Come cambia l’economia in Italia: da economia di mercato a economia di guerra

di Stefano Tenenti

Siamo di fronte all’estendersi e all’aggravarsi dei conflitti nel mondo: la guerra russo-ucraina causata dalla Nato per l’epansione a est degli interessi Usa, la guerra di Israele contro la Palestina con il genocidio del popolo palestinese, in un Medio Oriente in cui si moltiplicano le azioni militari, le tante guerre in Asia e Africa, lontane dall’attenzione dell’Occidente, sono tutti focus potenzialmente generatori di un conflitto nucleare. L’Ue e l’Italia sono coinvolte in misura crescente ed hanno preso la strada dell’aumento della spesa per le armi e della militarizzazione dell’economia, ma ci rimettiamo tutti. La scelta da parte di governi di destra, non dissimile da quella degli esecutivi di centrosinistra, di spendere risorse importanti per gli armamenti, si accompagna all’abbandono dell’industria dell’auto tradizionalmente importante per il nostro Paese.

Definendo i termini quantitativi della questione, nell’ultimo decennio 2013-23 le spese militari hanno registrato un aumento record: +46% nei paesi Nato-Ue e +30% in Italia; un balzo trainato dall’acquisto di nuove armi: +168% nei paesi Nato-Ue e +132% in Italia. In un decennio, la spesa italiana per i nuovi sistemi d’arma è passata da 2,5 miliardi a 5,9 miliardi di euro.

Un aumento fuori scala rispetto agli altri investimenti pubblici, un incremento che contrasta con la stagnazione dell’economia europea. Infatti nello stesso periodo, il pil dei paesi Nato-Ue è cresciuto solo del 12%, il pil italiano ancora meno, solo del 9%; anche l’occupazione è cresciuta molto poco dal 2013 al 2023, solo +9% nei paesi Nato-Ue e +4% in Italia. La spesa per le armi nei paesi Nato della Ue, quindi è cresciuta 14 volte più velocemente del loro Pil complessivo.

In Italia la spesa per i servizi prioritari è rimasta al palo dal 2013 al 2023 e nonostante il Covid, il budget per la sanità è aumentato solo dell’11%, così la spesa per l’istruzione è cresciuta solo del 3%, come la spesa per la protezione ambientale solo del 6%, nonostante l’aggravarsi della crisi climatica. Ci avviamo sempre più verso un declino che pagheremo caro.

La scelta della militarizzazione non è giustificata dalle esigenze di sicurezza dell’Europa, che invece sarebbe meglio garantita da accordi politici e diplomatici, iniziative di prevenzione e risoluzione dei conflitti, controllo degli armamenti e processi di disarmo. Al contrario, questa strategia può invece portare a una nuova corsa agli armamenti, con l’effetto immediato di destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale, rappresentando un serio pericolo per la pace.

La sicurezza non può essere intesa solo in termini militari, anche le Nazioni Unite hanno adottato la “human security”, ribadendo che per mantenere la pace si devono tutelare i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, insieme alle condizioni ambientali e climatiche.

La corsa alle armi è anche un cattivo affare per l’economia in generale: in Italia 1 euro speso per l’acquisto di armi mette in moto un aumento della produzione interna di soli 0,74 euro. La stessa cifra investita in altri settori pubblici ha invece un effetto moltiplicatore quasi doppio, con un aumento della produzione pari a 1,9 euro nella protezione ambientale, 1,5 euro nella sanità e 1,25 euro nell’istruzione; uno scarto ancora maggiore si registra nell’impatto occupazionale: 1.000 milioni di euro spesi nelle armi creano solo 3.000 nuovi posti di lavoro, mentre nel settore dell’istruzione lo stesso investimento creerebbe quasi 14.000 nuovi posti, più di 12.000 nella sanità e quasi 10.000 nuovi posti nella protezione ambientale, circa quattro volte tanto.

La scelta da parte di governi di destra, non dissimile da quella degli esecutivi di centrosinistra, di spendere risorse importanti per gli armamenti, si accompagna all’abbandono dell’industria dell’auto tradizionalmente importante per il nostro Paese.

Un esempio per tutti: “Stellantis, lento addio all’Italia il milione di auto è un miraggio”, come ha titolato il giornale di Confindustria.

Il patto con la cinese Leapmotor, teso alla mera vendita senza ipotesi immediate di produzione, apre scenari e interrogativi sulla tenuta del comparto e della filiera nel nostro paese dopo anni di crisi

“Un milione di veicoli prodotti in Italia entro il 2030”, dichiarò Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, lo scorso gennaio in occasione della presentazione dei conti 2023; ma nonostante l’ottimismo del manager portoghese, la realtà è decisamente diversa e il futuro è tutt’altro che roseo, perché lo scorso anno la produzione in Italia di Stellantis si è fermata a 521.842 auto su un volume complessivo di 752.122 veicoli, aggiungendo i commerciali, su un totale di 541 mila vetture prodotte in patria. Non va meglio nel 2024, secondo i dati preliminari Anfia, con la produzione domestica delle autovetture in calo del 31,3% nel mese di marzo e del 21,1% nel trimestre.

Senza Stellantis si può dire addio alla produzione di grandi volumi, lasciando una delle più importanti industrie manifatturiere appannaggio di aziende di nicchia come Ferrari e Lamborghini o rebranding come Dr con vetture cinesi personalizzate in Molise. Proprio dalla Cina poteva arrivare un aumento di volumi di produzione, grazie ai modelli Leapmotor commercializzati grazie alla joint venture tra il costruttore asiatico e Stellantis. La doccia fredda è arrivata dallo stesso Tavares: in Italia solo commercializzazione e nessuna produzione. E a Mirafiori resta solo la Fiat 500 elettrica a fine carriera, realizzata inoltre su una piattaforma non coerente con le altre del gruppo, e la gemella Abarth 500 elettrica è per ora un flop.

Ma come si è arrivati a tutto questo? Togliendo, volutamente, l’Italia dallo scacchiere mondiale della produzione automobilistica e restando legati esclusivamente prima al gruppo Fiat, poi a Fca e ora a Stellantis; mentre le fabbriche di armi ingrassano i soci privati di Leonardo S.p.A. che insieme a Fincantieri è la maggiore azienda produttrice di sistemi d’arma avanzati, rispettivamente, al 13° e 47° posto della top 100 mondiale del settore.

Tra i nomi dei maggiori soci di Leonardo troviamo: Dimensiona Fund Advisors LP, The Vanguard Group, Norges Bank Investment, T. Rowe Price International Ltd Management, Goldman Sachs Asset Management, BlackRock Fund Advisors, Goldman Sachs Asset Management International.Praticamente il Gotha dei fondi di investimento Usa.

Leonardo, società pubblica italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, ha chiuso il 2023 con risultati record, registrando ordini sopra le previsioni a 17,9 miliardi di euro (+3,8%) e ricavi per un ammontare di 15,3 miliardi (+3,9% rispetto al 2022), evidenziando una crescita di tutte le divisioni. Il valore delle azioni dell’azienda ha preso il volo, in particolare, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina e, successivamente quello in Medio Oriente. L’importante ruolo delle armi “made in Italy” a Gaza è stato evidenziato, negli ultimi giorni, dal tenente colonnello Steven, ufficiale della terza flotta della Marina militare israeliana, che ha dichiarato al sito specializzato «Israel Defense» che i missili che stanno colpendo la Striscia, provengono anche da cannoni fabbricati in Italia e venduti a Tel Aviv. Si parla, nello specifico, dei cannoni da 76 mm, prodotti dall’azienda italiana Oto Melara, società controllata da Leonardo. Un dato citato anche dall’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei, The Weapon Watch, che ha pubblicamente smentito l’azienda italiana Oto Melara, che invece aveva dichiarato che l’esercito israeliano non stesse utilizzando mezzi di sua produzione nella carneficina di Gaza.

Che la guerra e la corsa agli armamenti abbiano gonfiato le vele agli affari di Leonardo è stato ben visibile fin dal 24 febbraio 2022, giorno dell’operazione militare russa in Ucraina e dal 7 ottobre 2023, quando è scoppiato il conflitto in Palestina. Se il 23 febbraio 2022 Leonardo valeva 6,4 euro, solo due giorni dopo il valore delle sue azioni è salito a 9 euro; il 6 ottobre 2023 era già a 12,94 euro (il 102% in più), mentre il 12 ottobre ha registrato un’impennata del 123,5%, attestandosi a 14,31 euro; che l’azienda puntasse le sue carte migliori sulla guerra lo raccontano i dati: se nel 2013 il fatturato militare era pari al 49,6%, solo dal 2017 al 2022 ha registrato un clamoroso boom, alzandosi dal 68% all’83%. In riferimento alla guerra in Medio Oriente si evince non soltanto che il conflitto avrebbe giovato agli affari di Leonardo, ma che la società stessa avrebbe mentito circa l’impiego dei suoi mezzi nei raid dell’esercito israeliano. La questione è esplosa il 12 gennaio 2024, quando i media diffusero la notizia che Papa Francesco aveva rifiutato una donazione da 1,5 milioni di europer l’Ospedale pediatrico «Bambin Gesù» di Roma, presidio sanitario privato di proprietà del Vaticano, poiché proveniente da Leonardo Spa. Dopo la presa di posizione del Pontefice, Leonardo aveva diffuso una nota in cui scriveva che “in tutti i teatri di guerra in corso, a partire dall’Ucraina e dal Medio Oriente, non c’è nessun sistema offensivo di nostra produzione”. Una ricostruzione smentita non soltanto dal tenente colonnello Steven, ma anche da «The Weapon Watch» con un dettagliato report con foto e documenti che provano esattamente il contrario. “Nella guerra di Israele contro la popolazione palestinese non solo sono presenti armi di Leonardo, ma queste sono state impiegate in azioni di bombardamento indiscriminatesu aree urbane densamente abitate”, ha messo nero su bianco l’Osservatorio specificando, che “il bombardamento su aree abitate da popolazione civile è stato effettuato con cannoni navali super rapidi Oto Melara 76/62 Multi-Feeding da 76 mm, costruiti nello stabilimento Leonardo.

Concludiamo citando Noam Chomsky: “Quando c’è un grande nemico, la gente è disposta a rinunciare ai propri diritti pur di sopravvivere. Così la corsa agli armamenti ha una precisa funzione in questo senso: crea una tensione globale e un’atmosfera di paura”.




Immagine: pubblico dominio via WikiMedia Commons – US Marine Cadillac Gage LAV and italian soldiers in a Fiat-OTO Melara 6614 APC – ph R. Oriez, 19 gennaio 1993

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