue “complementare alla Nato e interoperabile con essa”. La Bussola strategica Ue, del 21 marzo 2022, conferma che la Ue è “complementare alla Nato, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri”, nonché l’impegno per un esercito europeo, con una forza di dispiegamento rapido di cinquemila militari, e un potenziamento delle missioni militari Ue. Alle Nazioni Unite, il 3 novembre 2023, l’Ue ha votato contro la risoluzione volta a “Combattere la glorificazione del nazismo, del neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e l’intolleranza ad essi legata”; e del resto già prima, con la famigerata risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sulla “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, l’Ue, in maniera del tutto antistorica, aveva equiparato nazismo e comunismo parlando addirittura di “atti di aggressione, crimini contro l’umanità e massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari”. Sul piano strutturale, l’ordoliberismo (libertà di circolazione di beni, capitali e servizi; compressione dei diritti del lavoro; divieto di intervento pubblico; rigido controllo dell’inflazione; austerità economica e pareggio di bilancio) è un tratto costitutivo della Ue. Per questo, in termini politici, il no alla Ue, all’euro e alla Nato è il tratto di un medesimo orizzonte politico, di democrazia sostanziale, programmazione economica, sovranità popolare.
D. Una nuova area di crisi si sta aprendo nei Paesi baltici, con imponenti forze della Nato che vanno dispiegando i loro mezzi militari e i loro soldati in quell’area nevralgica del mondo. Cosa sta accadendo? Come ti spieghi questo nuovo e violento “interventismo” Nato?
R. Dalla fine dell’esperienza sovietica, i Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) sono stati considerati dall’imperialismo euro-atlantico come una punta avanzata dell’accerchiamento militare della Russia e come un bastione degli interessi Usa e Nato in Europa. Con la fine del Patto di Varsavia, era stato garantito che la Nato non si sarebbe espansa ad Est; viceversa, dopo l’unificazione tedesca (1990), ha via via inglobato, come membri, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca (1999), Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania (2004), Albania, Croazia (2009) e Montenegro (2017), infine Macedonia del Nord (2020). Proprio in questi mesi è in corso la più grande esercitazione di guerra della Nato in Europa dal 1989, la “Steadfast Defender”, che impegna ben 90mila soldati di 32 Paesi, 80 aerei e 50 navi da guerra, in particolare sul territorio di Germania, Polonia e, appunto, Paesi baltici, accerchiando di fatto il territorio russo di Kaliningrad. Ed è appena dello scorso 19 gennaio la stipula di un accordo strategico tra Estonia, Lettonia e Lituania per rafforzare il “confine orientale” della Nato e per costruire “strutture militari anti-mobilità” in chiave anti-russa, nella prospettiva, annunciata dal Ministro della Difesa lettone, di “rafforzare la difesa aerea, rafforzare la difesa missilistica e stanziare maggiori risorse”. Peraltro, nel solo 2022, i Paesi europei della Nato, secondo i dati Sipri, hanno aumentato le spese militari del 13%, raggiungendo la somma di 345 miliardi; gli Stati Uniti spendono da soli la cifra esorbitante di 877 miliardi di dollari, pari a oltre dieci volte la spesa militare della Russia e oltre tre volte la spesa militare della Cina; e sempre gli Stati Uniti mantengono all’estero un sistema di guerra impressionante, unico al mondo, con più di 500 basi in più di 40 Paesi. È piuttosto chiaro, insomma, dove sia la maggiore minaccia alla pace. Tutto ciò segnala l’esigenza e l’urgenza di una vasta mobilitazione popolare, per la pace e contro la guerra, contro la Nato, contro le basi, e contro i piani di guerra Nato che ormai si dispiegano letteralmente a tutte le latitudini, rappresentando la più grave minaccia alla pace e alla sicurezza a livello mondiale.
D. Anche nel Mar Rosso, lungo il Canale di Suez, la tensione aumenta di giorno in giorno, come i pericoli di un allargamento del conflitto. Qual è la tua analisi di questa ennesima area di crisi internazionale?
R. La guerra in corso contro gli Houthi in Yemen è la classica guerra a difesa degli interessi dell’imperialismo occidentale. Avviata dagli Stati Uniti, a capo di una “coalizione di volenterosi” composta da venti Paesi, l’azione di guerra denominata “Prosperity Guardian” è stata avviata proprio con lo scopo di “difendere il traffico mercantile nel Mar Rosso”. Proprio attraverso il Mar Rosso e il Canale di Suez transita il 12% del commercio globale, una quota significativa della componentistica per il settore automotive, prodotti destinati al commercio online, e inoltre, ovviamente, è una delle fondamentali rotte petrolifere internazionali. Il 20% del traffico navale globale di container insiste proprio sul Mar Rosso. D’altra parte, l’azione degli Houthi, in risposta al genocidio del popolo palestinese a Gaza, è diretta contro il trasporto marittimo dei Paesi occidentali, che continuano a sostenere attivamente Israele, ma non contro il transito delle navi russe e cinesi. Ancora una volta, le guerre dell’imperialismo rappresentano il principale fattore di violenza e di instabilità nelle relazioni internazionali, oltre che un estremo, pericoloso, tentativo di frenare l’emergere, ormai avviato, di un rinnovato multilateralismo e di un inedito mondo multipolare. Non è necessario, insomma, essere comunisti per riconoscere, con un grande socialista francese come Jean Jaurès, che “il capitalismo porta la guerra come le nuvole portano la tempesta”: il nesso capitalismo-guerra è più che lampante.
D. Un’ultima domanda, utile ai militanti del MpRC e non solo: qual è il tuo “piano di lavoro” come responsabile Esteri? Attraverso quale percorso ricostruire un movimento dal carattere di massa per l’uscita dell’Italia dalla Nato, riconsegnando autonomia e sovranità al nostro Paese? Come, concretamente, costruire l’unità d’azione delle forze comuniste, antimperialiste e, utilizzando un po’ disinvoltamente questo termine, “avanzate” del nostro Paese?
R. Il piano di lavoro sarà discusso ed elaborato insieme, non può essere l’iniziativa “illuminata” di un singolo compagno o di una singola compagna, ma il risultato di un’elaborazione collettiva, sulla base di un impianto politico riconoscibile e di una prospettiva politica nitida. Il MpRC, come movimento politico, è un’organizzazione politica strutturata e, nel quadro del suo Dipartimento per le questioni internazionali, in rapporto con la Segreteria e sulla base dell’indirizzo politico del Coordinamento nazionale, sviluppa relazioni internazionali e costruisce una linea internazionalista. Nel campo delle relazioni internazionali, ad esempio, fondamentali quelle con il Partito comunista cinese, con il Partito comunista della Federazione Russa, con il Partito comunista portoghese, con altre organizzazioni politiche marxiste e leniniste in Europa, con Cuba, Venezuela bolivariano, Bolivia, Nicaragua, e così via. È una sfida, indubbiamente, quella di declinare una linea, internazionalista e antimperialista, nel senso della proiezione di massa e nel contesto di un lavoro politico su base di massa. Tanto è decisivo avanzare una proposta di unità dei comunisti e delle comuniste, sulla base del marxismo e del leninismo, quanto è cruciale costruire la più ampia unità di azione delle forze di orientamento antimperialista, che, sinceramente e coerentemente, lottano contro la guerra e per la pace. Non potrà essere, da solo, il MpRC a “risolvere” la debolezza e la frammentazione del movimento contro la guerra e per la pace; ma potrà essere un soggetto attivo e dinamico, credibile, in questo cimento comune.
Immagine: ‘Spomenik Mira’, Monumento alla Pace (1992), Kruševac, Serbia, foto di G. Pisa.
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