SPECIALE ASSEMBLEA NAZIONALE APERTA – 11 MAGGIO 2024
Relazione introduttiva

Fosco Giannini – coordinatore nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista
Il mondo intero è scosso dalle potenti proteste contro il governo fascista e contro l’esercito fascista di Israele. Il mondo intero è attraversato dalle manifestazioni di solidarietà con l’eroico popolo palestinese.
Le università degli Stati Uniti sono occupate da un movimento studentesco che accusa Washington di aver armato politicamente e materialmente Israele preparandola, per lunghi decenni, al genocidio di Gaza!
Ha scritto Liam Davis, nel giornale degli studenti della Columbia University di New York: “Non ci stupisce la complicità sanguinosa del potere nord americano, del potere del nostro Paese, nel genocidio di Gaza. Non ci stupisce perché, nell’essenza ideologica, è lo stesso potere che ha voluto il genocidio dei nostri nativi; che ha trasformato l’intera storia degli Usa in una, mai interrotta, storia di guerra; che, nei primi anni ’50, decise di sganciare sulla Corea del Nord più di 600mila tonnellate di bombe e 30mila tonnellate di napalm, provocando 1 milione di morti e distruggendo l’80% degli edifici della Corea del Nord; che organizzò quegli squadroni della morte, nell’Indonesia del 1965-1966, che guidarono il massacro di 500mila comunisti interrompendo la rivoluzione indonesiana; che ci condusse all’inferno del Vietnam; che sostenne gli orrori fascisti di Pinochet e di Videla e di ogni “golpe” dell’America Latina; che ha guidato il colpo di stato di EuroMaidan nel progetto di trasformare l’Ucraina in un’immensa Base Nato ai confini della Russia, spingendo l’Ucraina allo scontro contro la Russia e il mondo ad un passo dalla Terza Guerra Mondiale”.
Così, lucidamente, ha scritto in questi giorni Liam Davis, lo studente della Columbia University di New York occupata, concludendo: “Oggi, Biden compie il capolavoro politico diretto ad unire l’ideologia imperialista nordamericana con l’ideologia sionista volta a trovare nella Bibbia il mandato divino col quale si può liberamente massacrare il popolo palestinese in nome di Dio e dello Stato teocratico di Tel Aviv. Oggi, gli Stati Uniti d’America, assieme ad Israele e ai media dell’Occidente capitalistico, costruiscono la menzogna di un Hamas mostruoso, non umano e sanguinario al fine di giustificare uno dei più spaventosi e sinora impuniti massacri della storia contemporanea: il massacro di massa, l’infanticidio di massa di Gaza!”.
Ecco, occorreva il coraggio e la libertà intellettuale di uno studente di New York per dire che la demonizzazione di Hamas, alla quale tanta parte di certa sinistra italiana ha supinamente e indegnamente partecipato, è stata funzionale al massacro fascista del popolo palestinese.
La lotta per la liberazione e la vittoria del popolo palestinese è oggi parte centrale della lotta antimperialista generale e dobbiamo brandire la verità come un’arma per la lotta: Hamas, assieme al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, al Fronte di Liberazione della Palestina di Ramallah e ad altre forze palestinesi, è entrata nei territori confinanti con Gaza perché quelli sono territori palestinesi che negli ultimi anni Israele ha violentemente occupato; nei quali Israele ha imprigionato centinaia di militanti palestinesi torturandoli sino alla morte.
Hamas – piaccia, essa, o non piaccia a noi occidentali – è entrata nei territori palestinesi per rispondere all’occupazione dei coloni, per liberare i prigionieri palestinesi, per fare ostaggi israeliani nell’obiettivo di scambiarli con i propri prigionieri torturati. Hamas è entrata nei territori palestinesi occupati dall’esercito israeliano senza compiere atti contrari alla cultura islamica, senza nessuna violenza contro le donne e senza nessuna decapitazione di bambini, come spudoratamente hanno raccontato i media occidentali e italiani senza fornire uno straccio di documentazione. Hamas, il Fronte Popolare, il Fronte di Liberazione di Ramallah sono entrati nei territori palestinesi solo per un atto di resistenza e di lotta di liberazione!
L’odio imperialista e razzista contro ogni rivoluzione dei popoli del mondo grande ha sempre caratterizzato le èlites occidentali. Diceva il generale golpista francese Raoul Salan che la lotta di liberazione del popolo algerino era condotta dalle scimmie del Nordafrica. Scimmie col muso giallo erano anche i combattenti comunisti del Vietnam per il generale americano William Westmoreland, comandante in capo delle truppe Usa in Vietnam.
Ma anche tanta parte della sinistra occidentale subordina al proprio orientamento ideologico eurocentrico il giudizio sulla dura lotta di liberazione dei popoli, rilasciando patenti di legittimità delle lotte popolari antimperialiste a partire dalla somiglianza o meno di queste lotte con le modalità di lotta, con le culture e i valori dell’occidente, ribadendo anche su questo versante il proprio, storico, colonialismo ideologico.
Già Fausto Bertinotti sosteneva che la resistenza irachena non era una resistenza, poiché non ravvedeva in essa l’eleganza stereotipata con la quale la piccola borghesia vuol raffigurare i rivoluzionari. La resistenza irachena era di popolo, del popolo di quell’Iraq, e Bertinotti, dalla sua postazione piccolo borghese, non ha mai avuto una vera connessione sentimentale col popolo e con i popoli.
Certa sinistra italiana, segnata in verità da un provincialismo presuntuoso ed eurocentrico, pensa di dare la linea al popolo palestinese! Di insegnarli, dai propri divani, come combattere!
Al contrario, noi comunisti la linea la prendiamo dal popolo palestinese e dalle sue lotte eroiche!
W il popolo palestinese! W la lotta di tutto il popolo palestinese unito!
Al fianco del popolo palestinese sino alla vittoria!
In questi giorni, il generale ucraino Vadym Skibitsky, ha categoricamente affermato, in un’intervista all’Economist, che “Non c’è modo di vincere la guerra contro la Russia sul campo di battaglia; il conflitto può terminare solo con dei trattati”.
Nonostante ciò, nonostante il fatto che la vittoria russa in Ucraina sia ormai data per scontata dagli stessi generali ucraini, il Senato statunitense ha approvato nei giorni scorsi un altro provvedimento per 61 miliardi di dollari per le armi a Zelensky, e Macron (inviando anticipatamente i soldati della Legione Straniera in Ucraina) ha rilanciato la linea che emerse al vertice della Nato del 23 marzo del 2022, quando si evocò la possibilità che Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Norvegia Lettonia, Estonia e Lituania entrassero direttamente nel conflitto contro la Russia.
Ma perché, nel momento stesso in cui anche i generali ucraini dichiarano l’impossibilità di sconfiggere la Russia sul campo, gli Usa e gran parte di quell’Ue in questa fase trascinata da Macron, aumentano gli aiuti militari all’Ucraina evocando persino un intervento militare occidentale sul campo?
Per due motivi: primo, perché qualora si giungesse ad un tavolo delle trattative, gli Usa, la Nato e l’Ue, a nome di Kiev, andrebbero alla trattativa col fucile sul tavolo; secondo, perché la linea aggressiva odierna degli Usa e della Nato non esclude affatto una terza guerra mondiale, contemplandola invece come una possibilità, e nel dilemma tra un’“insopportabile”, per gli Usa e la Nato, trattativa con la Russia e una terza guerra mondiale, tengono aperta questa seconda opzione mantenendo alta la tensione, inviando ulteriori carichi di armi pesanti a Zelensky e minacciando l’invio di truppe occidentali direttamente sul terreno dello scontro.
Sappiamo bene come la Russia di Putin sia stata costretta, dalla forza degli eventi, ad intervenire in Ucraina. Sappiamo bene come il golpe Usa-Nato-Ue di EuroMaidan del 2014 sia stato concepito al fine di trasformare l’intera Ucraina in una sterminata Base militare Nato ai confini della Russia, con missili nucleari in grado di colpire Mosca in 8 minuti.
Sappiamo bene come per 8 lunghi anni il popolo del Donbass, colpevole di non voler far parte dell’Ucraina fascista, sia stato quotidianamente massacrato dal Battaglione Azov guidato dai marines.
Sappiamo bene come il fronte imperialista abbia utilizzato lo stesso fascismo già presente in Ucraina al fine di costruire uno Stato, un potere politico, un governo di stampo nazifascista come proiezione politica degli Usa e della Nato in quella regione del mondo e ai confini con la Russia.
Sappiamo bene quanto sia stato alto il tributo di sangue dei compagni del Partito Comunista dell’Ucraina nella lotta di resistenza al neofascismo di Kiev!
Esprimiamo qui la nostra commossa ma ferrea solidarietà ai compagni e alle compagne del Partito Comunista dell’Ucraina, a centinaia assassinati, torturati, perseguitati, cacciati dal lavoro, imprigionati!
Siamo al vostro fianco, tovarisc !
Siamo al tuo fianco, compagno Piotr Symonenko, segretario combattente del Partito Comunista dell’Ucraina, ovunque oggi tu sia!
Il terrore nero ucraino è stato compreso chiaramente da gran parte degli Stati e dei popoli del mondo, dal 70% dell’umanità, da tutto il fronte Brics, dall’intero movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario del mondo. Meno che dalle cittadelle capitalistiche occidentali e da certa sinistra, a volte anche comunista, italiana la quale, o si è schierata apertamente contro Putin o, tremebonda, ha rilanciato il famigerato “né né” – né con Biden né con Putin –, che altro non significa, nel concreto – nel concreto! – che stare dalla parte della Nato!
Ma i comunisti non sono tremebondi!
I comunisti sanno, come affermava Lenin, che chi non sta da una parte o dall’altra della barricata, è la barricata!
E noi, comunisti, noi del Movimento per la Rinascita Comunista stiamo dalla parte, assieme al compagno Ghennady Ziuganov, segretario generale del Partito Comunista della Federazione Russa, assieme all’intero movimento comunista e leninista mondiale, noi stiamo da una parte sola della barricata, stiamo dalla parte della controffensiva russa antifascista e antimperialista!
Due giorni fa, il 9 maggio, è stata la ricorrenza della grande Vittoria Sovietica sulle orde nazifasciste di Hitler e Mussolini.
W il 9 maggio della grande vittoria sovietica sul nazifascismo!
W la vittoria sull’odierno nazifascismo ucraino servo degli Usa e della Nato!
Epifanio Alsazia, Ignazio Giordano, Giuseppe Miraglia, Roberto Raneri, Giuseppe La Barbera: sono i nomi dei 5 operai morti pochi giorni fa nelle fogne di Casteldaccia, Palermo.
Scolpiamo questi nomi nella nostra memoria e nella memoria della lotta di classe, poiché tra due giorni i nomi di questi 5 operai spariranno dalla fumisteria dei media e nessuno parlerà più di loro, in una rimozione della tragedia non casuale, ma funzionale al perpetuarsi di modalità di lavoro subordinate allo sfruttamento operaio e al profitto.
I nomi dei 5 operai morti a Palermo saranno subito cancellati dalla memoria, rimossi, come subito rimossi sono stati i nomi dei 7 operai morti lo scorso 12 aprile nell’esplosione della turbina della centrale elettrica di Suviana, in Emilia Romagna.
Ma noi facciamo un esercizio di lotta di classe e di rispetto per le famiglie e per la classe operaia, ricordando anche i nomi dei 7 operai morti a Suviana:
Adriano Scandellari, Paolo Casiraghi, Alessandro d’Andrea, Vincenzo Garzillo, Pavel Petranel Tanase, Mario Pisani, Vincenzo Franchina.
Tutti dipendenti delle famigerate ditte d’appalto, carrozzoni sostanzialmente illegali e spesso in mano alle mafie, carrozzoni dello sfruttamento e della morte operaia. Uno dei sette della tragedia di Suviana era un pensionato di 73 anni.
Michele Bulgarelli, segretario generale della Cgil di Bologna, la sera dello stesso 12 aprile, si è retoricamente chiesto: “Ma questo, che mondo del lavoro è?”.
Caro Bulgarelli, questo è il mondo del lavoro che ci è stato imposto, senza resistenza, dai padroni e che è passato attraverso l’abbandono della lotta di classe anche da parte della Cgil! Non ti è permesso stupirti della morte degli operai sui posti di lavoro! Non ti è permesso fare retorica a buon mercato di fronte ad una strage operaia che si perpetua ogni giorno in un mare di chiacchiere ma senza una reale risposta di lotta! Non ti è permesso suonare la grancassa della retorica senza fermare mai le macchine del profitto grondanti di sangue operaio!
La scala mobile, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, le pensioni, i salari da fame, la fine del contratto nazionale del lavoro, la precarizzazione selvaggia del lavoro: c’è un campo sterminato di battaglie abbandonato che andrebbe di nuovo arato con la lotta.
La Cgil, i sindacati confederali lo hanno abbandonato, questo terreno di lotta?
Bene: noi comunisti ci riorganizziamo per rilanciarla, questa lotta, per riportare nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, negli uffici, nelle scuole, negli ospedali il conflitto di classe!
Per questo vogliamo riorganizzarci, non per precipitarci ai festini elettorali!
Sappiamo che questa platea di compagne e compagne è d’accordo per rilanciarla, questa lotta!
La rilanciamo questa lotta, tutti uniti, nell’unità dei comunisti e nell’unità delle forze anticapitaliste?
Ci uniamo per rimettere in campo, strategicamente, una lotta di massa contro la guerra imperialista, contro la Nato, contro l’Unione europea, contro il governo Meloni, contro la finta opposizione che inganna i giovani e i lavoratori?
Oggi, siamo qui per questo!
Uniamoci in questa lotta, compagne e compagni!!
I 5 operai morti a Palermo, i 7 operai morti a Suviana come i sette operai bruciati vivi nel rogo della ThyssenKrupp il 6 dicembre 2007 a Torino!
I 7 operai morti della ThyssenKrupp.
Oggi verrà letto il saluto a questa nostra Assemblea del compagno Giuseppe Morese, già operaio alla ThyssenKrupp di Torino, leader operaio della Fiom. Morese era amico, collega e compagno comunista dei 7 operai bruciati vivi nel fuoco dei capitalisti tedeschi, impuniti, della ThyssenKrupp. Il giorno del rogo, Giuseppe doveva essere sulla stessa, famigerata Linea 5 della morte. Solo per uno strano caso del destino non fu inviato, quella notte, a lavorare con i suoi compagni che avrebbero perso la vita.
Ebbene, noi siamo particolarmente orgogliosi che il compagno operaio Giuseppe Morese, della Fiom, si sia voluto iscrivere al Movimento per la Rinascita Comunista perché – sue parole – “è ora di ricostruire in questo Paese, di fronte a questi padroni, di fronte alla guerra imperialista, un forte partito comunista, di lotta, di quadri e di massa. Perché è ora che i padroni abbiano una risposta di classe! È ora che di nuovo sentano la paura attraverso la lotta operaia e la lotta dei comunisti uniti!”.
Grazie, compagno Morese! Un applauso per lui!!!
Non solo con il MpRC, ma con tutti i comunisti e le comuniste disponibili e ideologicamente affini ricostruiremo una forza comunista, nel tempo che sarà necessario, come il compagno Morese – operaio, compagno dei 7 operai morti della ThyssenKrupp – lo richiede!
Aumentano i morti, i feriti nella guerra per il profitto nelle fabbriche.
D’altra parte, il modello toyotista di produzione, introdotto nelle fabbriche, nei cantieri edili e navali italiani e nella stessa Fincantieri da più di vent’anni, non ha forse portato alla rimozione quasi totale dei sistemi di sicurezza, al rialzo quasi spasmodico dei ritmi di lavoro, con un rialzo impressionante di morti bianche e gravi lesioni permanenti all’interno dei luoghi di lavoro? Con un livello drammaticamente aumentato di malattie per sostanze tossiche inalate, sordità tra gli operai addetti alla perforazione diuturna con i martelli pneumatici e cecità tra i saldatori, per troppo tempo, nel tempo di lavoro ordinario e straordinario, con gli occhi sulla fiamma ossidrica, nelle stive delle navi in costruzione?
Nelle fabbriche, nelle piccole officine, nei cantieri edili, le modalità contrattuali e salariali al ribasso dell’esercito industriale di riserva degli immigrati, quell’esercito immigrato introdotto nelle fabbriche e nei cantieri dalle oscure ditte d’appalto, hanno spesso la potenza ideologica e politica per estendersi alla classe operaia italiana, stanziale. Costituendo un fenomeno sociale surreale: invece che equiparare i lavoratori immigrati al salario e ai diritti dei lavoratori stanziali, sono sempre più spesso questi lavoratori a doversi uniformare al salario ribassato e al taglio dei diritti dei lavoratori immigrati.
Occorre studiare la fabbrica, i cantieri navali, i cantieri edili, i nuovi uffici, bisogna immergersi nel modo concreto del lavoro per capire che tutto ciò risponde a verità! Per capire che cosa sta accadendo nella jungla del mondo del lavoro!
L’obiettivo strategico che un sindacato di classe e di massa dovrebbe porsi (assieme a un partito comunista, se ci fosse, quando ci sarà) in questa nuova fase sociale e storica segnata dall’irruzione dell’esercito industriale di riserva, cioè l’obiettivo di unire nelle lotte un nuovo proletariato bianco e nero (per così dire), trasformandolo in un nuovo soggetto anticapitalista maturo e consapevole, non viene affatto “pensato” dalle forze sindacali e politiche comuniste e di sinistra presenti, e se non viene “pensato” non può essere nemmeno praticato.
Oltre mille (tre al giorno) sono stati i morti sul lavoro nel 2023. Cinquecento i morti operai sino al 10 aprile 2024. I salari italiani sono i più bassi d’Europa, la precarizzazione generale del lavoro crea vera disperazione tra i giovani. La disoccupazione è al 30% circa tra i giovani e al 10% sul piano generale.
Sotto i colpi congiunti di quell’Unione europea e dei suoi veri e propri partiti politici di riferimento, (quelli che poi formano i governi di centro-sinistra, di centro-destra e di destra, a rotazione e uguali nella pratica politica e nella subordinazione a Bruxelles, a Washington e alla Nato), sotto questi colpi il welfare italiano è crollato.
Un crollo dirompente già inscritto nel Trattato di Maastricht del 2 febbraio 1992 (non casualmente firmato due sole settimane dopo l’autodissoluzione sciagurata dell’Unione Sovietica, 26 dicembre 1991), un crollo del welfare che avviene di fronte all’ipocrisia del PD, che prima si trasforma nel partito politico, nel braccio armato di quell’Ue che ordina la distruzione della sanità pubblica, si trasforma nel partito politico col gruppo dirigente a Bruxelles e avente il compito di privatizzare e distruggere la sanità pubblica in ogni regione in cui governa, e poi accusa il governo Meloni di averla distrutta, la Sanità.
Il governo Meloni continua la distruzione della Sanità pubblica, ma il PD l’ha avviata ovunque, distruggendo e privatizzando, promuovendo in ogni territorio cliniche, laboratori e ambulatori privati.
La distruzione della Sanità pubblica è esperienza e dolore vivo, quotidiano, di massa, un dolore sociale vivo viva che il MpRC è impegnato a trasformare in lotta prioritaria e di classe.
I compagni del MpRC della Calabria si distinguono per una grande lotta sociale in difesa e per il rilancio della sanità pubblica e noi li ringraziamo da questa presidenza poiché sappiamo che è così che si fa, così si è gli eredi della grande tradizione di lotta comunista e di popolo di questo Paese, così si aiuta a rilanciare non solo il MpRC, ma anche l’intero movimento comunista italiano, indicando la strada della lotta e della ricostruzione concreta dei legami di massa con i cittadini, i lavoratori, il popolo.
Noi dobbiamo saper raccogliere la disperazione e la rabbia di chi ha bisogno di una risonanza magnetica e il Cup gli dice tra otto mesi; dobbiamo saper raccogliere e sentire la disperazione sociale e la paura dei giovani di scivolare nel girone dell’inferno del Lunmpenproletariat, dobbiamo sentire tutto ciò e trasformarlo in nostra azione politica e sociale, se davvero vogliamo porci il problema, strategicamente, della ricostruzione del partito comunista in Italia.
E cogliamo qui l’occasione per ringraziare Cuba, Cuba Socialista, per aver inviato in Calabria un esercito di medici cubani senza i quali la Sanità pubblica calabrese avrebbe già da tempo chiuso i battenti!
Viva i medici cubani in Calabria!
Viva la Rivoluzione socialista cubana!
No al bloqueo!
Viva Cuba!
E salutiamo con grande gioia la presenza in questa nostra sala della compagna Mirta Granda Averhoff, Ambasciatrice della Repubblica di Cuba in Italia!
Il MpRC sta lanciando, attraverso il proprio Dipartimento Lavoro, una campagna contro la privatizzazione delle Poste, e lanceremo poi almeno altre due grandi campagne: quella in difesa e per il rilancio della Sanità pubblica, appunto, e quella contro la precarizzazione del lavoro, specie per ciò che riguarda le giovani generazioni. Si dice a ogni pie’ sospinto che occorre “capire i giovani”, “andare verso i giovani”. In troppi interpretano questi moniti come atti di peloso avvicinamento alle nuove generazioni attraverso l’interessarsi ruffiano ai modi d’essere dei giovani, magari alla loro musica, al loro modo di parlare e di vivere.
Possono essere, queste modalità d’avvicinamento, equivoche e malsane, persino pericolose. L’unico modo che possono avere i comunisti per stare dalla parte dei giovani è “sentire” fino in fondo, riconoscere la disperazione profonda, il senso di smarrimento esistenziale che essi vivono di fronte a un lavoro che non si trova mai, ai “lavoretti” che si susseguono tutti a tempo determinato e con salari da vergogna sociale, di fronte ai quei Centri dell’Impiego inutili, burocratici e totalmente perditempo.
Siamo di fronte a un attacco durissimo alle condizioni di vita dell’intera classe lavoratrice, allo stato sociale, alla democrazia: il premierato è la forma con cui la nuova destra al governo rinnova la propria concezione reazionaria del potere; l’autonomia differenziata, che ancor di più dividerà il Paese tra il Nord e il Sud, che rinnoverà la politica di Cavour volta a far arricchire il capitale del nord d’Italia a spese del proletariato meridionale, è la “gabella” politica che Fratelli d’Italia paga cinicamente alla Lega per l’appoggio che essa fornisce al premierato.
Come dire: i banditi si aiutano tra loro per la grande rapina alla banca della democrazia!
Particolarmente violento è poi l’attacco che il governo Meloni porta alla Giustizia, un attacco che passa nel silenzio generale evocando una nuova Giustizia antidemocratica, di regime e dai tratti autoritari e neofascisti, funzionali e speculari a quella ristrutturazione capitalistica già in corso che punta alla totale sottomissione operaia, prevede un nuovo giro di vite antioperaio, antidemocratico, violento col movimento studentesco, una ristrutturazione capitalistica che ha bisogno, per compiersi, di restringere ancor di più gli spazi democratici, di intimidire, reprimere, punire.
Una formidabile ristrutturazione capitalistica, potenzialmente devastante per la classe operaia ed il movimento operaio complessivo, è oggi allo stato di potenza, non ancora in atto. Immensi, futuri investimenti capitalistici sono congelati nelle banche e nei fondi economici d’investimento. Il capitalismo è come in agguato: non sa ancora se questa è l’ora di affondare il colpo, di affidare all’Intelligenza Artificiale l’intero, presente, ma già superato, apparato produttivo generale, oppure rimanere ancora in stand bay. Il dilemma è dato dal fatto che un’espansione immediata e su vasta scala dell’Intelligenza Artificiale provocherebbe un’immensa e nuova disoccupazione di massa, questione che interessa al capitale solo perché essa restringerebbe pericolosamente, per il profitto, il mercato interno.
Il capitale è in agguato e sta valutando le proprie mosse. Ma il movimento operaio complessivo italiano è invece ignaro di ciò che sta accadendo, di ciò che lo aspetta. È senza guida e senza strategia di lotta. L’estensione sull’intero apparato produttivo dell’Intelligenza Artificiale dovrebbe sin da ora chiamare il movimento dei lavoratori ad una lotta per una riduzione davvero secca, drastica, epocale dell’orario di lavoro. E assieme a ciò una lotta per il rialzo del salario, poiché siamo comunisti e non socialdemocratici e se poniamo la questione – assieme alla riduzione dell’orario di lavoro – anche del rialzo del salario è perché occorre avviare una lotta contro il profitto e anche perché, come ha affermato lapidariamente un operaio del Cantiere Navale di Ancona: “Non me ne frega niente di lavorare un’ora in meno alla settimana se poi, con lo stesso salario, non posso pagarci nemmeno la bolletta della luce!”.
L’introduzione e l’espansione dell’Intelligenza Artificiale, peraltro, costituirà sul campo nuove e ancor più severe forme del potere padronale che richiederanno la costruzione di un contropotere operaio nelle fabbriche e in ogni luogo della produzione, materiale ed immateriale.
Risulta a qualcuno che qualche preoccupazione, rispetto a tutto ciò, attraversi il sindacato confederale, o le forze della cosiddetta sinistra presenti in Italia?
No! Per il semplice motivo che questa è materia per formazioni comuniste e rivoluzionarie d’avanguardia, per un sindacato di classe all’altezza del nuovo scontro capitale/lavoro. Affinché tali questioni diventino di massa dobbiamo unirci, molto lottare e molto studiare. Per dare risposte.
E tutto ciò avviene avendo come sfondo una crisi internazionale drammatica e prodotta dall’aggressività imperialista, prodotta da un imperialismo che, per uscire dalla propria crisi, contempla anche la possibilità di una terza guerra mondiale!
Un tempo, anche nella più sperduta sezione del Pci storico, il segretario di sezione iniziava la propria relazione introduttiva, anche se all’ordine del giorno vi fosse stata la chiusura del mattatoio del paese, con un’analisi del quadro internazionale.
Chiediamoci, dunque: come siamo arrivati a questa fase internazionale così difficile? Qual è lo stato delle cose?
Dal 1991 ad oggi abbiamo assistito e siamo stati travolti da una sorta di escursione storica e geopolitica di dimensioni epocali.
Possiamo, per comodità analitica, dividere l’intero periodo che ci separa dall’autodissoluzione dell’Urss sino ad oggi in tre fasi:
• la prima è quella che inizia il 26 dicembre del 1991, quando viene ammainata dalle cupole del Cremlino la gloriosa bandiera sovietica. Ciò rende tanto entusiasta, quanto idealista, il fronte imperialista che, senza più la diga sovietica, inizia a interpretare il mondo come un immenso mercato da conquistare, con le buone o con le cattive. Gli spiriti animali imperialisti si liberano e la guerra diviene prassi: si susseguono le aggressioni militari contro la Jugoslavia, contro l’Iraq, la Libia, la Siria, l’Afghanistan, lo Yemen, come i molteplici tentativi golpisti contro le rivoluzioni latinoamericane;
• la seconda è la seguente: Francis Fukuyama non fa in tempo a “decretarla”, la fine della Storia, che l’intera America Latina viene attraversata da un’immensa pulsione antimperialista e rivoluzionaria: non solo Cuba resiste, ma anche e proprio a partire dalla resistenza cubana, in Nicaragua, Venezuela, Brasile, Bolivia, Argentina, Ecuador e in diversi altri Paesi dell’America Latina prendono corpo grandi movimenti di massa capaci di sostenere nuove e profonde trasformazioni sociali e politiche, vere e proprie rivoluzioni.
Gli stessi moti si sviluppano in Africa: non solo il Sudafrica (dove il grande Partito Comunista Sudafricano è parte decisiva per la vittoria contro l’apartheid) segna di sé, della propria rivoluzione, l’intera Africa australe, ma assieme alla Libia di Gheddafi mette a fuoco l’idea continentale di un’Africa libera dal giogo americano, attraverso il progetto di una Banca centrale africana e una moneta africana in alternativa e in sostituzione del Fondo Monetario Internazionale e del dollaro. E sarà per questo asse strategico Mandela-Gheddafi, sostenuto da altri Paesi africani, che gli Usa, la Nato e l’Ue bombarderanno, distruggeranno la Libia e trucideranno Gheddafi come un animale, in diretta e di fronte alle televisioni del mondo.
Anche nell’Eurasia un fronte antimperialista prende corpo attraverso la sconfitta di Eltsin e la vittoria di Putin in Russia, i due fatti di consistenza storica che spengono i desideri nordamericani di facile conquista della Russia postsovietica e della sua trasformazione in un nuovo e vasto mercato occidentale, una sconfitta, per gli Usa, che ingenera nelle classi dominanti nordamericane un odio particolare verso Putin e una spinta alla guerra contro la Russia; un fronte antimperialista euroasiatico che accumula forze attraverso lo sviluppo economico del Vietnam socialista, le vittorie socialiste nel Nepal e nel Laos, il ruolo positivo dell’India e del ruolo antimperialista che al suo interno svolgono i due grandi partiti comunisti indiani di massa, l’azione del forte Partito Comunista Giapponese e, in Russia, del Partito Comunista della Federazione Russa e soprattutto, la titanica crescita economica, sociale, tecnologica, politica e militare della Repubblica Popolare Cinese che, attraverso questa poderosa base materiale si offre sia come nuovo cardine del fronte antimperialista mondiale che come concretissimo esempio della possibilità/necessità di costruire il socialismo nell’era della crisi globale del capitalismo e dell’egemonia Usa.
Contro i deliri di quelle “sinistre” (le sinistre imperialiste, come le definiva uno di più grandi filosofi marxisti del ‘900, Domenico Losurdo, nostro ispiratore, che vorrei fosse ricordato qui con un grande applauso), contro i deliri di queste “sinistre” che definiscono la Cina imperialista e persino fascista, occorre ribadire la natura socialista della Cina, il suo “socialismo con caratteristiche cinesi”, segnato dall’applicazione, in grandissime dimensioni e con caratteri politico-teorici autonomi, della Nep leninista.
È sulla base di questo decisivo cambiamento di rapporti di forza tra fronte imperialista e fronte antimperialista a livello mondiale che si giunge, con una rapidità storica straordinaria, solo 18 anni dopo la fine dell’Urss e la ratifica della “fine della storia”, alla costituzione, nel 2010, dei Brics. Nel 2014 si costituisce poi, come significativo segno di cambiamento nel mondo a favore dei popoli in via di liberazione, la Nuova Banca di Sviluppo, la banca dei Brics come alternativa antimperialista al Fondo Monetario Internazionale;
• la terza fase: se consideriamo come prima fase, dopo la fine dell’Urss, quella dell’euforia imperialista e come seconda quella dell’imponente insurrezione antimperialista planetaria, la terza fase, che viviamo, è questa della rabbiosa e violenta reazione delle forze imperialiste e della Nato proprio all’inaspettato determinarsi, nel quadro mondiale, della sempre più vasta unità degli Stati e dei popoli che sfuggono al dominio americano e, attorno all’epicentro del socialismo cinese, costruiscono i Brics come primo nocciolo di un’alleanza volta ad allargarsi smisuratamente sul piano mondiale e strategicamente tendente all’egemonia internazionale.
Nella generale reazione di guerra dell’imperialismo all’improvvisa crescita del fronte antimperialista, spiccano due “momenti” di particolare pregnanza internazionale e persino storica: il colpo di stato che nel 2014 organizzano – mettendo in campo il Battaglione Azov e i movimenti nazifascisti “banderisti” ucraini – gli Usa, la Nato e l’Unione Europea a Kiev, per spodestare il legittimo presidente Viktor Janukovyč, ragionevolmente contrario all’entrata dell’Ucraina nell’Ue e nella Nato e il summit del G7 del giugno 2021 in Cornovaglia, che permette a Biden di far genuflettere a sé, agli Usa e alla Nato tutta l’Unione Europea, la Gran Bretagna, il Canada e il Giappone, licenziando, peraltro, un sanguinoso “Documento finale di Carbis Bay” (da tutti i Paesi presenti sottoscritto) che, chiedendo chiaramente la costruzione di un vasto fronte mondiale militare contro la Russia e la Cina, si presenta al mondo come un documento che, se davvero si verificasse l’orrore della terza guerra mondiale, di questa guerra sarebbe il presupposto progettuale.
Mentre la “sinistra” moderata o radical italiana, comprese alcune aree “comuniste” “amletiche” (“né con Putin né con Biden”, doppia negazione a cui sfugge il ruolo odierno dell’imperialismo) condannano l’intervento di Putin in Ucraina come “risposta imperialista”, il MpRC afferma che la risposta russa è di legittima difesa, difesa della Russia, dei popoli del Donbass e della Crimea e del grande mondo multipolare che va prendendo corpo nel pianeta e si oppone al progetto Usa-Nato-Ue di ripristino del vecchio dominio colonialista unipolare.
Dunque, il grande cambiamento dei rapporti di forza internazionali rende ancor più razionale e verosimile la lotta antimperialista e per la trasformazione sociale nei paesi capitalistici occidentali, compresa l’Italia. Questo cambiamento dei rapporti di forza, che evoca un mondo nuovo e libero dal giogo statunitense, di nuovo riconsegna piena legittimità storica ad un pensiero e ad una prassi della trasformazione sociale e della rivoluzione in occidente.
Tuttavia, non potranno essere i Brics a fare la rivoluzione per noi, in Italia.
E si pone il problema, a partire ad ciò, di una nuova inclinazione ideologica comunista in grado di recuperare, innanzitutto sul piano della coscienza ideologica e filosofica, la categoria antipositivista dell’azione soggettiva, già riconquistata da Lenin e da Gramsci, mentre sul piano politico si pone il problema di costruire e far crescere nella prassi, nella lotta, la soggettività comunista e rivoluzionaria sul terreno positivamente fertilizzato dal cambiamento dei rapporti di forza internazionali.
Nel nostro Paese, per ragioni sia storiche che contingenti, il residuo movimento comunista organizzato versa in una crisi profonda, drammatica, per molti versi terminale e irreversibile. Nel senso che le organizzazioni partitiche comuniste odierne non danno affatto l’idea di potersi espandersi e rinvigorirsi, ma piuttosto quella di rinsecchirsi ulteriormente e finire.
Le tre formazioni partitiche italiane che si richiamo al comunismo e di cui stiamo parlando (Prc-Pci-Pc) hanno oggi, tutte assieme, 4 o 5mila iscritti e, tutte assieme, qualche centinaia di militanti. Ma l’uno contro l’altro armati.
Tre partiti comunisti così lontani l’uno dall’altro, così autoreferenziali e mancanti di una cultura dell’unità comunista, che non sono nemmeno riusciti, durante tutta la crisi russo-ucraina, a lanciare una manifestazione unitaria comunista e allargata alle forze antimperialiste almeno contro l’invio delle armi italiane a Kiev!
Tre formazioni comuniste che si trovano divise su tre diversi fronti anche per le prossime elezioni europee, e ciò come conseguenza di una mancata lotta unitaria contro la guerra imperialista, contro la Nato e contro l’Ue, una lotta unitaria che se fosse stata concepita ed organizzata a tempo debito e portata avanti in modo deciso e allargata ad altre forze antimperialiste e anticapitaliste, avrebbe potuto oggi aver preso la forma di un’unica coalizione elettorale comunista e anticapitalista per le elezioni europee. Una Lista Comunista!
Tre formazioni partitiche (lo diciamo con tutto il rispetto possibile dei dirigenti e dei militanti) del tutto autoreferenziali e contrarie all’unità dei comunisti anche perché segnate, ognuna, da una totale mancanza di radicamento sociale e da profonde contraddizioni ed involuzioni politiche e ideologiche interne.
Senza scendere in irrispettose analisi di ognuno dei tre piccolissimi partiti comunisti già citati, noi dobbiamo piuttosto soffermarci sulle gravi conseguenze provocate dall’autodissoluzione del più grande partito comunista dell’occidente, il Pci storico, e sul fallimento sostanziale della risposta alla scomparsa del Pci, e cioè il fallimento del progetto di Rifondazione Comunista.
Su queste due fallimentari, negative, tappe del movimento comunista italiano (autoscioglimento del Pci storico ed insuccesso del progetto di Rifondazione Comunista) molto ancora abbiamo da studiare e da imparare.
Ma nell’essenza possiamo già asserire che il cambiamento del nome del Pci storico in Pds, che era stato venduto ai militanti, da Achille Occhetto, come una sorta di “finzione” diretta ad allargare il consenso popolare ed elettorale, si è invece presto rivelato ciò che in verità era: un cambiamento di sostanza politica e ideologica orientato all’abbandono e persino alla demonizzazione della storia comunista, un cambiamento che ha creato non solo una svolta a destra dell’intero asse politico e culturale italiano, ma anche una disaffezione di vastissima portata, in Italia, verso l’impegno politico comunista stesso, lasciando nell’abbandono politico e organizzativo centinaia di migliaia di comunisti e comuniste che non hanno mai più trovato casa politica né ripreso la militanza.
Nessuno pensi che stiamo parlando di cose lontane: gli studi più seri sui moti sociali lunghi ci insegnano che eventi di portata storica, come lo scioglimento del Pci in Italia, producono contraccolpi capaci di mutare le coscienze sociali ed il senso comune di massa per decenni e decenni, ben oltre il loro colpo d’avvio. Lo scioglimento del Pci storico, con tutto il peso positivo che esso aveva esercitato su grandi masse popolari, porta ad un disincanto politico e ad un abbandono di massa della militanza comunista che attraversa le generazioni e giunge sino a noi.
Ma non utilizziamo a caso le immagini del disincanto politico e dell’abbandono della militanza comunista, poiché ciò che vogliamo sostenere è che rispetto al disincanto e all’abbandono della militanza, persiste invece, seppur dormiente, una vasta e diffusa coscienza comunista o inclinazione ideale comunista. Peraltro, la stessa, grande, lunga storia popolare del Pci, la Guerra di Liberazione partigiana, le stesse grandi lotte operaie e studentesche degli anni ’60, ’70, ’80, in Italia, esterne al Pci, assieme alle migliaia di compagne e compagni che si sono organizzati e sono tuttora organizzati nelle formazioni comuniste successive allo scioglimento del Pci storico e assieme alla resistenza comunista di movimenti, giornali, associazioni che sono qui, oggi, e sono fuori di qui, anche tutto ciò ha sostenuto un’onda comunista che non si è estinta, ma che ha disseminato i propri valori sul terreno della memoria storica, che li ha depositati sui moti sociali e culturali carsici. Un’area comunista forse “in pausa di riflessione” ma potenzialmente vasta e significativa.
Il problema è che questa area comunista potenziale che, siamo certi, vive atomizzata, dispersa e senza voce nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle accademie e nelle università, non è stata rievocata ed attratta da Rifondazione Comunista (attraverso la quale passarono significativamente, non fermandosi ma rapidamente allontanandosi, circa 500mila comunisti/e) e ciò, con ogni probabilità, in virtù della natura radical, stravagante, movimentista, non popolare, non conseguentemente antimperialista e lontana dal movimento comunista mondiale, massimalista ma pronta politicamente alla subordinazione al centro sinistra che il Prc assunse con Bertinotti.
Come in nessun modo, la vasta memoria storica comunista non organizzata mai è stata attratta dalle altre piccole formazioni comuniste nate dalle scissioni dal Prc, formazioni troppo deboli, troppo autoreferenziali e a volte persino caricaturali per attrarre la diaspora comunista di cultura popolare italiana. Rimanendo, la grande diaspora comunista italiana, in un limbo sociale e politico non più organizzato.
La scommessa, crediamo, è quella di riportare alla luce, alla fiducia e alla militanza, attraverso un partito comunista di lotta di popolo, le decine di migliaia di comuniste e comuniste oggi in silenziosa attesa. Oltreché, attraverso la lotta, le nuove generazioni e il nuovo mondo del lavoro.
In questo quadro si pone oggettivamente, in Italia, la Questione Comunista, nel senso che essa rimane ancora una questione completamente aperta (sia sul piano politico che teorico) e non risolta dalle piccole formazioni comuniste che dichiarano di essere in campo ma di cui il movimento operaio complessivo ignora, lo affermiamo senza offesa alcuna, senza protervia, l’esistenza.
Una Questione Comunista oggettivamente irrisolta ma che ognuna delle piccole formazioni comuniste italiane crede invece di aver risolto entro se stessa, rivelando, attraverso ciò, quella falsa coscienza che spinge queste piccole forze ad un avvitamento autoreferenziale e ad un’inclinazione al settarismo e al rifiuto dell’unità dei comunisti.
Come affrontare, oggi, la Questione Comunista in Italia?
Intanto, ponendoci alcune domande.
Prima domanda: la crisi del movimento comunista italiano è il riflesso di una crisi del movimento comunista mondiale?
Questo è ciò che tenta, riuscendovi largamente, di far passare come messaggio al senso comune di massa la cultura dominante. In verità, oggi, il movimento comunista, i partiti comunisti, governano, da soli o assieme ad altre forze antimperialiste e rivoluzionarie, circa un quinto dell’intera umanità.
E la ricerca politica e teorica, all’interno del movimento comunista e antimperialista mondiale, è di grande densità e livello filosofico e scientifico, a cominciare dal grande pensiero che sta dietro al “socialismo dai caratteri cinesi” o dietro alle trasformazioni sociali e socialiste dell’America Latina. Al Socialismo del XXI Secolo, dunque. Come la straordinaria forma di democrazia popolare con la quale l’odierno Stato Plurinazionale della Bolivia ha affrontato la questione dell’unità dei popoli indigeni boliviani. E ciò ci dà modo di salutare la compagna Sonia Brito Sandoval, Ambasciatrice dello Stato Plurinazionale della Bolivia, presente in questa sala!
Se non vi è crisi del movimento comunista mondiale, dunque, se tale, inesistente crisi non può essere assunta quale base materiale della profonda crisi del movimento comunista italiano, siamo chiamati noi, noi tutti, ad indagare in modo risoluto e serio sulla crisi del movimento comunista italiano e la sua storia, per un’analisi senza sconti ma non propagandistica né condotta per bande, per un’analisi che ci porti a capire che cosa è accaduto al movimento comunista italiano, e ciò come primaria condizione per risollevarlo dalle sue ceneri e riportarlo alla grande storia che ha vissuto e che ha bisogno, per la “classe” complessiva, di rivivere.
Vi sono due strade essenziali per affrontare la Questione Comunista in Italia, nell’obiettivo di far uscire dalle secche sulle quali si è arenato l’attuale movimento comunista italiano: la ridefinizione di un profilo politico e teorico all’altezza dei tempi e dell’odierno scontro di classe e la ricostruzione dei legami di massa, del rapporto con la classe, ormai da troppo tempo recisi, mancanti.
Il Movimento per la Rinascita Comunista molto ha contribuito, in questa fase, a mettere in campo il Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”, un Centro Studi comunque autonomo dal MpRC e composto da circa 115 intellettuali ed operai di orientamento marxista; un Centro Studi costituitosi proprio per avviare quella ricerca politico-teorica aperta e antidogmatica che tanto servirebbe al rilancio della stessa prassi comunista nel nostro Paese.
Un Centro studi aperto alla collaborazione degli intellettuali, dei militanti, degli operai comunisti oggi presenti in questa nostra Assemblea e aperto alla collaborazione di altri movimenti, gruppi e giornali comunisti del nostro Paese. Un Centro Studi “Domenico Losurdo” col quale il MpRC assiduamente vorrà lavorare.
Lo stesso MpRC ha organizzato oggi quest’Assemblea anche sulla scorta di un Documento politico-teorico composto da 27 capitoli che è in vendita, nella sua forma di libro, in questa stessa sala.
Un Documento politico-teorico che affronta, nei suoi 27 capitoli, molte della problematiche centrali che, tutte assieme, costituiscono quella che abbiamo chiamato la Questione Comunista e che spaziano dall’analisi dell’imperialismo odierno al quadro internazionale; dall’analisi strutturale dell’Ue e dell’Euro alla questione della Nato; dall’analisi storica sul Pci a quella su Rifondazione Comunista; dalla forma-partito comunista alle questioni di genere e ambientali lette da un punto di vista di classe; dall’analisi della caduta dell’Unione Sovietica a quella sul Socialismo del XXI Secolo; dalla nuova Questione Meridionale alla questione epocale dell’immigrazione.
Un libro, questo, un Documento politico-teorico come prodotto di un lavoro collettivo tra intellettuali marxisti e dirigenti comunisti ed operai, che in nessun modo vuol essere il punto finale e dogmatico sulla Questione Comunista, un’inclinazione understatement, questa, già dichiarata, peraltro, dal titolo stesso del libro: “Primi appunti politico-teorici”, un libro-documento che vuol essere innanzitutto una prima proposta per una ricerca collettiva per la quale già da oggi chiamiamo tutti i compagni presenti e non presenti a cimentarsi, in uno spirito di ricerca collettiva assolutamente propedeutica e indispensabile anche al rafforzamento di una unità politica comunista più forte tra tutti noi.
La seconda questione che riteniamo essenziale per affrontare al meglio la Questione Comunista in Italia, è quella della riconquista, da parte dei comunisti, almeno di un primo legame di massa e di un primo radicamento nei territori.
Obiettivi che si possono raccogliere solo con l’unità dei comunisti nella lotta, per una unità dei comunisti propedeutica al rilancio di una forza comunista in questo Paese, al rilancio del progetto di un partito comunista degno di questo nome, autonomo sul piano ideologico, politico e organizzativo ma anche capace di rigettare ogni settarismo e dunque volto alla costruzione di un più vasto fronte antimperialista e anticapitalista.
Certo, per un fronte d’avanguardia e di popolo, che non può contemplare figure e storie nazifasciste come quella di Alemanno e della Fiamma Tricolore di Reggio Calabria!
E noi ci chiediamo: ma fino a che punto può arrivare la degenerazione elettoralistica?! Fino a che punto può arrivare?
Noi dobbiamo invece lavorare per un partito comunista capace di unità ma che, tuttavia, dovrà necessariamente nascere sulla base di una forte affinità politica e ideologica tra le esperienze organizzate che andranno a comporlo, e ciò per evitare quel nefasto Circo Barnum bertinottiano nel quale si trasformò quella Rifondazione Comunista volutamente costruita sulle frazioni organizzate, l’una contro l’altra armata e attraverso la cancellazione del centralismo democratico, giudicato da Bertinotti e dal suo entourage “un cascame leninista del novecento”.
Occorre studiare collettivamente, dunque e lottare in modo unitario. Il Movimento per la Rinascita Comunista, peraltro, così è nato, attraverso la paziente costruzione unitaria, durata oltre 4 anni, di movimenti, gruppi, giornali, siti, centri culturali di ispirazione comunista e tra loro ideologicamente affini, attraverso l’unità, avvenuta, dei comunisti della Sardegna, della Sicilia, della Calabria, dell’Umbria, delle Marche, di Napoli, Roma, Genova, Torino, Ivrea, Biella, Milano, del Friuli.
Crediamo di poter dire, senza enfasi, che il MpRC ha fatto il piccolo miracolo di invertire la nefasta tendenza alla divisione continua che per tanto tempo ha segnato, e tuttora segna, il movimento comunista italiano, una pratica dell’atomizzazione e dell’autoreferenzialità da scongiurare, da evitare in modo determinato se davvero vogliamo pensare ad una nuova accumulazione di forze politiche ed intellettuali comuniste.
Una unità, questa che abbiamo raggiunto come MpRC, tuttavia non ancora sufficiente per perseguire l’obiettivo della ricostruzione di una seria forza comunista in Italia.
Per questo obiettivo siamo invece indispensabili tutti noi, serve la nostra unità: l’unità dei compagni e delle compagne dei movimenti, dei giornali, dei gruppi, delle associazioni comuniste oggi qui presenti e l’unità di quei compagni/e che oggi non sono presenti.
È per questo obiettivo strategico dell’unità che oggi il MpRC si sente di avanzare una proposta, chiara, semplice, perseguibile: quella della costruzione di un Tavolo permanente per l’unità d’azione e di lotta dei comunisti, un Tavolo che possa costruire unità, fiducia reciproca, legami forti tra i compagni e le compagne, un Tavolo che, nella lotta comune, possa far dimenticare al più presto le precedenti provenienze e possa dare inizio a quel necessario processo di costruzione di una nuova e seria forza comunista in questo paese!
Uniamoci, compagne e compagni!
Nell’unità sincera, solidale e leale possiamo farcela!
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