di Roberto Vallepiano
Dal Laos, un esempio che smonta i pregiudizi dell’Occidente sulla propria presunta superiorità culturale.
In Laos la tolleranza nei confronti degli omosessuali e dei transessuali è assolutamente totale.
La tendenza sessuale di ogni cittadino è un fatto privato rispettato e tutelato scrupolosamente dalla Costituzione e dalle leggi.
Episodi di insulti, ghettizzazioni o aggressioni fisiche sono totalmente assenti.
Gli unici atti di discriminazioni ai danni di omosessuali si sono registrati durante il periodo coloniale francese e durante l’occupazione militare degli Usa.
Il governo socialista prevede uguali diritti e uguali doveri per tutti i cittadini a prescindere dal genere e dalle preferenze sessuali.
Non c’è alcun ostacolo a ricoprire ruoli pubblici o incarichi politici e istituzionali, ne a prestare servizio nelle forze armate.
Le operazioni di cambio di sesso avvengono nelle strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale e sono completamente gratuite.
Dal canto suo il buddismo theravada – corrente religiosa prevalente in Laos – non condanna l’omosessualità o la transessualità ma unicamente ogni forma di eccesso sessuale, compresa la castità.
La lettura che se ne da a livello teologico è che l’anima racchiusa in un corpo di Katoey (cioè il gay o il trans) proviene da una serie di reincarnazioni in corpi di donne e per questo ha attitudini femminili. Stessa cosa per le Thòm (le lesbiche) ma al contrario.
L’ordinamento laotiano non prevede il cosiddetto matrimonio gay ma ognuno è libero di convivere con chi crede a prescindere dal genere.
La sessualità è considerata un fatto intimo da vivere liberamente nel proprio privato, certi esibizionismi e carnevalate sono considerate isterie occidentali.
Né omofobia reazionaria, né arcobalenate liberal.
Né Family Day, né Gay Pride.
In effetti un Gay Pride c’è stato, si è svolto provocatoriamente all’interno dell’Ambasciata Usa di Vientiane. Nell’indifferenza collettiva.
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