La militarizzazione di Lampedusa

di Giacomo Sferlazzo; a cura di Laura Baldelli 

Riceviamo dal compagno militante Giacomo Sferlazzo, musicista e artista poliedrico, che vive a Lampedusa, una nota che denuncia come l’avamposto d’Europa stia diventando una strategica base militare, senza che il mainstream ne parli.

Introduzione di Laura Baldelli

Lampedusa da decenni è solo legata ai naufragi dei migranti, alle Ong nel nostro immaginario collettivo, o alle vacanze nel suo mare meraviglioso; già dagli anni ’70 era un territorio dimenticato dallo Stato italiano (chissà, forse perché geologicamente appartiene alla placca africana) perché nessuno nasceva più a Lampedusa, in quanto era stato eliminato il punto nascite e negli anni ’90 molti pescatori erano migrati in altre zone italiane per poter continuare a pescare, a causa delle condizioni climatiche che rendevano impossibile la pesca. Inoltre, come tutta Italia, l’isola è preda del turismo di massa, che non costruisce attività stabili e sostenibili, bensì ricerca spasmodica del profitto. 

Eppure, ci sono stati movimenti politico-culturali che hanno dimostrato che l’isola poteva sviluppare cultura e lavoro e lanciare un turismo sostenibile. 

Infatti, Giacomo Sferlazzo aveva fondato l’associazione socio-culturale Askavusa nel 2009 al fine di promuovere senso civico e comunitario contro il razzismo, facendo propri i valori della solidarietà, del rispetto e del multiculturalismo; Askavusa è stata la risposta culturale contro l’istituzione del Cie, il centro d’identificazione ed espulsione sull’isola. 

L’organizzazione del Lampedusainfestival fu l’occasione per un festival cinematografico dove parlare d’immigrazione, ma anche di musica e letteratura, usando la cultura come strumento politico per raccontare la vera realtà dell’isola e delle migrazioni con la categoria storica dell’imperialismo. Il festival era stato anche un volano per l’economia, attirando molti visitatori, lontano dal turismo predatorio, disordinato, omologante e sfruttatore del territorio. Anche la creazione del centro culturale Porto M, vera fucina artistica, era stato un punto di aggregazione per il recupero delle radici, dell’identità e della tradizione narrativa dei pupi siciliani. Askavusa, che in dialetto vuol dire “scalzi” è stato un laboratorio dove l’arte aveva abolito i confini tra vita quotidiana e lotta politica. 

Arte per costruire pace. 

Oggi, invece, sono in aumento i tumori e le patologie cardiache a causa dei radar antimissile, che denotano una militarizzazione dell’isola, strategica per le politiche militari Nato e viene negata un’indagine epidemiologica. Recentemente, il 3 ottobre, nella giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, a Lampedusa il regista Michelangelo Severgnini ha ricordato il 3 ottobre 2013 quando morirono 386 migranti, ricordando che a Lampedusa continua il naufragio della verità.

Nota di Giacomo Sferlazzo

Da anni a Lampedusa ci sforziamo di far emergere le connessioni che esistono tra la gestione delle migrazioni e le questioni militari; infatti, queste due sfere sono strettamente legate e si concretizzano nell’acquisto nel posizionamento di mezzi e strutture militari per il controllo militare del Mediterraneo. 

Con gli scenari di guerra che da un trentennio attanagliano il mondo e con le recenti crisi in Ucraina e Palestina, le condizioni per lo scoppio di una guerra mondiale si fanno sempre più concrete e allo stesso tempo emergono “i due pesi e le due misure” del blocco occidentale nello schieramento verso i due conflitti.

Lampedusa gioca un ruolo centrale e da qualche tempo assistiamo a un movimento frenetico di mezzi e personale militare, di voli militari e voli di Stato, visite di ministri, prefetti e alte cariche di corpi militari. Il 7 marzo è arrivata sull’isola una delegazione dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa); di questa visita, come accade sempre in questi casi, la popolazione ne era all’oscuro. La frequenza con cui sull’isola si avvicendano delegazioni, presidenti, ministri, prefetti e ogni alta carica possibile e immaginabile, non ha eguali in nessun comune italiano e forse europeo. 

La visita dell’Osce era già in programma  ed è stata correlata dal documento del 23 febbraio scorso “2024 Winter Meeting Report of Vice-President Dr. Daniela De Ridder, Chair of the Ad Hoc Committee on Migration, to the Joint Session of the Three General Committees”, in cui si parla di “un focus sulle misure di prevenzione e contrasto alla tratta di esseri umani e altre forme di criminalità organizzata nel contesto dei flussi migratori misti” e che “il Comitato è interessato anche alle procedure per altre categorie di migranti vulnerabili come i minori non accompagnati”.

Ma già nel settembre del 2023 c’era il fondato sospetto che si programmasse una Lampedusa come isola-carcere e militarizzata, viste le difficoltà di farne un centro per minori in mancanza di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei migranti e con Paesi terzi disposti a esternalizzare la frontiera Ue.  

Infatti, la posizione geografica dell’isola e la massiccia presenza di strutture militari, dell’hotspot, di svariati corpi armati, di Frontex e altre agenzie europee ne fanno già un avamposto militare perfetto per i piani della Nato e dell’Ue: banco di prova di un futuro esercito europeo, rilanciato recentemente da  Ursula von der Leyen il 5 marzo con il discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, enfatizzando l’importanza di istituire un commissario per la difesa e la necessità di rafforzare le capacità industriali e di difesa dell’Ue. 

“La nuova strategia europea sosterrà gli Stati membri non solo a spendere di più, ma a spendere meglio, insieme e in modo europeo”, ha infatti dichiarato la presidente della Commissione europea. 

Ricordiamo anche che la presidente scelse già Lampedusa come palcoscenico mediatico per annunciare il suo piano in 10 punti sulle migrazioni. 

Recentemente, gli Stati membri hanno chiesto l’uscita della Russia dall’Osce e per questo, a novembre 2023, il capo della diplomazia russa Lavrov, nel corso del summit annuale a Skopje in Macedonia, aveva accusato l’Osce di essere diventata “un’appendice della Nato e dell’Ue”. 

Il motivo di tutto questo è il profilarsi di una sconfitta dell’Ucraina e la vittoria della Russia, che aprirebbe scenari di una possibile guerra totale, come la stessa von der Leyen ha affermato: “I rischi di una guerra potrebbero essere esagerati, ma bisogna prepararsi. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri”.

Dichiarazioni precedute da quelle del capo del Pentagono, Lloyd Austin, che al Congresso americano ha affermato che se l’Ucraina perdesse la guerra, i Paesi Nato dovranno combattere contro la Russia.

In mezzo a tutto questo rimane schiacciata la nostra piccola comunità di 6.000 persone circa, che vive a Lampedusa e vede costantemente i propri diritti negati, tra una fragile economia basata sul turismo e dall’indotto dell’emergenza: ristoranti trasformati in mense militari, alberghi in caserme e la Croce Rossa, gestore dell’hotspot, diventa sempre più un “ottimo impiego”, specie nei mesi invernali. 

La pesca, anima e risorsa vera per l’isola, sta morendo sotto il peso di leggi dell’Ue, per i costi esagerati del carburante e per i trasporti che non garantiscono l’immissione del pescato nei mercati in tempi rapidi e in condizioni ottimali. 

Inoltre, nell’isola la presenza di monopoli nei settori dei servizi principali impongono indisturbati le proprie condizioni alla comunità senza un controllo pubblico.

La comunità vive sotto il ricatto dell’abusivismo edilizio e commerciale, proliferato senza controllo, per cui c’è necessità di un percorso specifico per regolarizzare e organizzare un nuovo sviluppo futuro, che coinvolga le istituzioni a tutti i livelli e la comunità; ma questa strada per la regolarizzazione interessa a pochissimi. Chissà come mai… 

Certo è che una comunità sotto scacco, con un’economia sempre più dipendente dall’emergenza, favorisce il processo di espropriazione e occupazione dell’isola per scenari carcerari e militari.

La comunità di Lampedusa, invece, dovrebbe dissociarsi dalla trasformazione dell’isola in base militare e luogo di detenzione e battersi per un percorso di regolarizzazione affinché si possa promuovere, oltre che il proprio sviluppo, anche la pace nel Mediterraneo e nel mondo.

Immagine: oscepa, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0&gt;, via Wikimedia Commons

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