di Peo Hansen *
La UE viene spesso presentata come un “progetto di pace” emerso in opposizione al nazionalismo, alla guerra e alle turbolenze geopolitiche. Peo Hansen sostiene che, sebbene ancora oggi essa continui ad essere percepita secondo questa narrazione, questa trascura il ruolo da sempre giocato nel processo di integrazione da considerazioni geopolitiche.
La UE si sta rilanciando come attore geopolitico, che vuole essere “sovrano”, “strategicamente autonomo”, “equilibratore di potere” e proiettore di “hard power”. Come ha chiarito in numerose occasioni la “Commissione geopolitica” di Josep Borrell e Ursula von der Leyen, “l’Europa conciliante, ma ingenua, è diventata maggiorenne. Il “soft power” virtuoso non è più sufficiente nel mondo di oggi. Dobbiamo completarlo con una dimensione di “hard power””. La guerra in Ucraina, ha appena annunciato Borrell, “ci ha trasformato in una potenza geopolitica, non solo economica”.
Come ciò si tradurrà in misure politiche concrete è ovviamente una questione diversa, e gli studiosi e gli analisti dei think tank stanno discutendo incessantemente su cosa potrebbe riservare il prossimo futuro. Su un punto, però, c’è totale accordo, e riguarda il presunto fatto che la svolta geopolitica della UE rappresenti uno sviluppo radicalmente nuovo e senza precedenti. Per molti, è questo ciò che rende la svolta così estremamente significativa.
La svolta geopolitica segnala l’allontanamento da quello che si dice sia l’approccio unico del “soft power” della UE agli affari mondiali. Tuttavia, abbracciando apertamente l’“hard power”, Bruxelles segnala anche la cesura tra la propria retorica attuale e la narrazione storica attentamente elaborata sulle origini della UE come pioniere anti-geopolitico e progetto di pace, un risultato per il quale la UE è stata insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2012. Dopo aver ricevuto il Premio per la Pace, l’allora presidente della Commissione José Manuel Barroso spiegò come le “esperienze del nazionalismo estremo, delle guerre e del male assoluto della Shoah” avessero convinto la UE ad abbracciare un “ordine cosmopolita” e a separarsi dalla logica dell’“equilibrio di potere”.
Molti studi della UE sono stati determinanti nel perpetuare questa immagine della genesi dell’Unione negli anni ’50, sostenendo, ad esempio, che “la Comunità Europea è emersa dopo, non prima, la risoluzione delle principali questioni geopolitiche” e che i negoziati del Trattato di Roma sono stati guidati dalla “consapevolezza che le questioni geopolitiche non erano più in gioco”.
Il grosso problema, però, è che questo mito fondativo dell’innocenza delle origini, non contaminate da sgradevoli preoccupazioni geopolitiche, non regge al controllo storico. L’ampio dibattito odierno sulla svolta geopolitica della UE ignora pertanto il fatto che l’Unione, quando fu fondata nel 1957, costituiva un vasto sistema politico imperiale che annetteva o “associava” le colonie africane della Francia e del Belgio e incorporava pienamente l’Algeria francese.
I fondatori della UE hanno sottolineato l’enorme portata extraeuropea della Comunità e la sua sfera di influenza naturale, designata come “Eurafrica” e codificata nel regime di associazione coloniale del Trattato di Roma. Incorporando gran parte delle risorse naturali dell’Africa in una sfera di influenza dell’Europa occidentale, la Comunità Economica Europea aspirava ad emergere come una “terza forza” nella geopolitica mondiale, in grado di bilanciare Unione Sovietica e Stati Uniti.
Stratagemmi geopolitici
Nel dicembre 1956, il Gruppo intergovernativo ad hoc per i territori d’oltremare, incaricato di preparare il regime di associazione coloniale del Trattato di Roma, presentò il suo rapporto finale alle parti negoziali:
“Dal punto di vista economico, gli Stati europei membri del Mercato Comune hanno un bisogno essenziale della cooperazione e del sostegno che i territori d’oltremare – in particolare quelli africani – sono in grado di offrire per stabilire l’equilibrio a lungo termine dell’economia europea. Le varie e abbondanti fonti di materie prime di cui dispongono i territori d’oltremare sono tali da garantire all’insieme dell’economia europea del Mercato Comune il fondamento indispensabile per un’economia in espansione e presentano l’ulteriore vantaggio di essere situati in Paesi il cui orientamento può essere influenzato dagli stessi Paesi europei.”
“L’impresa proposta”, conclude il rapporto, “comporta conseguenze di grande importanza per il futuro dell’Europa. […] Aiutando l’Africa e sostenendosi su di essa, la comunità dei Sei è in grado di fornire all’Europa un proprio equilibrio ed una nuova giovinezza”.
L’integrazione europea negli anni Cinquanta aveva quindi tutto a che fare con stratagemmi geopolitici, e qualsiasi altra cosa dovrebbe sembrarci del tutto controintuitiva. Basti pensare all’evidente portata degli enormi imperi africani francese e belga, e a tutte le guerre coloniali combattute principalmente dalla Francia negli anni in cui prese forma l’integrazione europea.
Tuttavia, non si è mai lasciato che questo fatto complicasse l’immagine storica della UE come progetto di pace non geopolitico. Dato che il Trattato di Roma incorporava i dipartimenti algerini francesi nella Comunità Economica Europea, ciò significava anche che una delle guerre più sanguinose e atroci del dopoguerra fu combattuta all’interno della UE. Fu una guerra che il “progetto di pace” europeo contribuì così a legittimare riconoscendo che l’Algeria era effettivamente parte integrante della Francia.
Un ricongiungimento con il passato
L’amnesia che impedisce di riconoscere le origini coloniali della UE aiuta a spiegare perché la svolta geopolitica odierna sia vista come una novità assoluta e agli antipodi rispetto al modo in cui l’Unione affrontava la geopolitica negli anni ’50. Ciò che sembra essere una rottura con il passato, quindi, è in realtà una riunione con il passato, nel senso che l’adesione aperta alla geopolitica da parte degli attuali leader dell’Unione segue le orme dei suoi fondatori.
Ciò è fondamentale anche perché Bruxelles, come avvenne negli anni ’50, descrive la sua svolta geopolitica come imperniata su una stretta “alleanza” con l’Africa. Sebbene molte cose siano cambiate dal 1957, il tentativo della UE di influenzare politicamente e sfruttare le vaste risorse dell’Africa non è cambiato. Ciò spiega perché Bruxelles voglia una “alleanza strategica” con l’Africa, piuttosto che una semplice partnership.
Si dice che un’alleanza strategica di questo tipo sia “cruciale in un mondo multipolare in cui l’azione collettiva è estremamente necessaria”. Bruxelles sottolinea che “insieme Africa ed Europa formano il più grande blocco elettorale alle Nazioni Unite” e che questa forza congiunta dovrebbe essere utilizzata per promuovere cause globali comuni. Nella sua dichiarazione di apertura al vertice UE-UA [Unione Africana] dello scorso anno, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha ribadito il primato dell’interdipendenza in materia di sicurezza tra UE e Africa.
Il tentativo della UE di formare un’alleanza strategica con l’Unione africana è uno sviluppo sorprendente, soprattutto perché viene esplicitamente spiegato come utile all’Europa per aumentare la sua forza geopolitica e navigare nelle acque tempestose di un “mondo multipolare”. Invocando un “mondo multipolare”, l’Unione riconosce che la sua posizione in Africa è messa in discussione da altre potenze, una sfida spesso inquadrata in termini di somma zero:
“In quanto vicini dell’Africa e suo principale partner, siamo direttamente preoccupati dalle condizioni in cui avviene l’ascesa di questo continente giovane e dinamico. Se non prestiamo sufficiente attenzione a questa questione, altri lo faranno – e probabilmente a nostre spese.”
Ancora una volta, ciò riecheggia la logica eurafricana del regime associativo coloniale del Trattato di Roma degli anni ’50. Come sosteneva «Le Monde» nel febbraio 1957: “I Sei sono anche consapevoli che il destino politico dell’Europa è più o meno legato a quello dell’Africa, e che se altre influenze dovessero soppiantare la nostra in questi territori, gravi rischi si presenterebbero all’orizzonte.”
Con l’intensificarsi della competizione per le risorse e i mercati dell’Africa, si accentua anche lo scontro fra diversi interessi geopolitici all’interno e sulla testa dell’Africa. Finora, la UE ha gestito la situazione adottando un atteggiamento più aggressivo nei confronti dei suoi concorrenti in Africa, in primis la Cina. Il consigliere di Borrell presso il Servizio per l’azione esterna dell’Unione, Bruno Dupré, definisce il compito della UE come segue: “Non può esserci sovranità per l’Europa senza la creazione, al di là del vicinato, di un arco di paesi che condividono e difendono gli stessi valori. L’autonomia strategica non è sinonimo di indipendenza o autarchia ma piuttosto di un’interdipendenza che viene scelta piuttosto che subita”.
Poiché tale sfera di influenza potrebbe non essere attrattiva per i Paesi africani che, proprio come l’Unione Europea, vogliono scegliere le proprie interdipendenze – piuttosto che esserne vittime – ciò potrebbe intensificare ulteriormente le tensioni geopolitiche in Africa. A sua volta, ciò potrebbe costituire un ulteriore incentivo a riesumare e resuscitare una “Eurafrica 2.0”. Ecco perché gli sviluppi odierni dovrebbero incoraggiarci a studiare meglio il passato coloniale dell’Unione. Un simile dialogo tra presente e passato ci aiuterà a comprendere meglio gli attuali piani della UE per la sua sfera di influenza africana.
* Professore di scienze politiche presso l’Istituto per la ricerca su migrazione, etnia e società (Remeso), Università di Linköping. Attualmente è Simone Veil Fellow presso il Centro Studi Avanzati Robert Schuman di Firenze. I suoi libri includono A Modern Migration Theory: An Alternative Economic Approach to Failed EU Policy (Agenda Publishing, 2021); ed Eurafrica: The Untold History of European Integration and Colonialism (scritto in collaborazione con S. Jonsson, Bloomsbury, 2014). Eurafrica è stato pubblicato in francese nel 2022: Eurafrique: Aux origins colonials de l’Union européenne (La Découverte).
Traduzione dall’inglese di Stefania Fusero
L’originale si trova qui; l’articolo accademico integrale si trova qui
Immagine: https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2023/10/31/the-colonial-origins-of-european-integration/
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