di Gianmarco Pisa
Il Nuovo partito comunista di Jugoslavia ha organizzato, domenica 26 maggio, una manifestazione presso la Casa dei Fiori a Belgrado, in collaborazione con il Subnor di Belgrado, l’Unione degli Jugoslavi, l’Unione dei comunisti di Serbia, e la Rete per la difesa dell’umanità, per protestare contro la scandalosa iniziativa di Aleksandar Šapić, sindaco di Belgrado, di spostare la tomba di Tito e abolire il Museo della Jugoslavia, il tutto mentre avanzano i progetti per demolire l’Hotel Jugoslavia e l’edificio dello Stato Maggiore, entrambi colpiti durante la criminale aggressione imperialistica della Nato del 1999.
Una sessione alle Nazioni Unite; 209 delegazioni provenienti da 127 Stati, tra le quali 31 presidenti, 4 sovrani, 22 primi ministri, per la scomparsa, il 4 maggio 1980, di Josip Broz, il Maresciallo Tito. Al suo nome sono legate tre tra le grandi vicende del XX secolo: la straordinaria epopea partigiana e la lotta di liberazione dei popoli della Jugoslavia dall’occupazione delle potenze dell’Asse, culminata con la sconfitta del fascismo e del nazismo; la creazione della Jugoslavia socialista; quella particolare forma di “via nazionale al socialismo”, basata sui capisaldi dell’autogestione, dell’unità e fratellanza tra i popoli, del non-allineamento.
Tito nacque in una famiglia contadina a Kumrovec, a nord-ovest di Zagabria, Croazia, il 7 maggio (poi, ufficialmente, il 25 maggio, Giornata della gioventù nella futura Jugoslavia socialista) del 1892; frequentata la scuola pubblica a Kumrovec, si trasferì a Sisak, nel 1907, completando il suo apprendistato come fabbro nel 1910. In quello stesso 1910 aderisce al partito e al sindacato: entra a far parte del sindacato dei lavoratori metallurgici e del Partito socialdemocratico della Croazia e della Slavonia. Dopo aver lavorato come meccanico in diversi centri dell’Impero asburgico, passò poi a lavorare come operaio presso la fabbrica di automobili Daimler a Wiener Neustadt, presso Vienna. Arruolato nell’esercito asburgico nel 1913, Tito fu trasferito, nel 1915, sul fronte russo, dove fu gravemente ferito e catturato nell’aprile 1915. Fu mandato quindi in campo di prigionia, dove, per la prima volta, ebbe modo di familiarizzare con la propaganda bolscevica. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, si unì alla Guardia rossa internazionale a Omsk, in Siberia.
Rientrò in Croazia nel 1920; appena l’anno prima, nel 1919, era stato costituito il primo stato jugoslavo, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni; e si unì al Partito comunista di Jugoslavia (Kpj). Dopo la messa al bando del 1921, le attività e la propaganda comunista furono proibite nel regno, e Tito, nel nuovo quadro del Kpj clandestino, prestò servizio come funzionario politico e organizzatore sindacale in Croazia e in Serbia fino al 1927, quando si unì al comitato di partito a Zagabria. Arrestato nel 1928, Tito si difese, durante il processo che si sarebbe concluso con una condanna a cinque anni, con coraggio e determinazione. Nel 1929, fu costituito il nuovo Regno di Jugoslavia, presto caratterizzato per una vera e propria dittatura monarchica, con un nuovo giro di vite di dirigenti, quadri e militanti comunisti. Tra il 1935 e il 1936 Tito fu in Unione sovietica, attivo nella sezione Balcani dell’Internazionale comunista. Già nel 1937 è segretario del Kpj dove viene affermandosi un nuovo, promettente, nucleo dirigente: tra gli altri, Edvard Kardelj, Aleksandar Ranković, Milovan Djilas ed Ivo Lola Ribar. Il Kpj si impegnò da allora per la sollevazione popolare, per una prospettiva rivoluzionaria e per la soluzione in senso federativo della questione jugoslava.
Con la Seconda guerra mondiale, dopo l’occupazione e lo smembramento della Jugoslavia ad opera delle potenze dell’Asse, la Germania nazista e l’Italia fascista, inaugurata il 6 aprile 1941, il Kpj è l’unico gruppo politico organizzato in grado di combattere gli occupanti e i collaborazionisti e di organizzare subito una resistenza partigiana antifascista. Appena quattro giorni dopo, il 10 aprile 1941, Tito fonda un Comitato militare come parte del Comitato centrale del partito. I comunisti e le comuniste sarebbero stati, fino alla fine, la forza determinante dell’intero movimento partigiano e dell’intera lotta di liberazione, combattendo gli occupanti e i collaborazionisti, ma anche le forze nazionaliste e monarchiche, a partire dai cetnici di Draža Mihailović.
Sette furono le grandi offensive nemiche ad opera delle forze fasciste e naziste contro la Jugoslavia; eroiche le battaglie partigiane, tra le quali, in particolare, quelle della Neretva e di Sutjeska; gli Alleati occidentali furono allora costretti a riconoscere il movimento di Tito come leader della resistenza jugoslava e indussero anche il governo in esilio a Londra a giungere a termini con i partigiani. Sebbene la data di nascita di Tito fosse in realtà il 7 maggio, egli stesso modificò la data nel 25 maggio, per commemorare l’epopea che si consumò quel giorno, nel 1944, quando riuscì a sfuggire ad un assalto nazista, nel pieno della lotta partigiana, presso Drvar. In quella che sarebbe passata alla storia come la “Settima offensiva nemica”, i paracadutisti delle Waffen SS si lanciarono contro il quartiere partigiano di Drvar (Bosnia) per catturare Tito, che sembrò senza scampo, trincerandosi nella difesa del presidio; l’eroica azione di poche decine di partigiani, armatisi con le armi sottratte ai nazisti, diede corpo a una strenua resistenza, dando modo a Tito di sfuggire all’assalto. Quel 25 maggio assurse, allora, a vera e propria giornata di riscossa, oltre che, tra vari altri, a mito costituente della Jugoslavia socialista.
Belgrado, futura capitale, fu liberata il 20 ottobre 1944; il 7 marzo 1945 il governo provvisorio della Repubblica democratica federale di Jugoslavia, con a capo Tito, si riuniva a Belgrado. Nel novembre 1945, il Fronte popolare, espressione delle forze socialiste e comuniste dirette da Tito, ottiene la maggioranza assoluta e Tito è nominato primo ministro e ministro degli esteri. Alla fine dell’epopea partigiana, l’Armata popolare jugoslava (Jna) contava quattro armate con 800.000 combattenti; nel corso della guerra la Jugoslavia pagò un tributo di vittime di oltre 1.5 milioni di persone, pari al 10% dell’intera popolazione jugoslava del 1941.
Nel novembre 1945 è redatta la nuova costituzione, con la quale la federazione si trasforma nella Repubblica socialista federale di Jugoslavia. Nel 1950 l’Assemblea nazionale approva la legge sull’autogestione (samoupravljanje), con la quale si inaugura una originale, inedita, sperimentazione di socialismo che vede al centro l’autogestione dei lavoratori e delle lavoratrici a tutti i livelli e in tutti i settori in un quadro economico posto sotto la programmazione generale e la proprietà fondamentale dello Stato. Nel 1953 la legge sull’autogestione viene posta a base dell’intera organizzazione sociale e politica della Jugoslavia e, nello stesso anno, Tito succede a Ivo Lola Ribar come presidente della federazione.
Dopo la decisione del Kpj di non conformarsi alle direttive del Cominform e dell’Unione sovietica, Stalin richiama i consiglieri militari e gli specialisti civili presenti in Jugoslavia e una lettera del Comitato centrale del Pcus critica le decisioni del partito jugoslavo. Rotti i rapporti con il Cominform, il Kpj elegge un nuovo Comitato centrale allineato alle posizioni di Tito e consolida il proprio controllo sugli apparati della federazione. Dopo la morte di Stalin, nel 1953, Tito e il quadro dirigente del partito e dello Stato decidono di proseguire non solo la linea dell’autogestione, ma, in particolare, la politica del non-allineamento tra i blocchi contrapposti sulla scena internazionale. I rapporti politici e diplomatici consolidati, in particolare, con l’Egitto del leader socialista panarabo Gamal Abd el-Nasser e l’India del leader progressista Jawaharlal Nehru, nel 1956, portano a una più stretta cooperazione tra gli Stati che non facevano direttamente parte dei blocchi contrapposti, centrati intorno alle alleanze militari della Nato e del Patto di Varsavia.
Il primo vertice degli Stati Non Allineati, che gettò le basi della fondazione del Movimento dei Non Allineati, ebbe luogo a Belgrado nel 1961, identificando, nella capitale jugoslava, anche il riconoscimento del ruolo propulsivo svolto in questa direzione dalla Jugoslavia socialista e dalla direzione titina. L’autogestione, in politica interna, e il non-allineamento, nella politica internazionale, sono i tratti maggiormente caratterizzanti l’esperienza del socialismo jugoslavo. Tito, Djilas e, soprattutto, Kardelj sono, da questo punto di vista, i principali ispiratori del cosiddetto “socialismo dell’autogestione”. Esso consiste nella concretizzazione di una forma di autogoverno dei lavoratori e delle lavoratrici, che, attraverso i loro consigli, determinano le politiche dei settori in cui lavorano e condividono parte degli utili realizzati. Analogamente, le organizzazioni politiche e sociali si dotano di una configurazione federale e il partito comunista assume la denominazione di Lega dei comunisti della Jugoslavia al suo sesto congresso (1952), nel quale si stabilisce l’importanza decisiva dell’introduzione dell’autogestione per l’ulteriore sviluppo e consolidamento della democrazia socialista.
La stessa articolazione dello Stato accentua i propri tratti federali e decentrati, non senza problematiche e contraddizioni, come nel caso della divergenza tra le forze sostenitrici della federalizzazione (presenti soprattutto in Slovenia e Croazia) e le forze a maggiore orientamento centralistico (presenti soprattutto in Serbia). La risposta di Tito alle crisi tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta consistette soprattutto nel tentativo, anche questo straordinariamente innovativo, di creare un sistema di “federalismo simmetrico”, in cui regole, procedure e meccanismi interni avrebbero dovuto concretizzare l’eguaglianza costituzionale tra le sei repubbliche (Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Macedonia) e, entro certi limiti, le due province autonome della Serbia (a nord, la Vojvodina, a sud, il Kosovo). Questo sistema, incorporato nella storica costituzione del 1974, ha promosso una nuova “geometria del potere” e una nuova “simmetria federale”, non senza contraddizioni, come detto, in particolare in Serbia, sul cui territorio furono istituite le due province, con una vastissima autonomia, in Vojvodina e in Kosovo. Una tensione che si manifestò sin dalla fine degli anni Settanta ma che si radicalizzò, in maniera drammatica, dopo la morte di Tito nel 1980.
La nozione di una “via autonoma al socialismo”, nell’originale elaborazione titina, si basava su alcuni principi tanto innovativi quanto attuali: la fratellanza e l’unità tra i vari popoli e nazionalità, principio basilare della nuova costituzione jugoslava del 1974, con la quale la Jugoslavia veniva definita una “comunità socialista democratica autogestita dei lavoratori, dei cittadini, dei popoli e delle nazionalità su base di eguaglianza”; la proprietà sociale dei fattori produttivi da parte dei lavoratori attraverso l’articolazione dell’autogestione basata sul “libero lavoro associato con mezzi di produzione di proprietà sociale e l’autogoverno degli operai nella produzione”; la perequazione interna, la coesistenza pacifica e le relazioni paritarie con gli altri popoli del mondo, come istanza del principio di autodeterminazione. È proprio questa elaborazione di “via nazionale al socialismo”, la conferma della praticabilità della trasformazione dello stato e della società in senso socialista, in coerenza con il retroterra storico e culturale, sociale e materiale di ciascuna realtà nazionale, il lascito, in tutte le sue articolazioni e declinazioni, più coraggioso e promettente della sua eredità storica e politica.
Come ha ricordato Tatomir Toroman, etnologo presso il Museo della Jugoslavia, a Belgrado, curatore della mostra “Il Compagno Tito è morto” (25 maggio 2021-2025), “Tito è stato il simbolo più riconoscibile, rilevante e inviolabile della Jugoslavia socialista, e in questa cornice ci occupiamo soprattutto di questo aspetto. La sua morte ha finito col decapitare l’ordine simbolico e col causare una drammatica crisi nella società jugoslava, cui questa ha risposto attraverso manifestazioni collettive, di massa, e con varie forme di comunicazione simbolica: onori, irruzioni emotive incontrollate, funerali, canti, doni, celebrazioni”.
Nell’elaborazione di Tito e nel contesto particolarissimo della Jugoslavia, il tema di una “via nazionale al socialismo” non poteva non trovare una sua rilevanza specifica: da lì maturò quel singolare esperimento, fatto di federalismo, “unità nella diversità” dei vari popoli e gruppi nazionali, complessa articolazione ed equilibrio dei poteri, autogestione, internazionalismo e non-allineamento, che avrebbe dato luogo, per diversi aspetti, a una nuova grammatica per le forze di pace e di progresso a livello mondiale.
Tito, non a caso, aveva scelto il palcoscenico dell’Accademia slovena delle arti e delle scienze (Lubiana, 26 novembre 1948) per una prima compiuta elaborazione del tema inerente alla “questione nazionale e sociale”: “I nostri lavoratori hanno il diritto di sperimentare e mettere alla prova le loro capacità e la loro vitalità, dal momento che si sono liberati dall’oppressione nazionale e dall’oppressione sociale. Ciò è essenziale per diverse ragioni, in primo luogo perché comprendono che sono capaci di affermare e costruire una nuova società […]. I nostri popoli hanno compiuto sinora tali progressi nella loro coscienza, da avere già compreso che non possono vivere l’uno senza l’altro; hanno compreso che la nostra comunità pone le basi per uno sviluppo complessivo, economico, culturale, politico; hanno visto che … garantisce sicurezza alla loro esistenza e per il loro sviluppo pacifico”. Una riflessione perfino profetica, a volgervi uno sguardo in retrospettiva.
In un’intervista del 2017, Radina Vučetić, docente di storia presso la Facoltà di filosofia dell’Università di Belgrado e autrice del noto Koka-kola socijalizam (Socialismo Coca-Cola), conferma, in sede di bilancio storico-politico, che “a prescindere da quale posizione e con quale intenzione ci si addentra nella riflessione sulla Jugoslavia, non si può non constatare che questo Paese … fungeva da cornice per l’emancipazione e la modernizzazione di tutti i popoli jugoslavi, una cornice entro la quale si sono costituite le future repubbliche, odierni stati indipendenti, e ogni singolo popolo jugoslavo ha raggiunto momenti del suo più grande slancio. Come afferma Marie-Janine Čalić, … la Jugoslavia è stata il più importante progetto modernista mai realizzato nei Balcani, mentre tutto quello che è accaduto a partire dalla fine degli anni Ottanta, compreso quello che sta accadendo oggi, è nella sua essenza antimodernista, e ci riporta indietro di un secolo”.
“Tutti i popoli che facevano parte della Jugoslavia proprio all’interno di essa hanno raggiunto il loro massimo in termini storici e culturali”. “La soluzione della questione abitativa, l’istruzione gratuita, l’incredibile aumento del tasso di alfabetizzazione, il riconoscimento del diritto di voto alle donne e la loro emancipazione, l’urbanizzazione, l’industrializzazione – tutto ciò è stato raggiunto, facendo grossi passi in avanti, nella Jugoslavia socialista”. Non è solo merito di Tito, ovviamente, né si può astrarre da un contesto storico e da un quadro internazionale incomparabili con la realtà attuale. Il sentimento jugonostalgico, ancora presente in Serbia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia, sfidato e aggredito dall’onda lunga del nazionalismo, del revanscismo e del revisionismo storico, politico e culturale, non può ridursi al vagheggiamento dei bei tempi andati, ma deve trasformarsi in una spinta innovatrice, una leva per la trasformazione. E la Jugoslavia, non va dimenticato, è stata una sperimentazione innovativa, di “fratellanza e unità”, democrazia, giustizia sociale, pace.
Riferimenti:
Comrade Tito has Died, Museum of Yugoslavia, Belgrade, 25.05.2021-25.05.2025:
https://www.muzej-jugoslavije.org/en/exhibition/umro-je-drug-tito
Filip Švarm, “O čemu govorimo kad pričamo o Jugoslaviji”, Intervju – Radina Vučetić, 27.12.2017:
https://vreme.com/vreme/o-cemu-govorimo-kad-pricamo-o-jugoslaviji
Josip Broz Tito, About the National Question and Social Patriotism, Speech held at the Slovene Academy of Arts and Sciences, Ljubljana, 26.11.1948:
https://www.marxists.org/archive/tito/1948/11/26.htm
David A. Andelman, “Edvard Kardelj dies in Yugoslavia”, The New York Times, 11.02.1979:
https://www.nytimes.com/1979/02/11/archives/edvard-kardelj-69-dies-in-yugoslavia-tito-ideologist-pioneered.html
Yugoslavia: Tito’s Daring Experiment, Time, 09.08.1971:
https://content.time.com/time/subscriber/article/0,33009,903055-1,00.html
Immagine: Poster Jugoslavia 1945-1985, Mostra “Dizajn za Novi Svet”, MIJ, Belgrado, 2015, Foto di Gianmarco Pisa.
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