di Fulvio Bellini
Presso la Cooperativa Editrice “Aurora”, Rolando Giai-Levra, Marinella Mondaini, Evgeny Utkin e Fosco Giannini rovesciano la lettura mainstream della crisi russo-ucraina, della grande vittoria elettorale e di popolo di Putin e dell’attentato terroristico a Mosca, ricollocando al centro le gravi responsabilità degli Usa, della Nato e dell’Ue.
Domenica 7 aprile scorso, presso la sala della Cooperativa Editrice “Aurora” in Milano, si è tenuto un importante convegno dal titolo “La Russia dopo la rielezione di Putin e l’attentato terroristico”, promosso dal Movimento per la Rinascita Comunista, «Gramsci Oggi» e la Cooperativa “Aurora”. L’iniziativa ha permesso di poter ascoltare opinioni ed esperienze non solo ben al di fuori dalla soffocante propaganda che ha sostituito la corretta informazione nei mass media occidentali, ed italiani in particolare, ma di avere una prospettiva completamente diversa: voci autentiche che provenivano dalla Russia, da russi e da chi sente l’esigenza di ristabilire una corretta relazione con un popolo che tanto si è sacrificato e tanto ha significato nella storia mondiale del XX secolo. Questo punto di vista autenticamente alternativo è stato possibile grazie alla presenza di prestigiosi relatori tra i quali l’ospite d’onore, Marinella Mondaini, giornalista e docente di filologia presso l’università di Mosca, incarico che le permette di vivere stabilmente nella capitale russa. La professoressa Mondaini è inoltre studiosa della storia dell’Ucraina con una particolare conoscenza del Donbass. Gli altri relatori intervenuti sono stati: Evgeny Utkin, analista politico, già docente di Economia e Matematica all’Università “Lomonosov” di Mosca e componente del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”; Fosco Giannini, già Senatore della Repubblica e coordinatore nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista; moderatore del convegno, Rolando Giai-Levra, direttore della rivista on-line «Gramsci Oggi» . Di fronte ad una sala riempita da un pubblico estremamente attento e consapevole della rara occasione di poter udire finalmente “l’altra campana”, Giai-Levra ha introdotto il tema, e dopo i ringraziamenti di rito a relatori e pubblico, ha opportunamente compiuto un excursus storico degli avvenimenti ucraini, che non sono affatto iniziati nel febbraio 2022 con l’inizio dell’operazione militare speciale russa, ma ben prima, ricordando il colpo di Stato di Euromaidan del 2014 e l’immediata politica anti russa e di aggressione alle regioni russofone del Donbass portata avanti dal presidente golpista Petro Porošenko, che è culminata con il proditorio attacco alla Casa dei Sindacati di Odessa del 2 maggio 2014 da parte di milizie neo naziste con la compiacenza delle autorità ucraine. Il direttore di «Gramsci Oggi» ha poi ricordato i vari tentativi di accordi presi tra Russia ed Ucraina con la mediazione di paesi Ue, ma successivamente sempre disattesi sia dagli europei che dagli stessi ucraini, dimostratisi burattini nelle mani degli occidentali: l’accordo Minsk 1 del 2014 e Minsk 2 del 2015. Giai-Levra accenna poi al ruolo negativo di Zelensky, all’attentato al Crocus di Mosca, in un quadro dove chi paga il conto è sempre la classe lavoratrice.
Marinella Mondaini si concentra sulla sua esperienza, vissuta personalmente, di conoscenza del Donbass. Quanto sta accadendo ora, spiega, era una tragedia annunciata e la popolazione del Donbass ne era consapevole. Mondaini sottolinea l’atteggiamento aggressivo che gli Usa hanno sempre tenuto nei confronti dell’Urss, iniziato subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: un atteggiamento fatto di pressioni ed interferenze che hanno contribuito all’auto dissolvimento dell’Urss agli inizi degli anni novanta. Nonostante la fine dell’Unione sovietica, gli Stati Uniti hanno continuato la medesima politica anche nei confronti della Russia. In questo quadro generale si è formato una sorta di spirito nazionale ucraino, paese che ha sempre rappresentato semplicemente una zona di frontiera del mondo russo, e che ha sviluppato sentimenti nazionalistici in una certa minoranza fin dalla fine del XIX secolo per le influenze sia dei polacchi che degli austro-ungarici. In seguito alla caduta dello zar ed alla presa del potere dei bolscevichi, l’Urss decise di creare un nuovo stato: la Repubblica socialista sovietica di Ucraina, dando, per la prima volta nella sua storia, una dignità statuale a quel paese. Con la caduta dell’Urss, Mondaini sottolinea la forte ripresa di sentimenti nazionalisti nella classe politica ucraina, un paese sospeso tra la sua naturale affinità alla Russia e le sirene che provenivano dall’Occidente. Questo stato di sospensione si manifestò nel ruolo politico equidistante che cercava di tenere il Presidente Viktor Janukovyč tra Russia e Ue. Nonostante questo atteggiamento neutrale, il golpe di Euromaidan lo costrinse a lasciare il paese per non essere arrestato ed anche ucciso. Crimea e Donbass si ribellarono immediatamente al golpe a Kiev ed alla strategia politica di “derussificazione” immediatamente adottata dal nuovo regime filo occidentale. La Crimea, ricorda Mondaini, è sempre stata integrata nella Russia fin dai tempi della sua conquista da parte di Caterina la Grande, e fu inserita nello stato socialista ucraino nel 1954 da Nikita Krusciov per ragioni che non furono mai ben chiarite, probabilmente per motivi amministrativi e burocratici. Il provvidenziale ritorno della Crimea alla Russia, avvenuto nel 2014 grazie al referendum indetto dalle autorità locali e permesso dal particolare status di autonomia ed il cui regolare svolgimento fu subito assicurato dal Cremlino, impedì alla Nato di posizionare una propria base in quella strategica penisola. Per il Donbass la situazione si mostrò subito complicata dal minore grado di autonomia rispetto a Kiev, e nonostante due referendum che chiedevano maggiore indipendenza dagli ucraini, il regime di Kiev optò immediatamente per una politica “terroristica” ai danni di quella popolazione, contraddistinta da un particolare sentimento anti fascista. Con l’avvento al potere di Zelensky, la situazione precipitò ulteriormente a causa della volontà di quest’ultimo di far entrare l’Ucraina nella Nato e di dotarsi di “bombe sporche”, ordigni con caratteristiche nucleari a bassa intensità, ma in ogni caso micidiali. Mondaini chiosa il suo incontro dando una suggestiva definizione delle cause della guerra per procura che l’Occidente sta conducendo contro la Russia: “L’Europa è sempre stata incinta di nazismo, e continua ad esserlo”. Il tema è di denunciare lo stato di aggressione che l’Occidente sta esercitando contro la Russia e di far arrivare alla pubblica opinione la verità.

Evgeny Utkin si concentra invece sulla situazione in Russia. La sala accoglie con partecipazione la richiesta di fare un minuto di silenzio in commemorazione delle vittime dell’attentato alla Crocus Hall di Mosca. Utkin racconta di un Putin veramente arrabbiato per quanto accaduto, e determinato a sapere la verità. La richiesta che il Presidente russo ha rivolto agli americani perché dicessero tutto quello che sapevano non era, quindi, affatto da prendere alla leggera; sia gli americani che gli ucraini hanno avuto paura. Secondo Utkin, Putin è perfettamente consapevole che gli americani sono coinvolti in qualche modo, questo è il motivo dell’immediata attribuzione dell’attentato ad Isis-K da parte degli occidentali ed il tentativo di scagionare gli ucraini. Il professore russo si dimostra scettico e critica il modo di conduzione delle guerre da parte degli occidentali, diametralmente opposto a quello dei russi, prendendo ad esempio il rapporto dei caduti tra militari e civili: nel caso del conflitto russo ucraino per ogni civile caduto vi sono 100 militari; nel caso del conflitto tra Israele ed Hamas il rapporto è invertito: 100 civili uccisi per ogni militare. Questa osservazione è utile per comprendere l’alto senso di responsabilità adottato da Mosca per evitare una escalation del conflitto; cosa che non si può dire nel caso di Israele. Utkin rivolge la sua attenzione all’Europa, denunciando la volontà di guerra espressa anche da partiti della cosiddetta “sinistra” come il Partito Democratico italiano che votano a favore di risoluzioni guerrafondaie a Bruxelles e che ne fanno propaganda attraverso suoi esponenti come Pina Picerno. In Germania si costruiscono nuove fabbriche per produrre munizioni; in Francia Macron vuole inviare soldati in Ucraina; con la scusa di grandi manovre congiunte, la Nato sta per schierare 100.000 uomini ai confini con la Russia. Attraverso i risultati esposti in un recente simposio svoltosi a Cernobbio, Utkin elenca le principali cause che stanno influenzando le decisioni politiche nel vecchio continente come segue: 25% inflazione; 18% le tasse; 12% il conflitto a Gaza; 11% le elezioni negli Stati Uniti; 7% guerra in Ucraina; 6% elezioni nella Ue. Il professore russo rimarca che per alcune élite economiche italiane, le elezioni americane rivestono un’importanza doppia rispetto a quelle europee, a riprova della sudditanza del vecchio continente nei confronti di Washington. Infine Utkin suggerisce un’azione politica da intraprendere: la richiesta di uscita dalla Nato da parte dell’Italia è definita utopistica, mentre la richiesta alla Nato di rimuovere le numerose testate atomiche custodite nelle basi italiane con standard di sicurezza decisamente inferiori a quelli, ad esempio, delle dismesse centrali atomiche, potrebbe essere intrapresa come ha fatto la Turchia con successo.
Fosco Giannini esordisce sottolineando l’importanza di convegni come questo per creare un contro pensiero a quello “mainstream” dominante. La sua attenzione si concentra sulla “russofobia” e su come questo sentimento parta da lontano, ed in questo caso si parla di motivi ideologici, vi è poi una russofobia che scaturisce da motivi concreti. Questi ultimi sono imperniati sulla figura di Vladimir Putin, che si erge contro l’Occidente dopo il periodo di Elstin. La russofobia, nota Giannini, è però tipica della classe dirigente occidentale, mentre non è affatto convinto che si trovi anche nella popolazione, ed in alcune frange di intellettuali illuminati. Sul fronte ideologico, la russofobia prende le mosse da certi miti, che hanno basi fantasiose. Come i “Protocolli dei Savi di Sion”, falso storico scritto dalla polizia segreta zarista Okrana, contribuì a dare base ideologica all’antisemitismo europeo fino alla seconda guerra mondiale (distinguendo così tra la vicenda storica del popolo ebraico e l’attuale guerra genocida condotta dallo Stato sionista israeliano), così il libro “Il Testamento di Pietro il Grande”, altrettanto falso storico scritto dalla polizia segreta francese nel 1796, fu la base della russofobia nel XIX e nel XX secolo. In quel testo si raccontava che Pietro il Grande avrebbe lasciato come testamento politico ai suoi successori il compito di conquistare Francia, Germania e pure la Spagna. La russofobia ha animato la Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale, contro il mostro russo che era diventato pure comunista, unendo idealmente i due testi: I “Protocolli dei Savi di Sion” con “Il Testamento di Pietro il Grande”: la Germania muoveva contro la Russia governata da una cospirazione giudaico-comunista. La russofobia animò gran parte della propaganda democristiana in Italia negli anni cinquanta e continuò nei decenni successivi in forme diverse, come le vignette disegnate da Giorgio Forattini. Giannini si chiede quanto sia importante la distruzione della Russia per invertire il trend di decadenza dell’Occidente collettivo, ed a tale proposito ricorda le tre fasi della storia mondiale dal 1991 ad oggi: la fine dell’Urss pone l’Occidente in uno stato di euforia, si parla di fine della storia nelle braccia del capitalismo cantata dal bardo Francis Fukuyama. Tuttavia l’Occidente non fa in tempo a finire i festeggiamenti che il sud del mondo inizia a ribellarsi: in America Latina a partire dal Venezuela di Chavez; in Africa a causa dell’asse Mandela-Gheddafi: in Asia grazie alla prepotente ascesa della Cina. Putin diventa sempre più il principale obiettivo dell’odio degli americani. Anche in Russia se ne accorgono e, ad esempio, in occasione di un recente dibattito alla Duma di Stato, il segretario del Partito comunista della Federazione russa, Gennadij Zjuganov, mentre ha criticato il partito vittorioso delle elezioni Russia Unita, ha compiuto dei distinguo nei confronti del suo leader, Vladimir Putin, il quale ha dimostrato di assumere su di sé alcune istanze sovietiche, prospettando un percorso di ritorno al socialismo. In soli diciotto anni lo scenario geopolitico è tornato in discussione grazie alla nascita dei Brics e l’istituzione della Banca di Shangai, alternativa al Fondo Monetario Internazionale. La terza fase, quella attuale, è contraddistinta dalla rabbiosa reazione dell’Occidente, fatta di guerre, stragi ed assassini (come quello di Gheddafi appunto). Si contempla la possibilità della Terza guerra mondiale anche con l’uso delle armi atomiche. Nel 2021 Biden convoca i leader occidentali in Cornovaglia e fa sottoscrivere la “Dichiarazione di Carbis Bay”, un documento programmatico che prevede la chiamata di tutti alla prossima “crociata” dell’Occidente collettivo contro Cina e Russia. il golpe a Kiev ispirato dall’Occidente di Euromaidan del 2014, con la sua coda di persecuzione di parlamentari e militanti comunisti, e la successiva guerra per procura contro Mosca, ne sono una prima esecuzione: 500.000 morti e 300.000 scappati nell’attuale conflitto con la Russia: i giovani ucraini fuggono dalla guerra per favorire gli interessi occidentali, e per ritorsione il regime ucraino terrorizza le loro famiglie. Giannini nota come tutti i comunisti dovrebbero essere uniti contro la guerra.
L’incontro prosegue con un vivo dibattito col pubblico, dal quale nasce la richiesta dell’unità dei comunisti e delle forze antimperialiste per la lotta contro la guerra e contro la Nato, e si conclude con un momento conviviale offerto dalle compagne russe presenti: ottima vodka, pane e salame. Il convegno ha certamente riportato al centro la necessità di divulgare finalmente la verità su quanto la Russia stia facendo in Ucraina e sul fatto che occorra rinsaldare i rapporti storici di amicizia tra italiani e russi.
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