di Gianmarco Pisa
“L’aggressione alla Jugoslavia ha distrutto l’intera architettura di sicurezza e cooperazione dell’Europa e del mondo, annullando i postulati di Teheran, Yalta, Potsdam, Helsinki e altri accordi e pilastri dell’ordine internazionale del secondo dopoguerra, inaugurando così disordine, insicurezza, persino caos”, il mondo disegnato dall’imperialismo occidentale e in alternativa al quale si staglia la prospettiva di un nuovo mondo multipolare.
Iniziava il 24 marzo 1999, esattamente 25 anni fa, l’aggressione della Nato alla allora Repubblica Federale di Jugoslavia, uno degli eventi spartiacque del nostro tempo, talmente rilevante e denso di implicazioni da essere diventato un vero e proprio oggetto di studio e di analisi da parte di osservatori e analisti e da essere portato spesso, più o meno appropriatamente, anche a paragone con l’attuale crisi in Ucraina.
Con quella guerra, infatti, questioni e pretese, destinate ad avere grande impatto nei tempi successivi, venivano portate al centro dello scenario internazionale, delle analisi strategiche e dell’opinione pubblica. Intanto, la più evidente di tutte, grave al punto da essere spesso, paradossalmente, rimossa: con l’aggressione alla Serbia e i bombardamenti su Belgrado, gli Stati Uniti e gli alleati della Nato riportavano, dopo le guerre di disgregazione della Jugoslavia della prima metà degli anni Novanta, pesantemente, la guerra nel cuore dell’Europa.
È sorprendente ascoltare, oggi, dichiarazioni che alludono alla responsabilità della campagna militare russa in Ucraina di avere riportato la guerra “nel cuore dell’Europa”. L’iniziativa russa non ha stabilito, in questo senso, il precedente. Dopo le crisi e i disordini in diversi Paesi dell’Europa centro-orientale che, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, hanno accompagnato il processo di dissoluzione del Patto di Varsavia e la fine dell’esperienza storica del socialismo reale di ispirazione sovietica in Europa, e dopo le già ricordate guerre in Jugoslavia, sono stati gli Usa e i loro alleati Nato, tra cui l’Italia, a riportare la guerra “nel cuore dell’Europa”.
In un notevole articolo, scritto (22 marzo 2019) in occasione del ventennale dell’aggressione e dei bombardamenti alla Jugoslavia, Luciana Castellina sottolineava, tra le altre cose, il fatto che “per la prima volta è tornata la guerra in Europa come strumento di regolazione dei rapporti internazionali, così rovesciando i principi sui quali si era faticosamente costruita la pace mondiale dopo il 1945”.
Inoltre, “è la prima guerra che si è combattuta sul suolo europeo dalla fine del conflitto mondiale; è un’aggressione di europei a un altro Stato sovrano europeo, del Sud-est dell’Europa. Smentisce così la mitologia, che si ripete ogni giorno, secondo cui la creazione dell’Unione europea avrebbe per sempre allontanato lo spettro degli scontri fratricidi tra le nazioni del vecchio continente”.
Infine, per la prima volta, “viene stracciato brutalmente un accordo internazionale considerato uno dei pilastri dell’ordine postbellico: quello di Helsinki, siglato nel quadro dell’Osce”. Sul posizionamento dell’Europa nello scenario del mondo e sul ruolo dell’Unione europea di fronte alle grandi crisi internazionali, peraltro, le contraddizioni sono talmente gravi e profonde da ripetersi in diversi contesti.
È appena il caso di richiamare il fatto che dal 2003 l’Ue ha avviato oltre 30 missioni internazionali e, al momento, sono ben 9 le missioni militari Ue in corso in Europa, Africa e Medio Oriente. L’impegno militare Ue a sostegno del regime di Kiev in Ucraina è impressionante, dal momento che, come indicano i documenti ufficiali, “insieme al sostegno militare fornito dagli Stati membri dell’Unione europea, il sostegno complessivo dell’Ue all’esercito ucraino è stimato a 33 miliardi di euro”. La stessa missione militare Aspides (EuNavFor Aspides), la missione militare Ue contro gli Houthi nel Mar Rosso, vede il comando italiano e la partecipazione, insieme con l’Italia, di Germania, Francia e Grecia.
In quella occasione, con l’aggressione della Nato alla Repubblica Federale di Jugoslavia del 1999, non solo si definiva nella maniera più nitida una modalità di esercizio dell’azione militare che sarebbe stata poi rivista e aggiornata anche per altri contesti e situazioni, ma si delineava nella maniera più compiuta il paradigma assurdo della cosiddetta “guerra umanitaria”. Difendere i diritti violando i diritti; fare la guerra per portare la pace; un’assurdità logica, un ossimoro feroce, in base al quale, in nome di una (presunta) finalità umanitaria strumentalmente agita, si scatenava una guerra, anche violando in maniera sistematica norme e principi elementari di diritto e di giustizia, dalla non ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi al rispetto per la sovranità e l’indipendenza politica delle nazioni, alla tutela della pace e della sicurezza internazionale.
Fu Pietro Ingrao a definire quella aggressione una “guerra celeste”: “Dopo l’11 settembre 2001, George Bush jr. ha parlato di guerra permanente. Ricompaiono la guerra giusta e persino la guerra santa. Nel Kosovo ha trionfato l’ossimoro della guerra umanitaria. Cancellata l’antica repulsione per l’uccidere, la guerra può risultare perfino feconda, un modo per realizzare un diritto, una pienezza di umanità. Sono state scavalcate le Costituzioni del dopoguerra, le Carte dei diritti, i principi fondanti dell’ordine internazionale. […] Sugli schermi abbiamo visto scie luminose, le pirotecniche immagini della guerra celeste. Alimentano l’illusione, e l’inganno, d’una purificazione della guerra”.
Dietro le apparenze “umanitarie” si cela, quindi, la realtà di una guerra imperialistica di aggressione, cui non fu estraneo il governo italiano dell’allora “centrosinistra”, con cui la Nato e le principali potenze europee e atlantiche, a partire dagli Stati Uniti, intendevano perseguire ben altri obiettivi.
In primo luogo, un’esigenza strategica generale: l’omologazione in chiave “atlantica” del continente, eliminando i punti di resistenza e, tra questi, in primo luogo, la Jugoslavia, la cui struttura e la cui leadership, ancora legati allo jugoslavismo e al non allineamento, non erano evidentemente compatibili con quel disegno. Quanto questo processo di omologazione sia andato avanti, lo mostra chiaramente la recente “Dichiarazione congiunta sulla cooperazione Ue-Nato” (10 gennaio 2023) che definisce la Nato “essenziale per la sicurezza euroatlantica” e la Ue e la difesa europea “complementare alla Nato e interoperabile con essa”.
In secondo luogo, un’esigenza strategica legata al riposizionamento nello scacchiere europeo e mediterraneo, come fattore di conferma dell’egemonia statunitense e di contenimento dei rivali strategici, Russia e, soprattutto, Cina. Nel contesto della guerra alla Jugoslavia si concretizza la prima espansione della Nato a est (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca) e subito dopo la guerra, alla fine del 1999, gli Stati Uniti costruiscono proprio in Kosovo la loro più grande base militare in territorio europeo, Camp Bondsteel, destinata a essere superata, per grandezza e potenza, dalla nuova base di cui è stata avviata la costruzione a Costanza, in Romania, ancora più a ridosso dei confini della Federazione russa.
In terzo luogo, un’esigenza strutturale, legata alle rotte dei mercati e ai flussi delle risorse, una vera e propria “geopolitica delle risorse”, in quella che, a cavallo tra Europa, Asia e Medio Oriente, è una regione cruciale, i Balcani, e, al loro centro, il Kosovo. Il Kosovo è, infatti, un crocevia della “griglia energetica” (che, partendo dal Caspio, supera il Mar Nero, attraversa i Balcani e approda, infine, sul Mar Adriatico) ideata dagli Stati Uniti per l’approvvigionamento di petrolio e gas e aggirare la Russia, estromettendola dalla competizione energetica.
I bombardamenti avevano, intanto, distrutto o danneggiato 25.000 unità abitative, 470 chilometri di strade e 600 chilometri di binari, 14 aeroporti, 19 ospedali, 20 centri sanitari, 18 scuole materne, 69 scuole, 176 monumenti, 38 ponti. Durante l’aggressione furono effettuati 2.300 attacchi aerei su 995 strutture in tutto il Paese; furono sganciati 420.000 missili e 37.000 “bombe a grappolo” e furono anche usate munizioni a “uranio impoverito”. Il danno conseguente alla contaminazione continuerà a mietere vittime nel corso delle generazioni. In definitiva, si stima siano stati uccisi 2.500 civili (secondo altre fonti, il totale fu di oltre 4.000 vittime), e più di 12.500 persone ferite, con danni complessivi stimati in oltre cento miliardi di dollari.
Giustificata con il fallimento delle trattative di pace di Rambouillet in Francia, l’aggressione alla Jugoslavia fu in realtà, come ha ricordato Živadin Jovanović, presidente del Forum di Belgrado per un mondo di uguali, un vero e proprio “punto di svolta globale”. Proprio in quei giorni, la Nato andava riconfigurando il proprio profilo e in occasione del vertice di Washington, a guerra in corso, il 24 aprile 1999, veniva adottato il nuovo Concetto strategico della Nato, che rende definitivamente l’organizzazione uno strumento di guerra globale.
Come stabilisce l’art. 31 del documento, infatti, “la Nato cercherà, in cooperazione con altre organizzazioni, di prevenire i conflitti o, in caso di crisi, di contribuire alla loro gestione efficace […] anche attraverso la possibilità di condurre operazioni di risposta alle crisi al di fuori dell’art. 5”, articolo che limita(va) il raggio di azione dell’Alleanza “in Europa o in America del Nord”. Né possono essere taciuti i paradossi della cosiddetta “proposta di pace” di Rambouillet, quella che, come ricordò Danilo Zolo, lo stesso Henry Kissinger riconobbe come “un diktat inaccettabile, poiché imponeva al governo di Belgrado di riconoscere la Nato come forza militare di occupazione dell’intero territorio serbo e montenegrino”.
La “proposta” prevedeva infatti la “presenza di una forza di implementazione militare che, su invito delle parti, sarà composta da forze della Nato. Il capo 7 è corredato da un’appendice che al suo art. 8 recita: il personale Nato dovrà godere, con i suoi veicoli, vascelli, aerei e equipaggiamento di libero e incondizionato transito attraverso l’intero territorio della Federazione […] ivi compreso l’accesso al suo spazio aereo e alle sue acque territoriali. Questo dovrà includere, ma non essere a questo limitato, il diritto di bivacco, di manovra e di utilizzo di ogni area o servizio necessario al sostegno, all’addestramento e alle operazioni”.
Un “punto di svolta globale”, si diceva. Nelle parole di Živadin Jovanović, “come ampiamente riconosciuto, l’aggressione è stata intrapresa in violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale, inclusa la violazione della Carta delle Nazioni Unite, e senza alcuna autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza […]. L’aggressione ha distrutto l’intera architettura di sicurezza e cooperazione dell’Europa e del mondo, annullando i postulati di Teheran, Yalta, Potsdam, Helsinki e altri accordi e pilastri dell’ordine internazionale del secondo dopoguerra, inaugurando così disordine, insicurezza, persino caos”, il mondo disegnato dall’imperialismo occidentale e in alternativa al quale si staglia la prospettiva di un nuovo mondo multipolare.
L’Europa – e, per diversi aspetti, il mondo come oggi lo conosciamo – è, in buona parte, prodotto della dinamica strategica innescata proprio con la guerra alla Jugoslavia: un crocevia della storia, del quale è bene non dimenticare le motivazioni e le responsabilità e per il quale è necessario continuare la lotta, in senso antimperialista e internazionalista, per la pace e per la giustizia.
Riferimenti:
Luciana Castellina, 1999, bombe su Belgrado. I frutti amari di quella prima guerra “umanitaria, ilmanifesto, 22 marzo 2019:
Gianmarco Pisa, Via della Seta e nuovo multilateralismo: una prospettiva globale, Futura Società, 7 marzo 2024:
Živadin Jovanović, NATO’s 1999 Aggression Against Yugoslavia: Turning Point, Forum di Belgrado per un mondo di uguali, 19 marzo 2023:
Danilo Zolo, L’intervento umanitario armato fra etica e diritto internazionale, Jura Gentium, 2007:
https://www.juragentium.org/topics/wlgo/it/kosovo.htm
Nicola Canestrini, L’accordo di Rambouillet, Intervento alla conferenza “Onu e Nato negli interventi armati: profili internazionali e profili interni”, Ferrara, 12 maggio 1999, Centro italiano studi per la pace, 1999:
https://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=rambouillet
Nato, Il Concetto strategico dell’Alleanza, Washington D.C., 23-24 aprile 1999:
https://web.archive.org/web/20061004060159/http:/www.nato.int/docu/pr/1999/p99-065e.htm
Pietro Ingrao, Indignarsi non basta, Aliberti, Reggio Emilia, 2011.
Immagine: “Zašto?” (Perché?), Belgrado: memoriale del bombardamento e della strage nel Palazzo della Televisione Serba, a Belgrado, 23 aprile, 1999; foto di G. Pisa.
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