di Gianfranco Cordì
Dalla catena del potere, dalle multinazionali ai caporali, la riduzione di un uomo a pura merce, a solo corpo, amputato, per il profitto.
Satnam Singh veniva dall’India. Ha attraversato il Mediterraneo; è sbarcato a Napoli: è finito nell’Agro Pontino. Precisamente tra due frazioni di Latina: Borgo Santa Maria e Borgo Montello. A fare che? A raccogliere cocomeri; ma l’azienda per la quale lavorava non si occupava solo di cocomeri; nella serra dell’ingresso c’erano piante, rosmarini e spezie; l’azienda aveva a che fare anche con zucche e zucchine. Zucche e zucchine, appunto. E cocomeri. Bisognava preparare la serra per la coltivazione dei meloni. Satnam è rimasto incastrato. C’erano un macchinario avvolgi-plastica e un trattore. Il trattore tira e la plastica bisogna pure avvolgerla. Satnam rimane incastrato nel macchinario utilizzato per avvolgere la plastica; Satnam ha perso un braccio! Il nostro bracciante, nell’Agro Pontino, amputato, con una copiosa perdita di sangue, con la frattura delle due gambe; con la moglie Sony che continua a urlare non ha pensato in quel momento agli scafisti che l’hanno condotto qui in Italia e nemmeno al lavoro in nero, al lavoro povero, al lavoro senza tutele, alla mancata sua registrazione che avrebbe costituito il primo passo per ottenere la cittadinanza: ha pensato, come tutti quelli cui capita un simile incidente, a tenere a bada il dolore e a salvarsi la vita. Come salvarsi la vita? Satnam aveva 31 anni; un corpo massacrato e abbandonato. Abbandonato di fronte al cancello della sua abitazione e con il braccio messo in una cassetta della frutta. Abbandonato! Non in un ospedale, non come un uomo con la cittadinanza, non come un essere umano: come un corpo – esattamente come un corpo (con gli organi e gli arti) – per il quale la vita non è “bios” (vita sociale, politica, culturale, sovrastrutturale, vita civile) ma “zoe”, come dice Giorgio Agamben, la “nuda vita”! Il corpo, gli organi, gli arti, le parti del corpo, gli intestini. I caporali e le regole del mercato decidono i “destini personali” (la definizione è di Remo Bodei); i diritti li decidono le grandi multinazionali; gli abusi; il lavoro senza tutele: tutto questo non è passato nemmeno per un attimo nella mente di Satnam Singh. Il bracciante indiano voleva salvarsi la vita. O almeno quella “povera cosa” che non è più la “vita con una cittadinanza” (e dei diritti) ma la “nuda vita”: lo stesso stare al mondo, l’esserci (“l’essere gettato”, diceva Martin Heidegger, quasi suo malgrado e dentro questo mondo); la vita che è solamente “elan vital”, energia che si dispiega fin tanto e fin quanto si può dispiegare. Una vita “con le tendine” (parafrasando Nanni Moretti quando pensava alla città di Amsterdam come una “città senza tendine”, cioè una città nella quale si è liberi e uguali perché esistono leggi e norme e articoli di legge che garantiscono che così sia). Questa “vita con le tendine” per Satnam invece è finita due giorni dopo all’Ospedale San Camillo dove era stato, alla fine, portato con l’elisoccorso. Ma Satnam Singh non pensava a nulla di tutto questo: nella “nuda vita” il dolore è lancinante! Il “corpo con gli organi” (il contrario del “corpo senza organi” di Gilles Deleuze e Felix Guattari) reclamava i suoi diritti. I diritti, le tutele, appunto. Satnam Singh non pensava a tutto questo; la carne gridava e il sangue usciva. Eppure da qualche parte ci dovevano essere pure dei diritti, o almeno: qualcuno che ci pensasse. Che ci pensasse per Satnam. La “nuda vita” è “uccidibile e insacrificabile” dice ancora Giorgio Agamben in Homo Sacer. Non è “sacrificabile” e non c’è “sacrificio” la dove si è fuori dal recinto della “polis”. Fuori dal recinto della civiltà, della politica, dell’umanità e della cultura c’è solo un corpo. E un braccio in una cassetta della frutta.
Immagine: J. M. W. Turner, Public domain, via Wikimedia Commons
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