di Gianmarco Pisa
A metà tra un’iniziativa politica di parte e un’operazione internazionale di offensiva mediatica, il vertice di Bürgenstock, un vero e proprio caso di “peacewashing”, si è concluso con un totale fallimento.
Si è conclusa con un clamoroso fallimento la cosiddetta “conferenza per la pace” in Ucraina, svolta presso il resort di Bürgenstock, in Svizzera, tra il 15 e il 16 giugno scorsi, e organizzata dalla Confederazione Elvetica, raccogliendo, in questo sforzo politico, la richiesta dell’Ucraina, che aveva avanzato una proposta contenente l’indicazione di un format di discussione decisamente “singolare”: una conferenza internazionale, sulle questioni della pace e del superamento della guerra nel Paese, sostanzialmente collegata alle iniziative del mondo occidentale e dei Paesi Nato nel supporto allo sforzo bellico del governo di Kiev, e che, sin dalla sua premessa, non prevedesse la partecipazione della “controparte”, vale a dire la Federazione russa. Come indica la piattaforma di questa iniziativa politica, pubblicata sul sito del Ministero degli Esteri della Confederazione, infatti, “il summit si baserà sulle discussioni che hanno avuto luogo negli ultimi mesi, in particolare sulla “formula di pace” ucraina e su altre proposte di pace basate sulla Carta delle Nazioni Unite. L’obiettivo del summit è quello di ispirare un futuro processo di pace. Per raggiungere questo obiettivo, il summit intende a) fornire una piattaforma per il dialogo sul percorso per raggiungere una pace globale, giusta e duratura per l’Ucraina basata sul diritto internazionale e sulla Carta delle Nazioni Unite; b) promuovere una comune intesa per un possibile quadro per raggiungere questo obiettivo; c) definire congiuntamente una tabella di marcia su come coinvolgere entrambe le parti in un futuro processo di pace”. Non vi potrebbe essere piattaforma, e, di conseguenza, format più paradossale, al punto che proprio i (a dire il vero, neanche tanto) sorprendenti paradossi e incongruenze del testo mostrano, in maniera lampante, il carattere del tutto strumentale della proposta e l’inevitabile fallimento cui l’iniziativa occidentale sarebbe stata, sin dall’inizio, condannata.
In primo luogo, la base politica del panel è individuata nella cosiddetta “formula di pace” ucraina, una proposta politica che tutto è tranne che una riconoscibile “formula di pace”. Tale “formula” prevede, infatti, in estrema sintesi, dieci punti, quali la sicurezza nucleare, in particolare della centrale nucleare di Zaporozhije; la sicurezza alimentare; la sicurezza energetica e il ripristino delle strutture e delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina; la liberazione di tutti i prigionieri e il rimpatrio dei bambini ucraini “deportati” in Russia; il ripristino del confine tra Russia e Ucraina a quello precedente all’annessione della Crimea nel 2014; il completo ritiro delle forze militari russe dall’Ucraina e la completa cessazione delle ostilità; il perseguimento dei crimini di guerra legati alla campagna russa, inclusa la creazione di un tribunale penale speciale per i crimini di guerra russi; la valutazione del danno ecologico; il perseguimento dei responsabili; la ricostruzione post-bellica; garanzie militari. Una “formula” che, se per un verso astrae da qualunque contesto (come se l’universo dei rapporti e del conflitto russo-ucraino faccia data a partire dal 24 febbraio 2022), per l’altro prescinde completamente dai soggetti coinvolti nel teatro ucraino e dal diritto di autodeterminazione di tutte le popolazioni effettivamente interessate (basti ricordare almeno il referendum sull’autodeterminazione della Crimea del 2014, con il 95% di voti favorevoli e una partecipazione al voto superiore all’84%; il referendum per l’autodeterminazione della Repubblica popolare di Donetsk, con il 79% di voti favorevoli e una partecipazione al voto del 72%; e il referendum per l’autodeterminazione della Repubblica popolare di Lugansk, con l’86% di voti favorevoli e una partecipazione al voto addirittura pari all’81% della popolazione).
D’altra parte, lascia quanto meno interdetti quel riferimento, nella cosiddetta piattaforma del vertice, alla Carta delle Nazioni Unite e al principio dell’integrità territoriale sancito dall’art. 2 della Carta (in particolare con il suo comma 4, secondo il quale gli Stati membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite, che, va opportunamente ricordato, consistono essenzialmente, in base all’art. 1 comma 1, nel “Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace”). Sarebbe fin troppo facile, in questo caso, evocare il precedente della dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo (2008) e della sua separazione di fatto dalla Serbia all’indomani dell’aggressione imperialistica portata avanti dalla Nato contro la Jugoslavia (e a dispetto della vigenza della risoluzione vincolante del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1244 del 1999) o ricostruire le provocazioni e le minacce, dirette e indirette, legate alla continua espansione della Nato nell’Est Europa e, sempre più minacciosamente, a ridosso dei confini della Federazione russa, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la cessazione del Patto di Varsavia nel 1991.
Ma non c’è solo questo: difficile capire quale possa essere il senso (se non quello di una mera iniziativa politica internazionale, patrocinata dalle potenze occidentali, a sostegno dello sforzo bellico, e quindi, neanche troppo velatamente, della prosecuzione della guerra in Ucraina) di un format “diplomatico” nel quale, per un verso, la principale controparte non è nemmeno invitata, e, per l’altro, non si presta attenzione alcuna alle proposte diplomatiche di soluzione del conflitto pure espresse in via ufficiale e formulate in contesto diplomatico. Proprio nei giorni immediatamente precedenti il vertice, il 14 giugno, una proposta diplomatica è stata ribadita dalla Federazione russa, la cui “posizione di principio è la seguente: uno status neutrale, non allineato, non nucleare dell’Ucraina; la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina (parametri peraltro già concordati in via generale durante i colloqui di Istanbul del 2022, poi di fatto sabotati dall’intervento delle potenze occidentali); nonché il riconoscimento dei diritti e delle libertà dei cittadini di lingua russa in Ucraina, il riconoscimento delle nuove realtà territoriali e lo status della Crimea, di Sebastopoli, delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk, delle regioni di Kherson e Zaporozhije, di modo che tutte queste disposizioni di base e di principio siano registrate in futuro in termini di accordi internazionali”. Una proposta che tiene insieme sia quanto già concordato in occasione dei colloqui di Istanbul del 2022 sia i punti ulteriori che rappresentano la posizione negoziale della Russia nel conflitto in corso, che peraltro non potrebbe considerarsi completa senza svolgere anche il punto di una nuova “architettura di sicurezza” comune e indivisibile in Europa, tanto più urgente e attuale di fronte alla crescente minaccia nucleare. Solo in Europa, tra Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Turchia, si stima infatti siano presenti circa cento testate nucleari della Nato.
Al di là del format e delle sue incongruenze, gli obiettivi del vertice di Bürgenstock sono stati in qualche modo ridimensionati persino nelle premesse, se è vero che nel sito del Ministero degli Esteri del Paese organizzatore compare anche una sezione di chiarificazioni, in un punto assai illuminante della quale si legge che “questo primo vertice sulla pace in Ucraina non deve essere inteso come un forum negoziale, ma come una conferenza di alto livello che serve a creare una base, sostenuta congiuntamente, per negoziati futuri. Il percorso verso un processo di pace è lungo e difficile e il successo non è garantito. Il Consiglio federale è consapevole che il raggiungimento di una soluzione duratura richiederà in ultima analisi il coinvolgimento di entrambe le parti. Il vertice potrebbe almeno segnare l’inizio di questo processo”. Sono invece chiari e definiti gli obiettivi e le mire economiche e finanziarie dell’imperialismo nel contesto della guerra in Ucraina: alla conferenza sulla ricostruzione, conclusa a Berlino lo scorso 12 giugno, erano presenti oltre 70 Paesi e oltre 500 aziende per spartirsi la torta di una ricostruzione che può mobilitare un volume di affari stimato in almeno 411 miliardi.
Nato dunque sotto questi cattivi auspici, a metà tra un’iniziativa politica di supporto di parte e un’operazione internazionale di offensiva mediatica, il vertice si è concluso con un totale fallimento: a fronte di un invito a partecipare rivolto a ben 160 delegazioni di tutto il mondo, il forum ha visto l’effettiva partecipazione di 90 Paesi (di cui due come “osservatori”, il Brasile e la Santa Sede), mentre tra tutte le organizzazioni internazionali invitate alla fine hanno partecipato solo Consiglio d’Europa, Commissione europea, Parlamento europeo, Consiglio europeo, l’Osce, l’Osa (l’Organizzazione degli Stati Americani) e le Nazioni Unite, anche in questo caso, solo in veste di “osservatori”. Di tutti questi, solo 78 Paesi hanno poi firmato il documento finale: Brasile, India e Sudafrica (la Russia non era stata invitata e la Repubblica popolare cinese non ha ovviamente partecipato), ma anche Messico, Armenia, Bahrein, Indonesia, Arabia Saudita, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti, e altri ancora, non hanno sottoscritto il documento finale, sancendone così a tutti gli effetti il fallimento. I Brics, i protagonisti dell’emergente mondo multipolare, Paesi e popoli del vasto Sud globale, che ben conoscono le violenze e le brutalità dell’imperialismo e del colonialismo, non seguono le pretese e i diktat delle potenze occidentali.
In quel documento, peraltro, si indicano solo tre punti, anche in questo caso non senza elementi paradossali. Il primo, “qualsiasi utilizzo dell’energia nucleare e degli impianti nucleari deve essere sicuro, protetto, e rispettoso dell’ambiente. Le centrali e gli impianti nucleari ucraini, tra cui la centrale nucleare di Zaporozhije, devono funzionare in modo sicuro e protetto sotto il pieno controllo sovrano dell’Ucraina”. Specifica, poi, lo stesso punto, che “qualsiasi minaccia o uso di armi nucleari nel contesto della guerra in corso è inammissibile”, appena quattro giorni dopo la dichiarazione ufficiale del Segretario generale della Nato che dichiarava le armi nucleari “garanzia di sicurezza definitiva” della Nato e “mezzo per preservare la pace” e confermava “l’adattamento in corso” dell’arsenale nucleare Nato nonché il fatto che gli Stati Uniti stanno “modernizzando” le loro armi nucleari in Europa (a proposito dunque di minaccia nucleare in riferimento al contesto europeo e allo scenario ucraino). Seguono poi gli altri due punti, “la navigazione commerciale libera, completa e sicura, così come l’accesso ai porti nel Mar Nero e nel Mar d’Azov, sono fondamentali. Gli attacchi alle navi mercantili nei porti e lungo l’intera rotta, così come contro i porti civili e le infrastrutture civili, sono inaccettabili”, scritto poche settimane dopo gli attacchi ucraini contro la centrale elettrica di Sebastopoli, in Crimea, dello scorso 17 maggio. Infine, “tutti i prigionieri di guerra devono essere rilasciati tramite scambio completo. Tutti i bambini ucraini sfollati illegalmente, e gli altri civili ucraini che sono stati detenuti illegalmente, devono essere rimpatriati in Ucraina”.
Come è stato scritto, il vertice ha rappresentato un tentativo di “peacewashing” e il suo esito si è rivelato del tutto fallimentare. Come richiamava viceversa la piattaforma cinese del 24 febbraio 2023, riprendere i colloqui di pace, abbandonare la mentalità da guerra fredda e respingere i “due pesi, due misure” (la logica occidentale del double standard) sono il punto di partenza inevitabile per una effettiva prospettiva negoziale e di pace. Su questi temi, tutte le forze democratiche e di progresso, e in primo luogo i comunisti e le comuniste, non faranno mancare il loro impegno unitario, nel rafforzare ed estendere il movimento di lotta per la pace e contro le guerre dell’imperialismo, nel promuovere e rilanciare iniziativa e dibattito, informazione e sensibilizzazione.
Riferimenti:
Dario Lucisano, Si è conclusa (in niente) la “conferenza sulla pace in Ucraina” voluta da Zelensky, L’Indipendente, 16 giugno 2024: https://www.lindipendente.online/2024/06/16/si-e-conclusa-in-niente-la-conferenza-sulla-pace-in-ucraina-voluta-da-zelensky
Sabine Siebold, NATO chief says the alliance is adapting its nuclear arsenal to security threats, Reuters, 12 giugno 2024: https://www.reuters.com/world/europe/nato-chief-says-alliance-is-adapting-its-nuclear-arsenal-security-threats-2024-06-12
Euronews, Massive Ukrainian drone attack on Crimea causes power outages in Sevastopol, 17 maggio 2024: https://www.euronews.com/2024/05/17/massive-ukrainian-drone-attack-on-crimea-causes-power-outages-in-sevastopol
Tass, Russia makes another real peace proposal to Kiev – Putin, 14 giugno 2024: https://tass.com/politics/1803657
Summit on Peace in Ukraine, Federal Department of Foreign Affairs FDFA, 16 giugno 2024: www.eda.admin.ch/eda/en/home/das_eda/aktuell/dossiers/konferenz-zum-frieden-ukraine.html
Summit on Peace in Ukraine: Joint Communiqué on a Peace Framework, Bürgenstock, Switzerland, 16 giugno 2024: www.eda.admin.ch/eda/en/home/das_eda/aktuell/dossiers/konferenz-zum-frieden-ukraine/Summit-on-Peace-in-ukraine-joint-communique-on-a-peace-framework.html
China’s Position on the Political Settlement of the Ukraine Crisis, Ministry of Foreign Affairs, the People’s Republic of China, 24 febbraio 2023:
https://www.mfa.gov.cn/eng/zxxx_662805/202302/t20230224_11030713.html
Immagine: Unknown, Palace Hotel in Bürgenstock, https://www.helveticarchives.ch/detail.aspx?id=1316218, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=144639693
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