La mattanza nei luoghi di lavoro

a cura della redazione

Aumentano le malattie professionali, e il demansionamento per sopraggiunta inabilità è l’arma padronale con la quale piegare la forza lavoro ai voleri datoriali, a ritmi intensivi e a carichi di lavoro insostenibili. Ne è testimone la strage di lavoratori ininterrotta a cui assistiamo.

Se prendiamo per buone le statistiche ufficiali, nel solo anno 2022 ci sono stati circa 703mila infortuni sul lavoro dei quali 1.208 con esito mortale. I morti sul lavoro in media sono 3,3 al giorno.

Per il sito Punto sicuro gli infortuni denunciati all’Inail a fine dicembre 2023 sono stati 585.356, in calo rispetto al 2022 (-16,1%) ma in aumento rispetto ai 555.236 del 2021 (+5,4%) e ai 554.340 del 2020 (+5,6%).

Questi dati non prendono in esame infortuni avvenuti nel corso di attività al nero con lavoratori e lavoratrici senza regolare contratto, stando ai dati Istat ci sarebbero quasi 3 milioni di lavoratori irregolari con numeri crescenti a partire dal 2020.

L’art. 3 del dlgs 81/2015 (Jobs Act) ha sostituito il testo dellart. 2103 c.c. concedendo al datore di lavoro il potere di modificare la mansione del lavoratore. La norma stabilisce che il datore può, in determinate circostanze, assegnare il lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purchè rientranti nella medesima categoria legale. Prima del jobs act era fatto esplicito divieto di modificare in peggio le mansioni e vigeva il principio di irriducibilità delle retribuzioni.

 Alla luce delle statistiche ufficiali possiamo asserire che:

  • il numero effettivo della forza-lavoro e delle ore effettivamente lavorate è sottodimensionato;
  • il numero degli infortuni è inferiore ai dati reali visto che gli irregolari in tanti casi non possono denunciare l’accaduto senza perdere occupazione e salario;
  • se l’economia italiana stenta a ritornare ai livelli del 2019, il numero di infortuni e morti sul lavoro resta costante o comunque diminuisce di poco.
  • Il jobs act rappresenta, come la cancellazione della scala mobile (in contesti storici differenti) uno strumento legislativo finalizzato a rafforzare il potere datoriale e padronale

Le varie statistiche ufficiali sono di aiuto ma non esaustive a fotografare una situazione drammatica che vede nel nostro paese elevate percentuali di morti e infortuni e crescenti casi di malattie professionali.

Le cause possono essere molteplici, vediamone alcune:

  • il capitalismo italiano viene da 40 anni di delocalizzazioni e scarsi investimenti in formazione, aggiornamento tecnologico e processi innovativi che dovrebbero anche contemplare la riduzione del rischio;
  • negli appalti e nei subappalti si lavora in condizioni instabili e precarie, i carichi di lavoro sono in costante aumento come vengono intensificati i ritmi produttivi, di conseguenza cresce il rischio per la salute e sicurezza della forza lavoro;
  • è vero che nelle statistiche ufficiali italiane sono annoverati anche gli incidenti in itinere ossia nel tragitto tra casa e lavoro (e viceversa), al contrario di altri paesi Ue che li escludono a priori, ma anche escludendo gli infortuni e le morti in itinere i numeri sarebbero ugualmente preoccupanti;
  • l’aumento delle malattie professionali conferma un fatto più volte denunciato, ossia il depotenziamento della medicina preventiva e del lavoro all’interno della crisi che affligge il Sistema sanitario nazionale con tagli strutturali agli organici, agli investimenti e alle strutture ospedaliere e sanitarie pubbliche. Dopo gli anni della spending review sono evidenti le diminuzioni dei posti letto negli ospedali e in terapia intensiva, la chiusura di piccoli ospedali e presidi sanitari, la tendenza di tante Regioni a ricorrere a interinali e cooperative per sostituire medici, infermieri e Oss alquanto carenti nelle strutture pubbliche. Perfino l’edilizia sanitaria è oggetto di tagli, e il rinnovamento delle strutture sta procedendo assai lentamente senza beneficiare per altro di fondi Pnrr.

Alla luce di queste considerazioni, scaturiscono alcune riflessioni che sintetizziamo in alcuni punti per favorire la comprensione delle problematiche:

  • infortuni, morti e malattie professionali sono anche risultato della crisi del modello di produzione capitalistico italiano e di decisioni politiche trasversali agli schieramenti che hanno portato al depotenziamento del Sistema sanitario nazionale come alla approvazione di norme che hanno sostanzialmente ridotto il potere di acquisto e di contrattazione. Molte lavorazioni sono pericolose perché si risparmia sulla sicurezza e sulle retribuzioni della forza-lavoro, vengono intensificati ritmi e tempi di lavoro, si pretendono prestazioni crescenti creando insicurezza e pericoli oggettivi per la nostra salute;
  • il sistema sanzionatorio per le aziende che non curano la sicurezza è stato ridotto ai minimi termini, anche i controlli delle autorità pubbliche sono sporadici e insufficienti per le croniche carenze di ispettori e le ultime assunzioni non compensano l’erosione degli organici avvenuta nell’ultimo trentennio;
  • il codice penale non prevede ancora reati specifici per i morti sul lavoro;
  • il Parlamento non sembra volersi assumere l’onere e la responsabilità sociale di rivedere l’insieme delle norme favorendo nei fatti soluzioni di compromesso con le aziende;
  • il sindacato nel suo complesso è del tutto inadeguato a fronteggiare la situazione, mai è stato convocato uno sciopero generale prolungato, anche in barba alle regole esistente in materia di sciopero, per contrastare conflittualmente la mattanza nei luoghi di lavoro;
  • i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza restano subalterni alla filiera della sicurezza aziendale; le stesse analisi e ricerche in ambito sindacale, eccezion fatta per alcune realtà (ma non tutte) del sindacalismo di base, si limitano a chiedere più ispettori e controlli senza mai guardare a come si sia involuta la filiera produttiva e come ogni giorno si operi nei luoghi di lavoro;
  • l’insicurezza sociale e i bassi salari favoriscono la sottovalutazione delle problematiche legate alla salute e alla sicurezza: la mera conservazione del posto di lavoro prevale su semplici richieste a tutela della salute del lavoratore stesso;
  • la forza-lavoro ha introiettato il punto di vista aziendale, se preferiamo del nemico di classe, e assume comportamenti proni ai voleri datoriali; lo stesso ragionamento vale per buona parte del sindacato che scambia l’aumento dei ritmi con misere compensazioni economiche attraverso gli accordi di secondo livello, che poi servono ai padroni per avere detrazioni fiscali.

Alla luce di queste scarne considerazioni possiamo asserire che la debolezza del movimento sindacale, la sua scarsa propensione alla conflittualità di classe, contribuisce agli infortuni e ai morti sul lavoro.

Manca una valutazione sugli effetti che l’intelligenza artificiale avrà nel mondo del lavoro, con la nascita di nuove patologie e di accresciuto stress psicofisico.

Non servono scioperi rituali e rivendicazioni farsa né tanto meno pensare che un semplice intervento legislativo possa essere di aiuto, visto che ogni legge è anche frutto dei rapporti di forza. Quando il sindacato e la forza-lavoro hanno espresso delle rivendicazioni, sono riusciti a imporre con il conflitto un radicale cambio di prospettiva: avvenne negli anni successivi al boom economico con lo Statuto dei lavoratori, ma non avviene di certo ai nostri giorni con salari che perdono ogni anno potere di acquisto e un potere contrattuale ridotto ai minimi termini.

Per quanto possa sembrare rituale o scontato, senza conflittualità non si combatte l’insicurezza sul lavoro, non si otterrà un’inversione di rotta rispetto al depotenziamento del Servizio sanitario nazionale che subirà ulteriori tagli una volta approvata l’autonomia differenziata, che compito nostro è contrastare con ogni mezzo a disposizione.

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