a cura della redazione
La Festa dei Lavoratori è ridotta ormai a concerti e pranzi o a iniziative poco partecipate. I comunisti sono ormai fuori dai luoghi della produzione e si è reciso il legame con la classe di riferimento. Da dove ripartire nel segno della conflittualità sociale e politica?
Parlare di lavoro oggi è impresa ardua, ancora più difficile è assumere non solo delle posizioni corrette ma farle seguire da iniziative conseguenti.
Non intendiamo muovere accuse gratuite. Piuttosto la prima critica va mossa a noi stessi, al movimento comunista frammentato e diviso, da anni ormai incapace di avere voce in capitolo nei luoghi di lavoro. Il legame con la classe di riferimento si è via via allentato e l’approccio sociologico o ideologico è divenuto una facile scappatoia. Per troppo tempo la discussione politica, se così vogliamo definirla, si è sviluppata attorno al ruolo del sindacato. Il problema non è se i comunisti debbano aderire a questo o quel sindacato ma quello di elaborare le proprie proposte di politiche industriali e del lavoro e nel contempo aprire una battaglia politica e ideologica insieme alle parti più avanzate dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali contro l’egemonia del riformismo e del liberalismo e per un indirizzo sindacale di classe in grado di mobilitare e coinvolgere le masse lavoratrici e l’intero movimento sindacale confederale ed extraconfederale verso un unico sindacato di classe nell’esclusivo interessi dei lavoratori.
Il 1 Maggio 2024 per noi dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, essere occasione di una riflessione collettiva, di un ripensamento complessivo dei nostri compiti all’insegna del conflitto e di una rinnovata, intelligente e propositiva presenza nei luoghi di lavoro.
Anche il sostegno arrecato a singole vertenze, per quanto significativo e importante, è insufficiente se il nostro impegno, se il mettersi a disposizione della classe viene poi vanificato da scelte all’insegna del mero compromesso o della riduzione del danno da parte sindacale.
Il ruolo difensivo e offensivo dell’azione sindacale induce noi tutti/e a un salto di qualità, a partire dalla comprensione di cosa sia oggi il mondo del lavoro; uno sforzo per aggiornare la lettura dei fatti e comprendere le odierne contraddizioni tra capitale e lavoro.
A dicembre 2023 l’Istat pubblica il suo consueto rapporto attestando un leggero aumento degli occupati e degli inattivi con lieve flessione dei disoccupati.
L’occupazione cresce di 14mila unità tra gli uomini ma molti sono i contratti a tempo determinato e precari; aumentano insomma di poco i dipendenti a termine, gli autonomi (spesso partite Iva farlocche volte a occultare un rapporto di lavoro dipendente), cala invece l’occupazione femminile e il tasso di occupazione si ferma al 61,9%. La crescita del numero di inattivi (+0,2%, pari a +19mila unità, tra i 15 e i 64 anni) porta il tasso di inattività al 33,2%.
Questi dati hanno spinto esponenti del Governo a valutare positivamente la cancellazione del reddito di cittadinanza, una conclusione alquanto frettolosa che dimentica la condizione di miseria in cui versano tante famiglie soprattutto nelle aree metropolitane e del Sud.
Da anni la condizione di vita e salariale della forza-lavoro è in fase di deterioramento. Il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi è stato eroso dall’assenza di un meccanismo automatico di adeguamento al costo della vita come la scala mobile. I costi a carico delle famiglie aumentano perché gli stipendi non tengono conto del rincaro dei prodotti energetici; si scambiano incrementi reali con benefit e i contratti di secondo livello diventano occasione per smantellare le tutele collettive. I premi aziendali, detassati, diventano strumento per scambiare pochi euro con aumento dei ritmi e della produttività. È arrivato pertanto il momento di mettere in discussione quei meccanismi iniqui e vessatori che determinano la perdita del potere di acquisto.
Ripristinare la scala mobile è non solo una rimembranza del passato ma piuttosto obiettivo strategico all’insegna del quale incontreremo innumerevoli difficoltà. Ad esempio, si frapporranno le regole di Bruxelles all’insegna dell’austerità salariale, regole recepite da tutti i paesi della Ue. Non sarà una battaglia facile e dall’esito tutt’altro che scontato ma la prospettiva del ripristino della scala mobile sarebbe dirompente. Non innamoriamoci della formula in sé ma facciamo valere invece il principio secondo cui gli stipendi dovrebbero essere adeguati automaticamente al costo della vita per salvaguardare il potere di acquisto.
Insieme al potere di acquisto urge salvaguardare quello contrattuale, da anni le materie da contrattare sono ridotte ai minimi termini anche nel settore pubblico. E minori spazi di contrattazione determinano alla lunga la sconfitta dello stesso sindacato
Dalla sciagurata autoregolamentazione, voluta decenni or sono da Cgil Cisl Uil come gesto di responsabilità in contrapposizione ai Cobas, a oggi, perfino il diritto di sciopero è stato progressivamente eroso. Chi si muove al di fuori di regole capestro rischia anni di carcere, denunce e feroci repressioni come previsto dai pacchetti sicurezza. E il potenziamento dei codici di comportamento è stato pensato ad arte per creare condizioni oggettive favorevoli ai licenziamenti individuali.
L’agibilità sindacale è indispensabile per sviluppare conflitto. Da troppi anni il diritto di sciopero è vincolato a regole atte a impedirne il regolare esercizio o a ricondurlo nell’alveo delle compatibilità con le associazioni padronali e con i dettami della produttività che ormai animano le relazioni sindacali stesse.
La libertà del diritto di sciopero merita grande attenzione. Da quando sono state approvate, con la complicità dei sindacati rappresentativi, regole vessatorie e inique anche il potere contrattuale ha iniziato l’inesorabile caduta verso il basso. E pertanto i comunisti dovrebbero lavorare per restituire dignità allo sciopero combattendo le regole che l’hanno di fatto imbrigliato per vanificarne l’efficacia e alla fine delegittimarlo anche agli occhi della forza lavoro.
Potremmo aggiungere innumerevoli altre questioni ma ci fermiamo volutamente qui. La ripresa del conflitto passa dalla salvaguardia del potere di acquisto e di contrattazione, avere pensato di conquistare situazioni di miglior favore per via negoziale o con la concertazione è stato un misero fallimento culturale e politico (non solo sindacale) che ha trasformato i sindacati rappresentativi in piazzisti dei fondi pensione, disposti a sottoscrivere deroghe peggiorative ai contratti nazionali siglando accordi a perdere.
A nostro avviso sono questi gli obiettivi prioritari per restituire forza e dignità ai salariati. Sta alla nostra intelligenza e caparbietà lavorare per rovesciare lo stato delle cose presenti.
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