“Con la Russia nel cuore”

di Fosco Giannini

Recensione della Trilogia poetica di Vladimir Isajčev, tradotta da Marinella Mondaini per Raffaelli Editore.

Con la Russia nel cuore è una rilevante opera poetica che in Italia non ha usufruito né della grande distribuzione, né del “battage” pubblicitario che avrebbe meritato, e probabilmente a ciò non è certamente estranea la grande ondata di russofobia che di nuovo si è alzata in occidente, che ha rilanciato l’odio e il razzismo contro la Russia che già la Francia napoleonica aveva a piene mani disseminato, anche come propellente ideologico per la campagna bonapartista contro la Russia, e che l’intera Europa avrebbe poi, di fase storica in fase storica e con forme diverse, riutilizzato, dalla definizione nazista dei russi come “subumani”, sino ai manifesti della Democrazia Cristiana degli anni del secondo dopoguerra, con i bolscevichi che divoravano i bambini. Una russofobia protrattasi sino ad ora, peraltro, attraverso il racconto reiterato di una Russia dittatoriale e imperialista che avrebbe lanciato l’Operazione Speciale non perché l’Ucraina fascistizzata e “Quisling” degli Usa e della Nato si stava trasformando in una immensa base Nato dotata di missili nucleari a otto minuti da Mosca, ma per “l’innato espansionismo russo”, concezione che era già servita all’esercito francese per spingersi, e crollare nel sangue, sino a Borodino (o Moskova) il 7 settembre del 1812, quell’esercito napoleonico, sconfitto dalla Guerra Patriottica Russa, che lasciò sul campo 400mila uomini, più 100mila catturati dall’esercito russo.

Con la Russia nel cuore è una Trilogia di Vladimir Isajčev. Le tre parti, i tre libri, sono: Terra mia di libere interminate distese; L’arcobaleno dell’anima mia; Seguo la tua voce. L’opera è pubblicata in Italia da Raffaelli Editore (elegantissimo, raffinato il cofanetto) e la traduzione dal russo in italiano è di Marinella Mondaini, come peraltro sue sono le prefazioni ai tre volumi.

Vladimir Isajčev, nato a Sartakovo, un villaggio della Russia europea centrale, nel 1942, ha una davvero singolare biografia: operaio in una famosa fabbrica di automobili nella città di Gorkij (città ora tornata al nome originario, Niznij Novgorod), si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza a Minsk, in Bielorussia e dopo la laurea inizia la sua carriera di giudice, divenendo peraltro un importante giurista russo. Oltre ciò, vi è la poesia, con la quale conquista la fama pubblicando dodici raccolte tra poesie, romanze e poemi. Una fama rafforzata ed estesa dalla pubblicazione delle sue liriche in bulgaro, serbo e armeno e dalla trasposizione di parte del suo lavoro poetico in opere teatrali.

Marinella Mondaini è ormai molto conosciuta in Italia per il fatto di essersi caricata sulle spalle tanta parte della “contronarrazione” sulla crisi russo-ucraina e sull’Operazione Speciale russa contro il regime nazifascista di Kiev. Molto seguita e stimata per aver avuto il coraggio, unito alle grandi capacità d’analisi e narrative, di entrare in lotta contro il mainstream generale italiano ed europeo volto solo alla demonizzazione di Putin e alla santificazione di Zelenskij e del suo, nazifascista, Battaglione Azov, i cui comandanti sono stati, in questi giorni di metà maggio 2024, accolti con tutti gli onori in Gran Bretagna.

Tuttavia, proprio le grandi capacità di decodificazione della realtà storica russa, ucraina, del Donbass, e la straordinaria capacità semantica di trasformare un articolo, una semplice nota in un “prodotto” letterario capace sia di costruire coscienza che suscitare emozione, derivano, per Marinella Mondaini, dal suo vero lavoro: Marinella, nata a Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena) è filologa slavista, traduttrice e interprete simultanea dal russo. Dopo la laurea in Lingue e Letterature straniere all’Università di Urbino, ha conseguito la laurea magistrale in lingua russa e, quindi, il dottorato di ricerca presso l’Università Statale “Mgu” di Mosca. Dal 1987 vive nella capitale russa. La sua traduzione in italiano della Trilogia di Vladimir Isajčev, La Russia nel cuore, è solo una parte della sua più vasta opera di traduzione dei poeti russi nella nostra lingua, che si accompagna alla sua Antologia, una minuziosa e vastissima raccolta dei testi letterari di poeti e scrittori russi dedicati all’Italia dal XIX secolo ai nostri giorni, realizzata durante il suo lavoro di ricercatore scientifico presso l’Università di Mosca.

Il linguaggio poetico di Isajčev è potente, evocativo e, all’apparenza, semplice. Sembra, in prima battuta, un linguaggio persino elementare, ma questa sensazione è data dal fatto che esso è esplicitamente teso a puntare direttamente al cuore e ai sentimenti più diffusi e popolari. Un linguaggio, dunque, solo a prima vista elementare; in verità siamo di fronte ad una consapevole architettura stilistica del poeta che vuol popolarizzare, persino “plebeizzare” il linguaggio scegliendo di rimettere in circolo parole, aforismi, epigrammi, motti, immagini appartenenti alla vecchia civiltà contadina russa, come l’antica stufa in muratura (peč, in russo) delle case contadine, il remoto samovar per far bollire il tè, o le ceste intrecciate con il lyko, ovvero la rafia. Tutte parole e immagini che corredano la poesia di Isajčev evocando, da una parte, il vecchio mondo contadino e, d’altra parte, illuminando anche l’odierno, e nel fondo immutato, animo russo. E poiché è la natura, la sterminata terra russa, la sua campagna senza fine, i fiumi, i villaggi della Russia profonda, contemporanea ed antica insieme, uno dei temi centrali dell’opera di Isajčev, ecco che il poeta, per rievocare quel sentimento russo consustanziale alla natura e non parte separata di essa, utilizza parole arcaiche, desuete, immagini legate alla vita dei campi, alle distese innevate, parole che tessevano il linguaggio dei contadini russi di un tempo e che, nella poesia di Isajčev, formano un ordito poetico tanto “straniante” quanto imprigionante.

Scrive Mondaini, nella prefazione al primo volume della Trilogia di Isajčev, Terra mia di libere e interminate distese: “L’io lirico si specchia nel variegarsi delle suggestioni esercitate dal paesaggio, dagli incanti di un mondo antico… dal villaggio russo immerso nella campagna. Il poeta esalta la bellezza della natura, ponendosi in adorazione dinanzi alle sue ricchezze… il panorama dei campi, la grandezza e limpidezza delle sorgenti, dei fiumi e dei laghi… tutto ciò è il paradiso perduto dei valori morali dell’uomo e quasi smarriti nella società odierna, a cui il poeta anela rivolgendosi ai ricordi, alle meditazioni e alla vagheggiata lontana piccola patria”.

In Terra mia di libere interminate distese, dunque, la natura e la Rus (l’antica parola slava con la quale si identificava la “gente del fiume”, i pescatori, i contadini che lavoravano e vivevano attorno ai fiumi Dnepr, Don, Dnestr e Daugava, Rus poi assunta per evocare l’intero popolo russo delle “libere interminate distese”) sono strumenti, simboli per far risuonare l’antica e sempiterna “anima russa”.

In questo primo tomo della Trilogia è, indubbiamente, Sergej Aleksandrovič Esenin ad aggirarsi ed offrire il proprio “contributo” estetico e concettuale alla poesia di Isajčev, un “contributo” che evita di rovesciare nei versi del giudice-poeta di Sartakovo la potenza eversiva ed il troppo oro stilistico di versi “eseniniani” quali Confessioni di un teppista, ma disseminando tuttavia la poesia di Isajčev dell’amore struggente “eseniniano” per le “sacre” betulle, per le nuvole in cammino nei cieli sconfinati, per le acque trasparenti dei fiumi e dei laghi che si fanno essi stessi “anima russa”.

Scrive Isajčev in questo primo tomo, nella poesia Incontro con il Volga: “Sono pronto a perdonare il capriccio autunnale / Come tutto si perdona alla propria amata donna / A primavera il ghiaccio si scioglierà / e i lastroni a valle scivoleranno, giù per la corrente / Sì, nuovamente ti rivedrò d’acque ridondante / O Volga, Volga, terra mia di spazi liberi interminati!”.

E ancora, nella poesia Il mio villaggio, ecco Esenin, molto Esenin, seppur nelle parole più scarnificate e più popolari di Isajčev: “A te dico grazie / mio amato villaggio di campagna / per quell’amore, per quei moti dell’anima / che mi porto dietro, fedelmente, nella vita”.

L’arcobaleno dell’anima mia è il secondo tomo della Trilogia di Isajčev. Vladimir Vladimirovič Majakovskij, con la sua cruda e meravigliosa iperbole futurista-leninista, rivoluzionaria, non è mai “incrociato”, nemmeno per sbaglio, nella poesia di Isajčev. Ma l’intertestualità (il fatto, cioè, che l’intera storia della letteratura, della poesia, è oggettivamente “nel” poeta, è “dentro” ogni poeta, ridicolizzando la categoria stessa di “originalità assoluta”, giudicata da Balzac “un mito della piccola borghesia”) segna di sé anche il nostro giurista-poeta e nelle liriche dell’Arcobaleno dell’anima mia è forse, più di altri, Aleksandr Aleksandrovič Blok a confondere il proprio canto con quello di Isajčev, a portare il proprio contributo, che come un incenso sale dalle poesie “blokiane” scritte “per una bella signora”, ai versi dell’Arcobaleno dell’anima mia.

Scrive, tra l’altro, Isajčev, in una stupenda poesia del secondo tomo dal titolo Dall’Infanzia, una poesia che rievoca la guerra: “Dal sommo dei cieli guizzavano / sfolgoranti i lampi / Io ero piccino. Preso dallo sgomento / Più non avevo di me coscienza / … I giovani, sulla guerra, mai riflettono un istante / La cicatrice sul terreno per loro è insignificante / E il fumo, il fumo vortica, striscia tra le righe / Su questa diletta casa volteggia”.

E nei versi A mio padre, di nuovo Blok forse riappare, a miscelare col proprio, più “geometrico” e cristallino afflato poetico il lirismo forse più ligneo di Isajčev: “Vuoi sapere dell’infanzia quale ricordo serbo? / Mai vanente per questi lunghi anni? / Ebbene, ascolta. È mezzanotte, non mezzodì / Mio padre tornava dal fronte. Per sempre / … Il nemico ho battuto / Gli attacchi ho respinto / L’offensiva ho sferrato e invincibile sono stato / Tutto ciò perché non toccasse anche a voi piangere / E più non avvolgesse la terra il fumo degli incendi”. In un canto di resistenza e di lotta di liberazione contro il nazifascismo del popolo sovietico che Blok –che pure dona mattoni estetici all’opera di Isajčev – forse non aveva.

Seguo la tua voce è il terzo tomo della Trilogia. Scrive Mondaini nella sua prefazione specifica a questo libro: “Questa raccolta rappresenta il diario lirico dell’Autore, dove ogni pagina è irradiata dal totalizzante sentimento dell’amore… il grande ed eterno amore per la donna amata”.

Proseguendo nel nostro esercizio, volutamente retorico, ma di una retorica funzionale a trasmettere l’essenza stilistica e la natura concettuale della poesia di Isajčev (questo grande poeta russo pressoché sconosciuto in Italia e, quindi, forse più facilmente “assaporabile” attraverso l’accostamento a poeti che abitano già l’immaginario poetico e intellettuale italiano), per questa terza parte della Trilogia del Nostro si può forse tirare in ballo Aleksandr Grin, pseudonimo di Aleksandr Stepanovič Grinevski, scrittore russo neoromantico e dallo stile segnato da una grande e controllata semplicità e raffinatezza. Il sentimento dell’amore – personale e universale – assieme al desiderio, a volte ingenuo ma insieme potente, per la pace, strutturano l’intera opera letteraria di Aleksandr Grin. Ed esattamente come nel linguaggio di Isajčev, la “grammatica” di Grin scale le vette più alte dei sentimenti universali senza mai cadere/scadere nell’enfasi roboante e vuota della retorica per la retorica, arrampicandosi su queste vette, invece, con uno zainetto pieno di dense parole del popolo.

Scrive Isajčev nella poesia Candela e rose sul tavolo, del terzo tomo: “Candela e rose nel cristallo / E la luce balugina sul vetro / E la mia anima si delizia / Nel sapere che in questa vasta città / Solo tu ed io siamo qui seduti / E più gioia non ci abbisogna”.

Vi è l’uso razionalmente e “pericolosamente” voluto di forme auliche desuete (“E più gioia non ci abbisogna”) che rimanda a quell’utilizzo di parole altrettanto auliche con le quali Isajčev, specie nel primo tomo, puntava a rievocare l’antico mondo contadino. L’uso di un vocabolario arduo e lontano dal linguaggio odierno che, sappiamo, molto ha messo alla prova la pazienza e il lavoro di traduzione dal russo all’italiano di Marinella Mondaini.

Una pazienza e un lavoro di traduzione segnato dalla fatica nel cercare il corrispettivo aulico e non risibile del linguaggio di Isajčev in italiano, fatica che tuttavia, di fronte a versi senza titolo e meravigliosi come i seguenti, del terzo tomo, del poeta russo, valeva la pena fare: “Perché da sola con la primavera, improvvisa, vivace e inebriante, / ti ho lasciato io, folle / correndo il rischio, in questa prima calura / qui, sulla rovente Mosca / di perdere l’amore nel rumore delle strade? / “Forse non l’ami più?” – ho chiesto a me stesso. / Nemmeno per sogno! Né ora né mai succederà / L’amore in primavera spegnersi non può / Il motivo è che non ho più le forze per riscaldarti, Sneguročka / Perché lo vedo, il cuore non si scioglie”.

Sneg, in russo, significa neve e Sneguročka è la russa fanciulla di neve. Narra la leggenda che il contadino Ivan modellò con la neve una bambola, che, divenuta fanciulla, un bel giorno uscì all’aria aperta per conoscere i suoi coetanei, ma quando si innamorò immediatamente si sciolse.

Come noi ci siamo, pian piano, innamorati e sciolti ai versi di Vladimir Isajčev.

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