Di Orazio Di Mauro *
Al di là degli allarmi che va lanciando l’Occidente sulla presunta volontà di intervento militare russo in Transnistria, occorre ricordare che la questione relativa a questo Paese nulla a che vedere con le due repubbliche del Donbass che chiesero alla Federazione russa l’integrazione nello Stato e che la stessa Transnistria, seppur minacciata dall’Ucraina, non ha chiesto l’intervento russo ma un aiuto economico, come lo ha chiesto all’Onu, all’Ocse e al Parlamento europeo.
Una nuova inquietudine si sta imponendo nel dibattito sulla situazione internazionale, specificatamente legato alla crisi ucraina. La Transnistria è conosciuta in Russia come Pridnestrovie. Non è questo il luogo per un esaustivo trattamento della realtà transnistriana dal 1991 ad oggi. Traccerò un sintetico racconto degli avvenimenti da quell’anno sino a oggi, per rendere più comprensibile l’odierno scoglio alla pace.
Dopo il fallito golpe contro l’autodissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, la Moldova dichiarò la sua indipendenza definitiva ad agosto 1991, continuando una vecchia politica nazionalista. Anche la Transnistria sostenne il suo colpo di stato per preservare la completa indipendenza e obiettivo era quello di costruire un proprio Stato, respingendo gli attacchi moldavi per sottometterla. Determinante per la vittoria transnistriana fu la presenza della 14ª armata dell’esercito russo, insediata a Tiraspol, rimasta lì anche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica precisamente per salvaguardare il più importante arsenale e deposito di munizioni in Europa, voluto ai tempi sovietici per rifornire le forze sovietiche in una eventuale terza guerra mondiale. Il governo di Mosca avviò negoziati con le repubbliche di Moldavia, Transnistria e Ucraina per trasferire i diritti sul materiale militare alla Russia. Da allora, la situazione era ed è congelata.
Oggi qualcosa è successo, un generale della Nato, rumeno, ha dichiarato che se in Transnistria la situazione cambiasse al punto che fosse danneggiata la sicurezza della Moldova, la Nato, attraverso la Romania, sicuramente entrerebbe in sostegno della Moldova, implicitamente riconoscendo che la Romania e la Moldova, da tempo, progettano un intervento congiunto in Transnistria.
Ovviamente, le affermazioni del generale rumeno non sono giunte né impreviste né strane a Mosca. Infatti, nell’imminenza e dopo la caduta di Adviika, quando l’esercito russo ha preso una duratura, e per certi versi vincente, iniziativa sul campo di battaglia, sono iniziati a verificarsi attacchi di droni di misteriosa origine ed esplosioni concomitanti a delle incursioni effettuate da uomini sconosciuti. Il ministero degli Affari interni della Transnistria ha segnalato due esplosioni nel villaggio di Mayak, nel distretto di Grigoriopol, che hanno danneggiato due potenti antenne radio. Le autorità della Transnistria non hanno aspettato molto a chiedere aiuto alla Russia. Si badi bene, non l’annessione, come nel 2022 hanno fatto le due repubbliche del Donbass, ma il soccorso economico e in prospettiva quello militare. Questo per non impaurire la minoranza turca in Gagauzia, che teme di essere sottomessa dalla popolazione russa transnistriana. Agire in anticipo e non aspettare è la parola d’ordine delle autorità russe e transnistriane. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha immediatamente risposto: “Proteggere la Transnistria è tra le nostre priorità. Il governo della Moldavia liquida il congresso della Transnistria che ha chiesto aiuto a Mosca, come ‘un evento puramente propagandistico’ ed è convinto che le sue decisioni non costituiscano una minaccia di escalation. Si sbaglia. Le accuse dell’Occidente sulla volontà del Cremlino di annettere la Transnistria è mera teoria russofoba”.
Ma le domande che dobbiamo porci per districare il ginepraio transnistriano, dopo la caduta di Adviika, sono due. La prima: dopo che la Russia avrà completato la liberazione del Donbass delle due Repubbliche Donetsk e Lugansk, quale sarà il suo obiettivo primario? La seconda: che intende fare l’Occidente con le sue provocazioni in Transnistria? Alla prima domanda la risposta è che la Russia non cambierà i suoi obiettivi. La Transnistria può aspettare. La Russia mira a isolare l’Ucraina dallo sbocco nel mar Nero e per fare questo ha scelto una modalità affatto nuova, la consunzione del nemico ucraino e, malgrado la propaganda occidentale si affanni a nasconderlo, ci sta riuscendo. Dal punto di vista numerico le stime dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), ci dicono che sono più di 8 milioni i profughi ucraini fuggiti in Europa. L’Alto commissariato evidenzia, inoltre, che ci sono stati 22 milioni di attraversamenti in uscita dal Paese dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa in Ucraina, col conseguente dimezzamento della popolazione ucraina, che è uno dei più grandi successi russi di questa guerra, pur non essendo strettamente militare. Insomma, l’avanzata russa non ha bisogno né teme le problematiche transnistriane. Ma allora cosa ha fatto e cosa farà la Transnistria? Vediamo di chiarirlo.
La Transnistria non ha chiesto l’intervento russo o l’annessione alla Federazione russa, ma il suo soccorso, ha chiesto aiuti economici e sociali alla Russia ma, contemporaneamente, all’Onu, all’Ocse e nientepopodimeno che al Parlamento europeo. Quindi, nulla a che vedere con le due Repubbliche del Donbass che chiesero alla Federazione russa l’integrazione nello Stato, ottenendo tatticamente sul terreno pochi mesi dopo e formalmente da più di un anno. Ciò spazza via tutte le illazioni che il mainstream occidentale ha fatto su una progressiva avanzata russa verso occidente, sia servendosi sia subendo la crisi in Transnistria. Appare chiaro che la Russia, se da una parte non lascerà sola la Transnistria, dall’altra parte non ne verrà, da essa, più di tanto condizionata. Tiraspol, la capitale della Transnistria, non modificherà gli obiettivi russi.
Va chiarita la funzione del deposito militare di Cobasna.
Esso consiste in una serie di riserve di armi e munizioni disseminate in Transnistria attorno alla cittadina di Cobasna. È il più grande deposito di munizioni dell’Europa centro-orientale: si stima in circa 22.000 tonnellate il suo carico di armi e munizioni. Situate a 2 km dal confine ucraino, questo deposito è di diritto proprietà russa e ciò permette alla Russia di dislocare nella regione separatista un contingente di circa 1.000 soldati, che non sono come erroneamente si pensa in Occidente, una forza di interposizione, ma una guardia armata che presidia questo importante deposito di munizioni. Strategicamente il deposito serviva 30 anni fa e serve ancora a proiettare la Russia verso un confine il più a ovest possibile. Per far questo, però, la Russia dovrebbe conquistare Odessa, che attualmente è una città difficilmente espugnabile, anche in virtù delle grandi fortificazioni erette in questi anni. Odessa è a soli 50 km dalla capitale Tiraspol, i russi sono isolati nella regione, sono poco più di 1.000 e potrebbero fare poco, se gli ucraini tentassero di impossessarsi del deposito, perché troverebbero la milizia transnistriana composta da 6.700 uomini che non mancherebbero di armi e munizioni e di appoggio aereo. Senza contare che vi sarebbe il rischio di una deflagrazione involontaria che corrisponderebbe ad una bomba di 15 chilotoni.
Andando a concludere, si deve tenere conto che la popolazione transnistriana si compone di un terzo di russi etnici, un terzo di ucraini etnici e un terzo sono moldavi. Oggi ci sono circa 220.000 passaporti russi in Transnistria, pur essendo solo un terzo la popolazione russa etnica.
La Transnistria è tornata d’attualità per la sua richiesta di aiuto economico, che, come abbiamo visto, non ha fatto solo alla Russia. Ma essa poco intralcerà l’obiettivo russo di un’Ucraina senza lo sbocco al mare nel Mar Nero, quindi senza Odessa. Così il Paese non avrebbe un futuro, ed è a questo che noi occidentali stiamo portando Kiev.
* Esperto di questioni militari e geopolitiche. Coordinatore del MpRC di Catania.
Immagine: Visem, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
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