Guernica: la funzione civilizzatrice dell’arte – Da Gernika Gaza. La storia si ripete

di Laura Baldelli

Le immagini quotidiane della distruzione di Gaza, i suoi trentacinquemila morti destinati ad aumentare, oltre il dolore, lo sdegno e l’impotenza, rievocano il primo bombardamento della Storia sui civili inermi avvenuto a Gernika, che ispirò a Picasso Guernica, un’icona di pace e protesta, esprimendo il ruolo civile dell’arte. Ripercorrendo i tempi storici e la genesi dell’opera e il suo impatto nel mondo, possiamo rintracciare scelte politiche che determinarono conflitti ed immani catastrofi umane molto simili, che si ripresentano come coazioni a ripetere del potere e della sua mistificante comunicazione di massa.

Premessa

L’8 aprile 1973 moriva Pablo Picasso, un artista testimone del suo tempo che ha creato icone divenute simboli, non solo di dichiarazioni artistiche, ma anche opere di testimonianza storica come Guernica, un dipinto che cambiò la storia dell’arte, un monumento storico che trascende spazio e tempo contro l’ingiustizia, l’impatto devastante della guerra sui civili e manifesto per la pace.

Ben trentasei anni prima, il 26 aprile 1937, durante la guerra civile spagnola, avvenne il primo bombardamento sulla popolazione della Storia a Gernika, il nome basco della cittadina di 7.000 abitanti, ad opera della Legione Condor della Luftwaffe nazista e dei fascisti italiani dell’Aviazione legionaria, accorsi in aiuto al generale Francisco Franco; sganciarono tra le 30.000 e le 40.000 tonnellate di bombe incendiarie a scheggia, proprio il giorno di mercato, quando i contadini dalle campagne portavano il loro bestiame in città ed erano presenti tanti profughi scappati dalle zone occupate dai golpisti. Gernika non era un luogo militare strategico, fu scelta come “laboratorio”, così lo definì Herman Göring, per verificare l’efficacia dell’effetto sui civili di un bombardamento a tappeto, al fine di spegnere ogni forma di resistenza popolare e soprattutto fiaccare il morale delle forze repubblicane. La popolazione fu anche ingannata dalla ricognizione di due aerei, che fece precipitare tutti nei rifugi, ma poi quando sembrava un pericolo scampato e tutti tornarono alle loro attività, fu una strage: era l’Operazione Rügen, un nubifragio di bombe sganciate da 51 Heikel, 52 Junker, 17 Dornier, 109 Messerschmitt tedeschi e con una seconda ondata 79 S.M. e 26 caccia italiani C.R.32, mandati a infierire per finire il massacro. In tre ore d’inferno causarono, secondo le ultime stime 2.300 morti, 889 feriti e il 70% degli edifici rasi al suolo. 

La città di Guernica dopo il bombardamento. (AP Photo)

Questa inaudita ferocia è la stessa che colpisce oggi Gaza. E la Storia si ripete ancora più forte nel suo orrore perché l’obiettivo è il genocidio del popolo palestinese, cancellare la sua Storia, la sua cultura e il suo futuro.

Eppure il quadro di Picasso è un dipinto di guerra, nato d’impulso dell’artista addolorato e indignato a monito futuro contro le guerre, affinché il mondo sapesse. Ma invece non fermò neanche la Seconda guerra mondiale, che scoppio poco dopo, dove bombardamenti a tappeto sia nazisti che degli Alleati in Europa colpirono cinicamente le popolazioni; in Giappone a Hiroshima e Nagasaki si sperimentò una nuova arma di distruzione di massa, la bomba atomica, che rase al suolo le due città e portò conseguenze mortali anche ai sopravvissuti. 

Ormai, dopo il laboratorio Gernika, il mondo aveva capito che in guerra andavano fiaccati anche i civili e quindi un popolo intero con la sua storia e cultura. In Italia lo sappiamo bene cosa furono capaci di fare gli Alleati-liberatori.

Ma tornando a Guernica, per capire l’opera artistica e l’impatto nella cultura, è interessante ripercorrere quei tempi, che precedettero la Seconda guerra mondiale, come Picasso lavorò e come il dipinto diventò tra i quadri più famosi del mondo.

Il contesto storico

La guerra civile spagnola si scatenò con i venti fascisti che soffiavano in Europa: già nel vicino Portogallo governava il duro regime di Salazar, mentre invece in Spagna nel ’36, con l’abbandono del re in esilio volontario a Roma, il Fronte popolare delle forze democratiche con la maggioranza assoluta vinse le elezioni; ma le caste nobiliari e clericali erano timorose di perdere i propri privilegi feudali, perché il programma del Fronte intendeva realizzare l’aumento dei salari e la distribuzione delle terre per uscire dalla povertà e dall’arretratezza culturale del Paese. Fu così che il 17 luglio del ’36, alcune frange dell’esercito si ribellano alla Repubblica sostenute dalle forze conservatrici e nazionaliste, prendendo il controllo dal Marocco spagnolo fino ad altri territori nella penisola iberica: un colpo di Stato che si trasformò in guerra civile, in cui le forze nazionaliste controllavano le zone più rurali e povere della Navarra, Castiglia, Andalusia, mentre Madrid, Barcellona e Catalogna, Bilbo e i Paesi Baschi, Valencia, Asturie e Malaga rimanevano in mano alle forze repubblicane democratiche. Fu il primo ministro José Giral che decise di distribuire le armi al popolo, che assieme all’esercito fedele alla Repubblica, organizzarono la grande Resistenza popolare e fermarono l’espansione del golpe. Accorsero molti volontari da tutto il mondo ad aiutare i popoli di Spagna, le leggendarie Brigate internazionali, ma i soccorsi nazisti e fascisti, chiamati dal generale Francisco Franco ebbero la meglio, annullando la superiorità numerica dei repubblicani, nella totale indifferenza delle democrazie di Francia, Regno Unito e Usa che non intervennero, per timore che scoppiasse un conflitto mondiale; ma la verità era che ritenevano i fascisti meno pericolosi del Socialismo della giustizia sociale. Addirittura la Francia chiuse le frontiere ai rifugiati politici, quando s’instaurò la dittatura. Dal ’36 al ’39 morirono un milione di persone con uno strascico di feriti e mutilati difficile da quantificare. La Spagna fu governata da Franco fino al 1975, non partecipò al secondo conflitto mondiale e mantenne il suo stato di arretratezza sociale, culturale, religiosa ed economica.

L’artista e l’opera d’arte: Picasso e Guernica

Picasso, artista testimone del suo tempo, fu protagonista attivo, patriota che si ribellò alla violenza, alla tirannide schierandosi con il Fronte e Guernica può definirsi un’epitome, cioè un’opera composta per educare, perché racconta al mondo la carneficina programmata e messa in atto dai nazisti e dai fascisti.

Tomaso Montanari afferma che Guernica ha un’ambizione di eternità, è poesia altissima ed universale, perché Picasso è stato capace di parlare del proprio tempo con una lingua fuori dal tempo. Infatti scrisse sul «Venerdì di Repubblica» del 17 marzo del 2017: “Guernica, al contrario, non illustra, non documenta, non rappresenta. Lo fa resuscitando il linguaggio dei simboli e delle figure degli antichi, facendo rivivere e trasfigurando la tradizione che allinea Giotto, Raffaello, Caravaggio, Rubens, David e Goya”.

Con questi presupposti andiamo a ripercorrere la genesi dell’opera.

Picasso apprese dell’eccidio il 27 aprile a Parigi dove risiedeva, seduto al tavolo del Cafè Flore, leggendo il quotidiano «l’Humanité», che informava e mostrava le foto dell’orrore; ne fu profondamente colpito, tanto che volle tramutare il dolore e l’indignazione in espressione artistica, il suo linguaggio privilegiato per comunicare. Infatti si racconta che quello sdegno sbloccò il vuoto creativo della sua ispirazione per il lavoro commissionato dal governo repubblicano spagnolo: un grande murale da esporre al padiglione spagnolo dell’Expo parigino. Picasso si era schierato con i Repubblicani, ma il suo impegno politico non era mai andato oltre un generico anarchismo bohémien e dirigere il museo del Prado da Parigi. 

Si era arenato su un lavoro che contaminava i moderni comics con le aleluyas, incisioni popolari della tradizione religiosa barocca, immagini grottesche, accompagnate da scritti satirici per sbeffeggiare il Generalissimo. Ma dopo la strage in pochi giorni realizzò i primi disegni, i cui soggetti furono i personaggi della versione finale, ma profondamente modificati.

Guernica è passata alla storia anche come l’opera d’arte più documentata nel suo farsi, perché per tutto il tempo di lavoro, circa un mese e mezzo, Picasso permise per la prima volta di essere fotografato mentre dipingeva; fu Dora Maar a immortalarlo nello studio di Rue des Grands Augustins n. 7, un antico palazzo, carico di storia, adatto ad ospitare la tela di juta grezza di oltre 7 metri per 3,5 di altezza. L’impeto delle emozioni e il furore artistico furono così potenti da esprimere un’arte drammatica, violenta, da sembrare che l’artista intraprendesse una lotta. 

Geltrude Stein affermò: “Picasso ha bisogno di un forte stimolo per attivarsi al punto di vuotarsi completamente. In questo modo ha sempre vissuto la sua vita”. Inoltre è anche il frutto di studi di Storia dell’arte, ricerca e sperimentazione pittorica; infatti Picasso affermò che il suo dipinto era “la somma delle sue distruzioni”, perché voleva prosciugarlo dai riferimenti storici, affinché non ci fosse collocazione temporale: doveva essere una scena primordiale, ma anche moderna. Molti studiosi dell’arte moderna dicono che le fonti artistiche di Guernica vanno dalle pitture rupestri, alla scultura funeraria di Roma, ma anche Guido Reni, Rubens e Goya. 

È davvero anche un’icona culturale, nota in tutto il mondo. 

Tutta l’opera va studiata nelle sue figure, l’uso dei simboli e nella scelta del colore ad olio, quasi un monocromo, fatto di nero, bianco, grigio; le figure, tre donne, un neonato, un guerriero, un uomo, un cavallo, un uccello, un toro, sono rappresentate con scelte antiretoriche, dove non c’è traccia del nemico fascista. Il suo intento era dipingere la morte, non solo delle vittime, ma soprattutto della civiltà.

Le figure del cavallo e del toro, appartengono ai simboli della mitologia spagnola: il toro è l’allegoria delle vicende umane, il cavallo il popolo, la composizione si legge da destra verso sinistra e la donna con il neonato morente aggiunge strazio alla tragedia e non può non ricordare le madri e i padri di Gaza e di tutti i conflitti del mondo nel tempo. In questo sta l’universalità di Guernica che trascende spazio e tempo. 

Un’altra particolarità fu il lancio mediatico dell’opera già durante la lavorazione, tanto che aprì lo studio ad artisti e intellettuali come Alberto Giacometti, Paul Eluard, André Breton, Henry Moore; si rivelò anche un’efficace operazione di marketing, che rese famoso il quadro prima ancora di essere finito.

Al padiglione spagnolo all’Expo di Parigi, inaugurato il 12 luglio 1937, per vera ironia della sorte era collocato di fianco a quello della Germania nazista, naturalmente disegnato da Albert Speer. Esponevano molti artisti di Spagna, tra cui Miró, che avevano risposto all’appello del governo Repubblicano. Guernica, nonostante il battage pubblicitario, non ebbe l’accoglienza di pubblico e critica auspicata: quella più grave fu espressa dal governo basco che rifiutò l’opera come dono dell’artista. Addirittura José Maria Ucelay, artista basco, disse del dipinto: “Come opera d’arte è tra le più scadenti mai realizzate al mondo… sono sette metri per tre di pura pornografia, che gettano merda su Gernika”. Raccolse una serie di giudizi negativi anche tra gli artisti che non erano così preparati alle avanguardie e alla ricerca pittorica, avvolti nella nebbia del conformismo di maniera e dello stesso pregiudizio dei nazisti che il 19 luglio 1937 inaugurarono a Monaco la mostra dell’arte degenerata. Ci fu anche chi colse perfettamente il messaggio, come lo scrittore Michel Leiris, che percepì una premonizione: “In un rettangolo bianco e nero, come quello in cui si presentava una tragedia antica, Picasso ci invia l’annuncio del nostro lutto: tutto ciò che amiamo sta per morire”. Fu straordinariamente profetico, visto che nel ’39 scoppiò la Seconda guerra mondiale.

Guernica però divenne subito un quadro nomade, come se l’autore l’avesse previsto, in quanto la juta grezza era stata preparata per il trasporto; infatti partì per essere esposta in Scandinavia e nel Regno Unito, poi negli Usa, dove trovò asilo al Moma di New York per tutti gli anni della guerra, poi dai depositi del Metropolitan Museum girovagò in varie mostre, tra cui anche Milano nel ’53 a Palazzo Reale, dove Picasso volle collocarla proprio nelle sale rimaste danneggiate dai bombardamenti; nell’81 tornò nella Spagna democratica, otto anni dopo la morte di Franco, e fu esposto prima a Madrid presso il Cason del Buen Retiro, poi al museo del Prado, e dal 1992 nel nuovo museo nazionale Reina Sofia. 

Fu così mantenuto il volere dell’artista: che l’opera tornasse in Spagna solo con l’avvento della democrazia, ma Picasso morì prima di vedere il dipinto nella Spagna liberata dall’umiliazione del franchismo. 

Anche una copia di Guernica in forma di arazzo, esposta al consiglio di sicurezza dell’Onu, subì una grave umiliazione nel 2003, in quanto fu coperta con un telo nero, affinché il segretario di stato Usa, Colin Powell, potesse presentare la grande menzogna delle armi nucleari possedute dall’Iraq di Saddam Hussein, per avere il via libera alla guerra e ai bombardamenti. L’annuncio non poteva essere fatto sotto la rappresentazione del bombardamento di Gernika, il simbolo contro tutte le guerre… l’avrebbe vista il mondo intero.

La collera dei simboli nella composizione narrativa di Guernica sprigionava ancora un’energia primitiva, dando vita ad un lessico universale nella più alta espressione di funzione civilizzatrice dell’arte, da essere giudicata pericolosa dal potere.

Oggi, spesso, quando si portano le scolaresche a vedere Guernica, ci si perde tra le fasulle spiegazioni dei misteri nati dall’interpretazione dei simboli, aneddoti sull’autore, o in vuoti rituali pacifisti, invece di stimolare la ricerca della forza dell’indignazione dell’artista che lottò con spenti colori e pennelli a bastone, arrampicato sulle scale, per trovare l’efficacia espressiva del racconto della morte universale, causata dalla barbarie umana.

L’arte non è contemplazione, è azione creativa di vita e monito civile contro la barbarie delle guerre imperialiste diffuse nel mondo.

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