Meglio un pugno o uno schiaffo?

di Alessandro Testa *

La degenerazione della “sinistra” e l’assenza di una forza politica che rappresenti la classe degli sfruttati emergono nella loro drammaticità dallo scenario pre-elettorale in Francia.

Stiamo ormai per sapere – trepidanti ed emozionati come remigini al primo giorno di scuola – se i francesi, i nostri amati-odiati cugini d’oltralpe, si accingono a ricevere dal responso delle urne un pugno o uno schiaffo in pieno volto.

Già, perché tra le due forze in campo (la raccogliticcia armata brancaleone della cosiddetta “sinistra radicale” e i fascisti – ma guai a chiamarli così, il fascismo, lo sanno tutti, “non c’è più” – dell’ineffabile Marine Le Pen) risulta davvero difficile capire quale sia la peggiore.

Se da una parte potrebbe essere naturale pensare che nulla possa essere peggio del verminaio razzista, xenofobo, autoritario e nazionalista del Rassemblement National, se guardiamo attentamente nell’altro campo vediamo una stolida fiera dell’eclettismo nella quale i pur pochi traits d’union sono rappresentati da un atlantismo forse tiepido ma mai denunciato e conseguentemente rifiutato e un approccio a diritti sociali e civili tanto scarlatto e parolaio quanto sostanzialmente inattuabile.

Lasciando per ultima una riflessione sulla tanto sbandierata “fine del macronismo”, cerchiamo dunque di capire quali siano gli assi portanti strategici delle due formazioni, cominciando appunto dall’astro emergente della scena politica non solo francese ma addirittura europea; il Rn di Marine Le Pen, il babau terribile la cui affermazione alle ultime europee ha spinto il bell’Emanuel all’azzardo dello scioglimento delle camere e dunque alle elezioni anticipate.

Seppure superficialmente ingentilito e civilizzato rispetto ai tempi ruggenti del padre di Marine, il fascistissimo Jean-Marie, il Rn continua a giocare le sue carte sulle tematiche care ai destri di ogni epoca: il securitarismo, la paura dello straniero, del “negro”, del portatore di una cultura “diversa” rispetto a quella nazionale, sempre definita come migliore e superiore, nonché, appunto, un nazionalismo spinto e aggressivo, che santifica irrazionalmente una serie di valori culturali e politici mitizzati che odorano lontano un miglio di Blut und Boden1.

Il negro, il magrebino, l’immigrato sono sentiti come non integrabili, inferiori, nemici e causa di ogni male che la Francia sta subendo in questa fase; la mancata integrazione e, per conseguenza, l’invivibilità delle banlieues2 e l’aggressività della racaille3 dei giovani “beurres”4 – talmente a fondo si spinge l’odio viscerale dei fascisti per chi non è francese di sangue a disumanizzare l’immigrato attraverso il derisorio impiego del più bieco verlan5– non è dovuta, secondo la Le Pen e il suo giovane delfino Bardella (ironia della sorte mezzo rital6 e di ascendenze algerine) ai problemi strutturali posti dalle sempre più gravi e ravvicinate crisi tipiche del modo di produzione capitalistico, ma solo all’inferiorità antropologica – rectius razziale – delle “mezze scimmie” nordafricane e africane.

In un curioso quanto indicativo ribaltamento tra causa ed effetto, il malessere sociale che indubitabilmente assedia le grandi città francesi – e sempre di più anche quelle medio-piccole – è percepito come causato dalla mancata integrazione sociale degli immigrati, che è invece mero effetto dell’insostenibilità di un tessuto economico-sociale ormai alla frutta a causa della globalizzazione finanziaria, dell’accentramento del capitale in enormi conglomerati cosmopoliti e dal riaccendersi di un imperialismo militare col quale gli Usa, vero punto nodale della catastrofe che il mondo rischia di dover affrontare, soffiano sul fuoco di guerre, colpi di Stato, primavere arabe e altre delikatessen assortite.

Quindi la ricetta dei fascisti – pardon della destra patriottica francese – ripercorre le solite vie mille volte battute: più polizia, dotata di maggiori poteri e contemporaneamente sottoposta a sempre minore scrutinio, meno diritti chi osasse mettersi di traverso, draconiane misure non solo per il contrasto all’immigrazione, clandestina o meno (tema che a nostro avviso prima o poi anche la sinistra di classe dovrebbe affrontare, beninteso su basi marxiste e con strumenti d’analisi marxisti) ma addirittura per chi non sia “francese di sangue” e si trovi per qualunque ragione nei guai: detenzione amministrativa, revoca della cittadinanza, deportazione e altre simpatiche misure repressive. Ovviamente scordiamoci il ricongiungimento familiare, lo jus soli e l’accesso alla tanto decantata sécurité sociale française (primi i francesi, ovviamente). Ma ancor più grave il fatto che milioni di francesi (quelli con la doppia nazionalità) perderebbero il diritto di esercitare alcune professioni (se non addirittura di poter lavorare) all’interno della pubblica amministrazione: non sentite una certa arietta di déjà vu?

Lo scioglimento delle organizzazioni “che usano la violenza” completa l’ipocrita piano securitario dei lepeniani, costituendosi come agilissimo grimaldello per ridurre al silenzio qualsiasi forma di dissenso o disobbedienza.

Delle misure da “destra sociale”, un tempo cavallo di battaglia di Rn, resta invece ben poco: riduzione dell’Iva su alcuni prodotti, detassazione della produzione, riduzione dei contributi “per aumentare i salari” e dazi doganali a più non posso. Insomma un programma macronista sotto mentite spoglie, tutto teso a favorire il padronato: niente più taglio dell’Iva sui generi alimentari o di prima necessità e niente abrogazione dell’aumento dell’età pensionabile, e ovviamente nessuna misura seria, concreta e fattibile a supporto del potere d’acquisto dei salari – l’idea di reintrodurre la scala mobile sembra essere solo una velleitaria promessa elettorale di ben difficile realizzazione.

Proseguiamo: un arretramento sostanziale sulle misure volte alla tutela dell’ambiente, come una rinnovata spinta al nucleare, lo stop alle misure di edilizia ecologica, il progetto “mangia francese” anche qui a base di dazi imposti ai prodotti esteri che non rispettino gli standard imposti ai coltivatori francesi; politiche securitarie e autoritarie nella scuola – ricostruire l’autorità del corpo docente, niente telefonini e strutture speciali per gli allievi “problematici” ma nessun impegno concreto a finanziare scuola, università e ricerca.

Concludendo, in politica estera assistiamo a una – non si sa quanto sincera – svolta a 180 gradi: Putin diventa “un pericolo” e l’Ucraina dev’essere supportata, anche se non con l’invio di soldati sul campo; sul teatro mediorientale ovviamente supporto totale a Israele e colpevolizzazione assoluta dei palestinesi e di Hamas, senza tentare neppure un briciolo di analisi storica e politica.

Passiamo all’altro campo. Già il nome, Noveau Front Populaire, fa intendere la sostanziale ecletticità di questa formazione elettoralistica in funzione di “cordone sanitario” anti-Le Pen: formato da La France Insoumise di Mélenchon, il vetusto e ormai in disarmo Parti Socialiste, Les Écologistes, il Parti Communiste che tante responsabilità ebbe nella costruzione dell’eurocomunismo, passaggio nodale del processo di disgregazione del movimento comunista in Europa, e altri microscopici membri dalle più variegate sfumature di sinistra di classe, ecologista e radicale, questo cartello (perché solo di cartello elettorale si può parlare) sembra vivere solo dalla paura folle di ritrovarsi i fascisti al governo, quindi, come diceva Montanelli, turiamoci il naso e à la guerre comme à la guerre.

Ma è scorrendo il programma che ci si rende conto del pout pourri di concezioni ideologiche le più disparate: una carrellata di misure a sostegno di diritti civili e sociali, di per sé certamente non biasimevoli, ma tenute insieme non da una visione teorico-politica salda e omogenea ma solo, come già accennato, dal terrore dell’avanzata delle destre.

E così troviamo un programma in tre fasi (rottura, biforcazione e trasformazione) che presenta misure come la pensione a 60 anni, la riforma costituzionale, la riforma della polizia, dell’agricoltura, dell’accoglienza, la lotta alla violenza di genere, l’aumento dei salari, la scala mobile, investimenti in scuola e sanità; un vaste programme, direbbe sicuramente il generale De Gaulle se fosse ancora vivo, un programma lodevole ma assolutamente carente delle basi materiali su cui appoggiarsi.

In una situazione economica sempre più in crisi, e con l’occhiuto gendarme europeo pronto a castigare ogni sforamento della spesa, dove trovare le risorse necessarie? Non basterebbero di certo le generiche e velleitarie proposte di tassazione dei miliardari (che provocherebbero unicamente una precipitosa fuga di capitali e investimenti), ma sarebbe indispensabile rivedere alla radice le politiche economiche, fiscali e monetarie dell’esagono, e questo imporrebbe un ripensamento strategico sull’adesione all’Ue e sulle spese militari necessarie per continuare a far parte della Nato, e questo rimane a nostro avviso pura fantascienza per un’accozzaglia di forze eterogenee che vanno dalla socialdemocrazia al radicalismo passando per frange trotzkiste e movimentiste. Non basta di certo un vago e parolaio impegno a “non rispettare i trattati europei” qualora “mettano a rischio i servizi pubblici”, occorrerebbe piuttosto una riflessione approfondita su di un piano di uscita dall’Ue, ormai patentemente irriformabile dall’interno e sempre più dittatura tecnocratica del capitale finanziario transnazionale.

A proposito di politica estera, anche a sinistra non si sente un purché minimo bisbiglio che provi a mettere in dubbio il sostegno all’Ucraina, non si sente una vera critica all’imperialismo yankee di cui la Nato è il braccio armato sullo scacchiere europeo: avanti con l’invio di armi a Kiev, avanti con le sanzioni contro l’orco russo, avanti con la sudditanza all’imperialismo e al militarismo statunitense.

In questo quadro desolante, spicca per la sua infamia e viltà l’appello di Macron alla “desistenza”, ovvero la richiesta ai candidati di sinistra che si trovassero terzi dopo il primo turno – e quindi che potrebbero lottare comunque per un collegio contendibile – di ritirarsi per lasciare spazio ai candidati macronisti, fino a ieri immagine del diavolo e oggi amici fidati cui consegnare senza batter ciglio il proprio elettorato. Per battere i fascisti, ça va sans dire!

Quale viltà, quale resa senza condizioni al dogma del pensiero unico liberale e al suo padrone, il liberismo turbocapitalista…

Non vogliamo concludere parlando dei tecnicismi della complicatissima legge elettorale francese, e neppure scandagliare le recondite intenzioni di Macron o i piani ondivaghi dei pochi gollisti rimasti: questo ce lo chiarirà il responso delle urne.

Una sola cosa dobbiamo rimarcare con tutta la forza che abbiamo, ovvero che anche davanti al rigurgito terribile e preoccupante delle destre estreme, che sembra prefigurare un ritorno – seppur ammodernato – di quelle ideologie che tanto danno arrecarono all’Europa del secolo scorso, le sinistre europee non sappiano far altro che cedere alle sirene del liberalismo, facendosi serve sciocche del capitale invece che tornare a essere ciò che furono e ciò che dovranno essere, ovvero il partito guida di una classe dei lavoratori consapevole di sé, dei suoi nemici e dei suoi interessi.

Note:

1 “Terra e suolo”, il sempiterno mantra nazifascista.

2 Periferie urbane ormai note soprattutto per le tensioni sociali che si sviluppano tra il proletariato e sottoproletariato francese e i gruppi di immigrati, soprattutto d’origine nordafricana.

3 Teppaglia giovanile

4 “Arabi” in verlan (vedi sotto)

5 Argot francese che si costruisce invertendo foneticamente le sillabe di una parola (“arab-beur”, “femme-meuf”, “l’envers-verlan” etc.).

6 Nomignolo dispregiativo per gli italiani.

* direttore del sito del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”

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