Palermo: ennesima strage di lavoratori

a cura della redazione

La tragedia dei cinque operai morti nelle fogne di Casteldaccia, in provincia di Palermo, richiede con forza la fine delle commemorazioni di rito e l’inizio della lotta.

Il 5 maggio 2024 si è chiuso con una tragedia sul lavoro, l’ennesima, questa volta a Casteldaccia, comune siciliano in provincia di Palermo: sono cinque i lavoratori che hanno perso la vita. Tutto è accaduto mentre stavano eseguendo alcuni lavori all’interno di una vasca di sollevamento delle acque reflue che si trova vicino a una cantina vinicola. Un sesto operaio è stato estratto dai vigili del fuoco, già privo di sensi, e portato con l’elicottero al Policlinico di Palermo, dov’è arrivato intubato e in condizioni critiche. Illeso invece un settimo lavoratore che è stato medicato sul posto dai sanitari.

Secondo le prime ricostruzioni, gli uomini stavano lavorando alla manutenzione dell’impianto Amap di sollevamento delle acque reflue e hanno finito per respirare esalazioni tossiche delle acque nere. Tra i lavoratori coinvolti, il contitolare e i dipendenti della ditta Quadrifoglio group srl di Partinico, che lavorava su mandato della azienda municipalizzata palermitana Amap, che gestisce la rete idrica nel capoluogo di regione e in alcuni comuni della provincia palermitana; almeno un operaio sarebbe invece un interinale dell’Amap. La municipalizzata, a corto di personale, da anni ha ormai esternalizzato alcuni servizi e utilizza o operai di ditte private o lavoratori interinali in attesa di concludere le procedure concorsuali per nuove assunzioni pendenti dal 2022. Dagli organi di stampa apprendiamo che “il contratto di appalto stipulato con Amap prevedeva che l’aspirazione dei liquami avvenisse dalla superficie attraverso un autospurgo e che il personale non dovesse scendere sotto terra”. Secondo il rapporto Inail diffuso qualche giorno fa, in Sicilia erano già state 10 le morti sul lavoro solamente nel primo trimestre di quest’anno.

Quanto accaduto a Casteldaccia accresce il triste bollettino di guerra dei casi di morte sul lavoro in Italia (191 vittime nei primi tre mesi 2024), riportando in evidenza il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro e della necessità di maggiori controlli da parte degli organi vigilanti e ispettivi preposti, oggi assai deficitari. Nel dramma, emerge poi la problematicità diffusa delle esternalizzazioni e degli appalti, con tutto ciò che questo sistematicamente comporta.

Tanta la rabbia e lo sdegno che sorgono spontanei, aggravati poi dal fatto di sapere che nella tragedia è stato coinvolto anche personale precario. A pagare con la sua vita per l’assolvimento del proprio lavoro, inoltre, un uomo che stava per compiere 71 anni, età in cui in un paese civile una persona dovrebbe stare in pensione a godersi il meritato riposo, magari, e non a svolgere lavori usuranti.

Come «Futura Società» esprimiamo, innanzitutto, il nostro cordoglio alle famiglie dei lavoratori coinvolti.

Politicamente, perché non si possono non sollevare considerazioni di tali natura visto la portata dell’evento e la frequenza con cui episodi simili si reiterano, ogni forza che ha cuore la classe lavoratrice dovrebbe esigere una radicale modifica di un sistema d’impresa come quello attuale, fondato su un utilizzo abnorme di appalti, subappalti, basato su precarietà, svalorizzazione e sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori.

Occorre chiedere a gran voce, con la lotta, l’incremento dei controlli, le sanzioni per le aziende e i datori di lavoro che non rispettano le norme basilari di sicurezza per i loro lavoratori, che si investa di più in prevenzione e formazione sui luoghi di lavoro. Ampliando la riflessione, il problema, poi, non si può e non si deve ridurre alla sola introduzione di una legge sulle “morti/omicidi” sul lavoro; un intervento legislativo del genere peraltro sarebbe contrastato in Parlamento da una maggioranza assai più sensibile alle ragioni padronali che a quelle della forza-lavoro. Molte parsone sono ormai assuefatte all’idea che la possibilità di contrarre malattie nel corso di attività lavorative, o incorrere in infortuni anche di grave entità, sia una sorta di male minore rispetto al rischio di non avere occupazione e stipendi.

Una battaglia politica, sindacale e culturale va combattuta e alimentata portando contestualmente avanti un’ulteriore ma semplice rivendicazione: i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza siano dotati di potere di veto in caso di lavorazioni pericolose per la salute, e al contempo e chi ne ha competenza e funzioni nei sindacati inizi a non sottoscrivere accordi di produttività che intensifichino i ritmi in cambio di pochi spiccioli: la salute e la sicurezza di noi tutti e tutte non sono monetizzabili.

Riguardo all’innalzamento dell’età di lavoro, su cui ci sarebbe anche tanto da dire, eventi come quello di Casteldaccia ci ricordano quanto attuale e tragica sia tale problematica. Lavoratori sempre più anziani costretti a lavori faticosi per portare a casa la famigerata pagnotta, quando dovrebbero essere già in età da pensione; questo per ricordare i danni fatti negli ultimi decenni dalle riforme pensionistiche che si sono susseguite sin qui e che ci rammentano, con forza, la necessità di lottare per invertire la rotta di fronte a un sistema normativo che costringe a lavorare sempre di più e più a lungo. Tutto ciò tenendo conto anche dell’invecchiamento della popolazione, aggravato dalla bassa natalità italiana, ampliata da precarietà lavorativa e assenza di politiche familiari, in un modello di società consumistico-capitalista.

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