di F. M.*
Dopo l’intervento di Alessandro Bortoloni sulle politiche sanitarie adottate durante la pandemia, prosegue il nostro spazio dedicato al dibattito sulla sanità. Qui di seguito riportiamo la lettera aperta di un infermiere, che testimonia lo stato del nostro sistema sanitario.
Vi chiederei cortesemente di omettere il mio nome per scongiurare possibili, o quasi certe, ritorsioni sul luogo di lavoro. Ho letto delle celebrazioni presidenziali per le vittime del covid e, in tutta sincerità, resto basito avendo vissuto esperienze negli anni pandemici veramente brutte. Mia moglie ha scelto di non vaccinarsi, è rimasta sei mesi senza retribuzione, abbiamo dovuto sospendere le rate del mutuo e oggi ci ritroviamo a pagare i debiti contratti. Io mi sono, invece, vaccinato controvoglia per non perdere il posto di lavoro evitando contenziosi con l’Ordine professionale.
Mi pare evidente che non abbiamo tratto alcuna lezione dal virus, gli organici in ospedale e nelle Rsa sono ancora inferiori alle necessità, si ricorre a interinali e ai doppi turni, alle cooperative che poi lucrano sulla forza lavoro sottopagata. Ho letto l’ultimo decreto sul Pnnr che sottrae 1,2 miliardi all’ammodernamento delle strutture, eppure è un dato acclarato che l’edilizia sanitaria sia in condizione di grave precarietà. Se poi consideriamo il mancato rispetto dei Lea, nella stragrande maggioranza delle regioni siamo davanti a un ulteriore depotenziamento del sistema sanitario pubblico in assenza di interventi organici sulla ricerca, sugli organici, sulle infrastrutture e per abbattere realmente le lunghe liste di attesa. Mia madre, ad 84 anni, si trova costretta a ore di telefonate per prendere una visita o un appuntamento ad Oncologia, un anziano dovrebbe essere invece guidato e assistito ma solo in rari casi accade. Anche le prestazioni domiciliari sono ridotte al lumicino.
L’attacco al Ssn ha, oggi, come obiettivo i fondi europei ricompresi nel Pnrr, ogni taglio sarà un ulteriore colpo inflitto alla sanità pubblica.
Interventi strutturali sarebbero urgenti per ammodernare strutture obsolete, soprattutto quei piccoli ospedali già colpiti dalla spending review. Chiuse alcune strutture, i pazienti devono sobbarcarsi ore di viaggio per le cure necessarie o ricorrere al pendolarismo sanitario alla ricerca di cure negate sul territorio dove si vive.
Molti operatori non si sono ancora ripresi dopo anni di doppi turni e ritmi asfissianti, viene pregiudicato anche il rapporto con i pazienti che dovrebbe essere uno dei capisaldi del Ssn.
Non evidenzio le innumerevoli criticità esistenti e a tutti note in sanità, posso solo dire che il numero chiuso negli atenei per le professioni sanitarie resta un “nonsense” che ritarda il cambio generazionale. Penso che anticipare per il personale della sanità l’età pensionabile sia una esigenza non procrastinabile, ovviamente senza decurtazione economica perché poi i pensionati ce li ritroviamo a lavorare in cooperative e agenzie interinali per incrementare un assegno previdenziale troppo basso.
La sanità è ancora ostaggio dei tetti di spesa, dovremmo rendere attrattivo il rapporto di lavoro nel Ssn da cui molti/e fuggono per andare nel privato, eppure, in questi anni, poco o nulla è stato fatto.
Le tante commissioni di inchiesta sono state occasioni perdute per intraprendere percorsi di reale cambiamento, ho invece l’impressione che le regioni si vogliano sottrarre da ogni responsabilità scaricando gli oneri allo Stato centrale o viceversa. Il burnout del personale è anche frutto dell’assurdo dirigismo aziendalistico, di rapporti di lavoro all’insegna del mero sfruttamento. Mi pare del tutto evidente che si voglia, piuttosto, potenziare il privato quando negli anni pandemici è stato, invece, il pubblico a sostenere tutti gli sforzi per la cura. Poi, posso anche riconoscere l’inadeguatezza di tante strutture pubbliche nell’affrontare l’emergenza del virus con protocolli dimostratisi errati. Voglio concludere con un’ultima considerazione: gli impegni assunti con la popolazione e il personale sanitario sono stati disattesi e di questo dobbiamo chiedere conto, ogni giorno, ad amministratori, regioni e governo.
*F. M., anni 52, infermiere
Immagine: Electrodrive, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
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