I buoni e i cattivi nell’immaginario “meloniano”

«Futura Società» e Il Movimento per la Rinascita Comunista intervengono di nuovo sulle cariche agli studenti nella manifestazione contro il genocidio palestinese del 23 febbraio a Pisa.

La Relazione annuale del Consiglio dei ministri sulla sicurezza merita di essere letta e ponderata perché proprio da questi documenti, nel corso degli anni, sono partite campagne repressive contro i movimenti e i settori conflittuali della classe.

Il governo Meloni ricorrerà, come e più degli altri esecutivi alla decretazione di urgenza non solo per introdurre leggi eccezionali pensate per ridurre i diritti e gli spazi di agibilità collettiva ma per irrigidire ulteriormente l’apparato penale in un’ottica securitaria e reazionaria.

Fin dai primi giorni del suo insediamento il governo Meloni ha iniziato a occuparsi di temi quali la giustizia e la sicurezza e ha così proseguito nei mesi successivi.

All’orizzonte un nuovo decreto sicurezza

Probabilmente, lo avremmo dovuto capire fin dal primo momento, con il c.d. decreto anti-Rave, quale sarebbe stata la tendenza, se non altro per la velocità e l’opportunismo con cui veniva sfruttata una finta emergenza al fine di introdurre una nuova figura di reato, peraltro spendibile anche in altre e diverse circostanze.

E dopo il decreto anti-Rave, il decreto Cutro, il decreto Caivano, la legge contro gli ecovandali, è solo questione di tempo e presto arriverà il Ddl Sicurezza del ministro Nordio. Una legislazione emergenziale nella quale siamo entrati dagli anni Settanta e da qui non siamo mai usciti, legislazione che prende spunto dal codice penale di epoca fascista e rimasto quasi intatto nella Repubblica fondata dalla Resistenza. Come la sinistra comunista non ha mai fatto i conti fino in fondo con il passato coloniale, altrettanto potremmo dire con le norme penali che dal regime fascista arrivano ai nostri giorni.

Ma torniamo al documento prima menzionato per denunciarne la pericolosità politica; oltre a considerare la galassia anarchica come potenziale fonte di insurrezione contro lo Stato, troviamo alcune dichiarazioni esplicite contro l’area comunista conflittuale. Citiamo testualmente un passaggio: 

“La classica visione ‘internazionalista delle lotte’ ha contraddistinto in maniera significativa l’attivismo dei ristretti ambienti dell’oltranzismo marxista-leninista che, trainati dagli eventi bellici in Ucraina e, soprattutto, dal riaccendersi della crisi in Medio Oriente, si sono prodigati, pure in collaborazione con omologhi circuiti stranieri, in iniziative propagandistiche e mobilitative dal respiro antimilitarista, antimperialista e di decisa opposizione alla Nato. È in questo ambito che lo storico sostegno alla ‘resistenza palestinese’ ha lasciato spazio anche a interpretazioni di maggiore radicalità e intransigenza che si sono spinte a giustificare l’attacco armato di Hamas contro il ‘colonialismo sionista’”.

La solidarietà è un crimine da perseguire, specie se va alla resistenza dei popoli

Si punta direttamente il dito contro le realtà attive nel sostegno alla resistenza palestinese, contro il genocidio e la militarizzazione di scuole, università e di intere aree del territorio con la costruzione di nuove basi.

È evidente che sia da tempo iniziata non solo la criminalizzazione di queste aree politiche e sociali ma sia partito un sostanziale ordine alle forze dell’ordine di attenzionare ogni manifestazione di aperto dissenso alla militarizzazione e ai rapporti commerciali e militari dell’Italia con Israele. Al contempo, è innegabile che venga attenzionato anche il fronte sindacale mettendo sotto accusa i settori conflittuali e di classe.

La critica al colonialismo da insediamento diventa una sorta di minaccia da attenzionare e reprimere quando, invece, è proprio questo colonialismo la causa della espulsione dei palestinesi dalle loro terre e della resistenza contro l’occupazione militare israeliana in barba, per altro, a molte delibere delle stesse Nazioni Unite. 

Non ci meraviglia, quindi, che le manifestazioni a sostegno del popolo palestinese siano state ostacolate, represse a colpi di manganello; al contempo, perfino le iniziative intraprese da docenti pacifisti e antimilitaristi sono state sanzionate da presidi zelanti per i quali la collaborazione attiva con le forze armate sarebbe una sorta di valore aggiunto per le scuole di ogni ordine e grado.

In queste settimane esponenti del governo hanno chiesto esplicitamente di vietare manifestazioni a favore del popolo palestinese e vanno chiedendo ai presidi di vigilare perfino sull’operato civico degli insegnanti, alcuni sindacati di polizia invocano il governo ad adottare dei Daspo contro i partecipanti ai cortei terminati con scontri.

È bene ribadire che siamo davanti a intenti repressivi atti a normalizzare le scuole e le università facendo leva su campagne di paura per dividere docenti, studenti e studentesse.

Veniamo da anni nei quali si sono costruite le basi della società della sorveglianza, con sistemi di controllo, cani antidroga nelle scuole, telecamere lungo ogni strada, sistemi elettronici avanzati, alcuni dei quali di produzione israeliana, pensati per fini militari e ampiamente utilizzati contro le registrazioni pirata ai concerti, fino al riconoscimento facciale e all’identità digitale di cui si è fatto ampio utilizzo nella guerra a Gaza con bombardamenti a tappeto che hanno raso al suolo ospedali, scuole e case con i loro abitanti, migliaia di civili uccisi senza alcuna remora per colpire e neutralizzare anche un solo militante della resistenza palestinese.

E si è fatta strada che la militarizzazione del corpo sociale, delle scuole e delle università sia la sola risposta possibile mentre si lesinano fondi alla ricerca, all’edilizia scolastica e alla sanità. Siamo davanti a una scelta politica che il centrosinistra, nel corso del tempo, ha avallato.

La società della sorveglianza copre una dilagante insicurezza sociale determinata dalla precarietà del lavoro e delle nostre esistenze, da fondi che mancano all’istruzione, alla sanità e al welfare, la repressione è la classica risposta di un sistema malato che teme la rivolta sociale e per questo vuole diffondere e imporre rassegnazione e paura.

La criminalizzazione dei solidali con i detenuti

Ma, attenzione anche alle tematiche immigratorie e al carcere da sempre attenzionati in un’ottica repressiva e securitaria. Un pericoloso precedente è dato dal reato di rivolta nei Cpr e, in previsione, pensano di aggravare la pena prevista per il delitto d’istigazione a disobbedire alle leggi se avvenuto al fine di realizzare una rivolta in un istituto di penaanche attraverso scritti o comunicazioni dirette a persone detenute. La solidarietà, oggi assai debole, verso i detenuti e le condizioni detentive in carceri sovraffollate potrebbe presto tramutarsi in reato, specie se dovessero scoppiare rivolte e proteste.

Siamo, allora, davanti a una autentica minaccia alla stessa agibilità politica attraverso la configurazione di reati di solidarietà e il perbenismo della sinistra che fu comunista non rappresenterà certo un argine a questi processi autoritari. Si vogliono, quindi, spezzare i legami di solidarietà e di complicità con i detenuti nei Cpr (e da qui isolare e colpire i movimenti attivi contro le norme attuali in materia di immigrazione) e con i detenuti nelle carceri italiane per porre fine ad ogni rapporto tra chi sta dentro e chi sta fuori i luoghi di detenzione. Sono proprio i reati di solidarietà a essere periodicamente contestati dalle Procure, accusando i solidali di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare da imputare agli attivisti, ai migranti, ai solidali. E in ambito lavorativo, di cui abbiamo parlato brevemente all’inizio dell’articolo, i reati di associazione a delinquere sono stati più volte contestati ad alcuni sindacati della logistica; da qui, ad ipotizzare l’associazione sovversiva a carico delle realtà conflittuali il passo è breve.

Dopo la repressione della manifestazione studentesca pisana è nato un comitato formato da legali e genitori che vogliono fare chiarezza sull’operato delle forze dell’ordine e soprattutto sulla cabina di comando nella piazza del 23 febbraio ma non saranno certo i trasferimenti, per altro già previsti, di alcuni funzionari di Ps a coprire i mandanti politici di questa inaudita stretta repressiva.

I fatti pisani e l’urgenza di una lotta contro le legislazioni emergenziali

In questo contesto urge rimettere in discussione le legislazioni di emergenza, le normative repressive votate negli anni, dalle leggi Reale e Cossiga fino ai pacchetti sicurezza o al decreto contro il rave e contro gli ecoambientalisti. Queste tematiche devono diventare patrimonio di una discussione collettiva. Sta, quindi, a noi costruire sinergie con i legali per una critica radicale a uno Stato di polizia che il governo di destra intende costruire avvalendosi di norme votate dal centrosinistra e dai governi tecnici. Rivendichiamo, allora, una società democratica e istituzioni dal basso partecipate senza modelli di rappresentanza calati dall’alto e funzionali solo al controllo sociale, non basterà il mero e retorico richiamo alla Carta costituzionale. Per giorni è stata raccontata la storiella secondo la quale il corteo a Pisa sarebbe stato privo di autorizzazione, si confonde ad arte il preavviso con l’autorizzazione vigente in epoca fascista e che, magari, vorrebbero ripristinare per limitare le libertà collettive di movimento. 

Le cariche contro studenti e studentesse sono avvenute nel corso di una manifestazione contro il genocidio palestinese, vogliamo essere molto chiari su questo punto, è indispensabile rivendicare la libertà di espressione e di movimento ma anche prendere posizione affinché le nostre scuole e università non siano complici con lo Stato di Israele e con la Nato. 

La principale preoccupazione di presidi e istituzioni locali è scongiurare il deterioramento del clima di collaborazione tra forze dell’ordine e scuola, noi da sempre concordiamo con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università giudicando la presenza di militari nel mondo della conoscenza una mera intrusione nelle attività formative ed educative. Emblematica la presenza di militari che parlano di storia giustificando l’eroismo coloniale o delle forze armate che combatterono per volontà politica del fascismo a fianco dei nazisti. Non pensiamo che un militare possa, nelle scuole, parlare di pace e questo non significa scatenare un odio viscerale verso gli uomini e le donne in divisa ma solo prendere atto che scuola e università non debbono essere terreno di conquista per proselitismo militare e militarista o per progetti di ricerca a fini di guerra.

E la città di Pisa sta diventando un laboratorio per le destre, basta ricordare come alcuni esponenti del centrodestra chiedono la chiusura di aule autogestite dai collettivi e l’appuntamento del 16 marzo quando ci sarà una calata di realtà identitarie a Pisa, gruppi giovanili di quella destra che ha subito preso le parti delle forze dell’ordine solidarizzando apertamente con gli autori delle cariche. 

Immagine: Alberto Berlini,  https://www.flickr.com/photos/crossing_universe/2968530970/

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