di Laura Baldelli e Federico Giusti
Serve un reale finanziamento alla ricerca pubblica se non vogliamo trasformare università e ricerca in ostaggio delle aziende produttrici di armi.
Nelle ultime settimane negli atenei italiani di Napoli, Torino, Bari, Pisa, Bologna, Genova, Reggio Calabria, fino all’occupazione della prima università di Roma La Sapienza, contro la militarizzazione della ricerca italiana, hanno riattivato la mobilitazione di studenti, ricercatori e docenti che, già dal 2022, a ridosso del conflitto in Ucraina, avevano chiesto d’interrompere gli accordi tra l’università e Leonardo: infatti l’ex Finmeccanica è presente con accordi di finanziamento per la ricerca in ben 60 atenei italiani con l’obiettivo di diventare un driver dell’innovazione, attraverso la creazione di un ecosistema incentrato sulla ricerca tecnologica; ma queste innovazioni sono invece destinate, per la stragrande maggioranza, alla produzione di nuovi sistemi di armi, piegando la ricerca pubblica a logiche di morte. Il problema di fondo, quando si parla del rapporto tra università ricerca e imprese militari, è quello della carenza di fondi per Cnr e atenei, il progressivo definanziamento è stato strategico e funzionale a favorire l’ingresso dei privati, delle aziende produttrici di armi, delle fondazioni ad esse legate, nella vita degli atenei, nei progetti di studio, di ricerca e anche nell’insegnamento tanto che Leonardo investe 2,2 miliardi in ricerca e sviluppo.
Anche il Pnrm, ovvero il Piano nazionale della ricerca militare, coinvolge i Ministeri della Difesa e dell’Istruzione e Università-Ricerca, rafforza il ruolo dell’università nel settore militare, come ribadisce il Documento programmatico 2020-22 dello Stato Maggiore della difesa, come il protocollo della Conferenza dei Rettori con Leonardo Med-Or.
È importante riportare anche uno stralcio del dossier “Università e Guerra” del Movimento No Muos, in cui si evidenzia come la conoscenza abbia abdicato al ruolo di costruire progresso pacifico, ai fini bellici: “Le aziende belliche che finanziano la ricerca non lo fanno in maniera disinteressata, ma creano profitto e possono attingere a un bacino ampio di stagisti/e e tirocinanti da impiegare presso le proprie strutture; un altro fine è politico e propagandistico, con un’università che si presta da un lato a legittimare le aggressioni imperialiste e, dall’altro a diffondere la cultura della difesa e della sicurezza nei territori, che serve a normalizzare la guerra e le sue conseguenze.” Infatti se la ricerca è finanziata dalle aziende, essa è strettamente vincolata nelle scelte strategiche, privata della propria autonomia. La premessa indispensabile ad ogni ragionamento è quella dell’urgenza di accrescere il finanziamento pubblico alla ricerca di base, operare delle scelte dirimenti: per esempio non finanziare il Piano nazionale di Ricerca militare del ministero della Difesa a favore invece del Piano nazionale della Ricerca del Mur.
Non si tratta quindi di rituali ed innocue manifestazioni contro le guerre e i genocidi, bensì è una mobilitazione contro la militarizzazione delle università italiane e la protesta di assegnisti, studenti e studentesse, docenti e ricercatori contro lo strapotere delle industrie di armi nelle università, per porre fine ad ogni collaborazione scientifica a favore di tecnologie dual use con Israele, va sostenuta con forza rilanciando anche la necessità di finanziare la ricerca italiana con progetti non finalizzati alla progettazione di armi. Gli atenei sono pronti a mobilitarsi di nuovo contro i progetti di ricerca tra le università italiane e quelle israeliane, in nome di quanto sta accadendo a Gaza.
La richiesta dei ricercatori del Cnr di sospendere la cooperazione italo-israeliana è stata respinta in sostanza dagli organi direttivi e alla fine “il Cnr non aderisce ad alcuna forma di boicottaggio nei confronti delle istituzioni scientifiche” e per questo parteciperanno al bando per ricerche congiunte, finanziato dal ministero degli Esteri con la esclusione delle sole ricerche in ambiti duali o militari; ma è una risposta insoddisfacente, perché non si rivendica una strategia complessiva di finanziamento pubblico statale, ma si posizionano solo alcuni paletti alla straripante presenza di imprese di armi nella ricerca negli atenei. La mozione approvata dal CdA del Cnr mostra diverse ambiguità, pur sostenendo la rituale, quanto formale, richiesta di cessare il fuoco e di riprendere i negoziati per una soluzione pacifica e duratura, basata sul diritto internazionale e sulle risoluzioni delle Nazioni Unite, che garantisca la sicurezza, il riconoscimento e l’autodeterminazione di entrambe le parti. Infatti non prende le distanze da Tel Aviv, ma si limita a rivendicare la supremazia di quel diritto internazionale, che però non ha impedito il genocidio del popolo palestinese con circa 34 mila morti.
Ma ci sono altre domande alle quali il Cnr non risponde: ad esempio chi decide quale ricerca sia dual use o come sarà possibile far venire ricercatori palestinesi in Italia, quando ogni scuola a Gaza è stata rasa al suolo, con ospedali distrutti e privati perfino di medicinali e della corrente elettrica.
Sostenere come fa il ministro Bernini che l’università è estranea ad ogni forma di boicottaggio è paradossale, perché equivale a piegare la ricerca a fini militari, rendendoci complici del genocidio del popolo palestinese in linea con la politica estera del governo Meloni.
Chiedere la sospensione dell’accordo della cooperazione scientifica Italia-Israele del Maeci e le dimissioni di rettori e rettrici dal consiglio di amministrazione di Med-or (la fondazione di Leonardo) è quindi una risposta obbligata per quanti non intendano asservire lo studio e la ricerca ai fini della guerra, rivendicando al contempo quel piano di investimenti nella ricerca pubblica che i governi degli ultimi decenni hanno dissanguato a colpi di tagli e di mancati investimenti.
Purtroppo oggi parte della comunità scientifica ha aderito alle regole del mercato in nome di presunte esigenze economiche ed occorre un controllo democratico sulla scienza, perché troppo spesso i fatti ci hanno dimostrato che la scienza non è neutrale. La scienza deve mettersi al servizio per il benessere dell’umanità, non della sua distruzione. Per questo l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha lanciato la petizione: “Fuori le università da Fondazione Med-Or/Leonardo, produttrice di armi e di morte”, che ha raggiunto quasi le cinquemila firme e tra le prime adesioni molti docenti universitari e ricercatori delle università di tutta Italia.
Sosteniamo e firmiamo la petizione:
Lascia un commento