A cura della Segreteria del Movimento per la Rinascita Comunista
L’analisi del Movimento per la Rinascita Comunista sul risultato delle elezioni in Francia e la riflessione in ordine ai compiti dei comunisti nell’attuale congiuntura politica europea.
Il secondo turno elettorale in Francia ha prodotto esiti inaspettati e, dopo il successo del partito di Marine Le Pen al primo turno, i ballottaggi hanno decretato la vittoria del “Nouveau Front Populaire” (Nfp, 182 seggi), la ripresa del partito di Macron (Ensemble!, 168 seggi) e l’arretramento dal primo al terzo posto del partito di Le Pen (Rassemblement National, 143 seggi). Il Movimento per la Rinascita Comunista saluta con favore la vittoria del Nouveau Front Populaire e in particolare, al suo interno, il risultato del Partito Comunista Francese, riconoscendo nel contributo dei comunisti e delle comuniste francesi un fattore essenziale non solo nella vittoria del Nfp ma anche nell’avere sbarrato la strada al Rassemblement National. In generale, la vittoria del Nfp impedisce la scalata al governo del partito di Marine Le Pen, forza politica che, com’è noto, rilancia i disvalori più oscuri della tradizione fascista e di destra francese – razzismo, negazione dei diritti sociali e civili, vocazione alla negazione della democrazia, totale alterità rispetto all’arco costituzionale e contrarietà allo spirito laico della République – e ciò è di per sé un positivo segnale per le forze comuniste e antifasciste dell’Ue.
Il dato delle elezioni politiche francesi va letto nel contesto dell’attuale congiuntura politica europea, ben evidenziata, del resto, dai risultati delle recenti elezioni europee, svolte nei diversi Paesi membri a cavallo tra il 6 e il 9 giugno. Il “vento di destra” che spira in buona parte dei Paesi europei è oggi frutto sia di una tendenza di lungo periodo che registra l’egemonia delle destre negli orientamenti politico-programmatici a livello nazionale e continentale, sia della debolezza e dell’inadeguatezza, anche queste tendenze di lungo periodo, delle formazioni collocate “a sinistra”, da un lato le socialdemocrazie, sempre più di orientamento neoliberale e sempre meno distinguibili, sulle grandi questioni, soprattutto di ordine strutturale, dalle forze moderate e conservatrici, dall’altro le forze progressiste, sempre meno solide e sempre meno incisive, anch’esse, sulle questioni di importanza globale.
Così, nella recente tornata europea, in Francia, il Rassemblement National prende il doppio dei voti della lista del presidente Emmanuel Macron (31% contro 14%); in Germania, dopo i conservatori della Cdu-Csu (30%) e addirittura prima dei socialdemocratici della Spd (14%, il minimo storico), si afferma come seconda forza del panorama nazionale la Afd (Alternative für Deutschland) con il 16%; in Belgio, il Vlaams Belang, di estrema destra, è il primo partito (con oltre il 14%); nei Paesi Bassi, il Partito della Libertà (Partij voor de Vrijheid, di estrema destra) supera il 17% dei consensi; in Austria, l’Foö è il primo partito con il 25%. L’impatto di tali risultati è tale che si prevede la costituzione, nel prossimo Parlamento europeo, di ben tre gruppi di estrema destra: i cosiddetti “Patrioti per l’Europa” (84 seggi), terzo gruppo europarlamentare, con Orbán, la Le Pen e i fascisti portoghesi di Chega; i Conservatori dell’ECR, cui appartiene Fratelli d’Italia; e il gruppo di “Europa per le nazioni sovrane”, promosso da Alternative für Deutschland e dai fascisti polacchi di Konfederacja.
Tuttavia, è interessante sottolineare il dato per cui non tutte le forze di sinistra, e non ovunque, registrano risultati deludenti. In Germania, la Bündnis Sahra Wagenknecht – Vernunft und Gerechtigkeit (l’Alleanza Sahra Wagenknecht – Ragione e Giustizia, Bsw) supera, all’esordio, il 6%; in Danimarca, il primo partito è il Partito Popolare Socialista (Socialistisk Folkeparti, Sf), con oltre il 17%; il Partito del Lavoro del Belgio supera il 5%; Možemo!, in Croazia, si attesta al 6%. Fondamentali poi i risultati, in Portogallo, in un quadro politico più che difficile, del Partito Comunista Portoghese (Pcp), col 4%; in Repubblica Ceca, dell’alleanza promossa dal Partito Comunista di Boemia e Moravia (Ksčm) che supera il 9% dei consensi; in Francia, ancora della France Insoumise, col 10%. Lo stesso Kke, in Grecia, è oltre il 9%.
Si tratta di formazioni che si collocano tutte, pur con diversi orientamenti, a sinistra delle socialdemocrazie, che devono i propri risultati alla riconoscibilità politica e al radicamento nel conflitto sociale e di classe, e puntano a intercettare, con una proposta politica innovativa, tanto il voto delle forze del lavoro, del movimento operaio generale, del “moderno proletariato”, quanto il voto dei giovani, di studenti e studentesse, delle più rilevanti e avanzate forze di movimenti di conflitto. Si tratta di indicazioni di grande importanza, su cui riflettere.
Tornando così alle elezioni parlamentari in Francia, il primo dato che emerge è, dunque, di carattere elettorale: se, da un lato, la tattica della desistenza elettorale, praticata per contrastare le possibilità di vittoria dell’estrema destra della Le Pen, ha permesso al Nfp di conseguire un’importante vittoria al secondo turno e conquistare 182 seggi, la stessa desistenza ha tuttavia rafforzato e riportato al centro della scena politica francese il partito Ensemble! di Macron che, sconfitto al primo turno, porta invece in Assemblea Nazionale, dopo il ballottaggio, 168 seggi. Va, sotto questo profilo, evidenziata e valorizzata la volontà democratica e antifascista della maggioranza degli elettori lavoratori e pensionati francesi (tra cui i comunisti e le comuniste) che non solo hanno dimostrato un’alta capacità di mobilitazione, anche attraverso la Cgt, in difesa dei propri diritti, in questi ultimi anni di lotte e di conflitti sociali, ma hanno anche espresso un’alta partecipazione attiva del 67%, che ha sbarrato la strada ai fascisti della Le Pen.
Il secondo dato che emerge è invece più specificamente di carattere politico, e riguarda la qualità della proposta politico-programmatica delle forze in campo. Se il Rassemblement National di Marine Le Pen porta in sé i disvalori più oscuri della tradizione fascista, reazionaria e di destra francese, e se la coalizione Ensemble! di Emmanuel Macron rappresenta il volto della destra neoliberale e neoliberista, responsabile dello smantellamento dello stato sociale e della cultura tecnocratica e padronale propria delle élite confindustriali e finanziarie, il Nfp, al contrario, intende costituire una proposta democratica e progressista, indubbiamente “di rottura” rispetto al “macronismo”, tuttavia non priva di contraddizioni in merito alla portata della sua linea e alla qualità della sua proposta programmatica.
Sotto il versante delle politiche economiche e sociali – salario minimo a 1.600 euro, abolizione della legge Macron sulle pensioni e una significativa tassazione delle ricchezze per investire nei servizi sociali – il Nfp promette di riaprire spiragli di trasformazione sociale, in una direzione contraria rispetto ai guasti del neoliberismo. Tuttavia, è altrettanto vero che, sotto il versante delle politiche internazionali, il Nfp ha una linea che non si discosta da quella dei circuiti dell’imperialismo europeo e atlantico, proponendosi di proseguire l’invio di armi al regime di Kiev, la cancellazione del suo debito estero, e di portare il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, a rispondere davanti alla giustizia internazionale.
D’altra parte, le posizioni assunte dal programma del Nfp a favore dell’Ucraina, nei termini in cui sono espresse, nonché degli Usa, dell’Ue e della Nato, sono del tutto estranee al sentire dei popoli e alla sinistra di classe e soprattutto al movimento comunista (leninista) non solo europeo, ma anche mondiale, oggi. Tali posizioni, oggettivamente filoimperialiste, sul sostegno militare e finanziario all’Ucraina, sono una delle condizioni imposte all’alleanza dalle sue componenti più moderate, i socialisti e i verdi, e rappresentano un’evidente contraddizione che soprattutto i comunisti francesi, nell’ambito della loro autonomia strategica, culturale e politica, si troveranno a dover affrontare e risolvere per poter fare passi in avanti. Tale contraddizione resta dirimente, dal momento che la sussistenza di tali ambiguità e di tali contraddizioni condannerebbe con ogni probabilità lo stesso Nfp a un complessivo fallimento, deludendo speranze, aspettative ed entusiasmi, e trascinando con sé la sinistra di classe.
Chiaramente, non si può negare il carattere “repubblicano” della vittoria del Nfp: sarebbe dunque un errore politico non riconoscere l’aspettativa, la curiosità, l’entusiasmo che si è manifestato nel voto, che ha visto una grande partecipazione che non si verificava da tempo, che ha consentito di sbarrare la strada alla destra più becera e che il Nfp ha saputo raccogliere e intercettare. Si tratta di un entusiasmo che può costituire la base per un’ulteriore avanzata e per un’ulteriore caratterizzazione, in senso anticapitalista e anti-imperialista, della proposta del Nfp, ma che non può essere brandito strumentalmente come invece si sta già cercando di fare in Italia, come indicano le dichiarazioni e le prese di posizione che in queste ore sembrano agitare, qui da noi, sia quel fronte “liberal-democratico” che va dal Pd a «la Repubblica» (che titola: “Rivoluzione francese”), sia la “sinistra di governo” dei vari Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, i quali già lanciano l’idea di “fare come in Francia”, riciclando il “campo largo” in un Nuovo Fronte Popolare italiano.
Non esistono le condizioni, né sotto il profilo sociale, né sul piano politico, per una riedizione “all’italiana” dell’esperienza francese. Sul piano sociale, la piattaforma unitaria che è alla base del Nfp è maturata infatti in un lungo ciclo di mobilitazioni sociali e di conflitto sociale, in diversi punti di vera e propria lotta di classe, che si è espressa per mesi, in Francia, nelle strade e nelle piazze, contro i tagli allo stato sociale e la controriforma delle pensioni. È questo un fattore oggettivo sul quale è assai importante, in particolare per i comunisti e le comuniste in Italia, porre attenzione: tale mobilitazione ha rappresentato un vero e proprio ciclo di lotte, della durata complessiva di un anno, e che per ben sei mesi, nella sua parte più incisiva (gennaio-giugno 2023), ha portato sistematicamente in piazza tra 1 e 3.5 milioni di persone, mobilitando, dunque, milioni di cittadini e di lavoratori, a partire da una piattaforma condivisa tra tutti i sindacati (in primis la Cgt). Una mobilitazione di conflitto e di lotta di classe che ha dunque avuto un impatto di non secondaria importanza anche sui rapporti di forza a sinistra.
Sul piano politico, poi, completamente diversa è la calibratura dei rapporti di forza: se in Francia la forza trainante del Nfp è la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon (71 seggi in Assemblea Nazionale) e i socialisti, reduci da sconfitte e divisioni, sono molto ridimensionati rispetto al passato (58 seggi), mentre i comunisti del Pcf conservano una piccola rappresentanza (9 seggi), in Italia il Pd resta il centro del cosiddetto centrosinistra, ne è la forza maggiore e ne condiziona strategicamente gli orientamenti in senso neoliberale e neoliberista, essendo sostanzialmente un pilastro del sistema. Basti pensare che, tra le altre, anche l’ultima, più consistente, controriforma del sistema pensionistico in Italia (la c.d. “riforma” Fornero, dicembre 2011), ha avuto il pieno sostegno dei gruppi parlamentari del Pd, all’epoca del Governo Monti, responsabile, tra l’altro, anche della modifica costituzionale volta ad imporre in Costituzione il “pareggio di bilancio”, anch’esso votato dal Pd. Senza dimenticare la riforma reazionaria dello Statuto dei lavoratori, il famigerato “Jobs Act”, che ha attaccato le conquiste fondamentali dei lavoratori e di cui è stato artefice il Pd guidato da Matteo Renzi.
Così, l’alternativa di classe, popolare e di sinistra non potrà prendere corpo, in Francia, attraverso la tecnica della desistenza, che pure ha portato alla vittoria elettorale, ma potrà farlo solo attraverso un rinnovato e conseguente ciclo di lotte, e di lotta di classe, che sappia guardare, al tempo stesso, al “fronte interno” e al “fronte esterno” della resistenza e della lotta dei comunisti e delle comuniste, da un lato per la difesa della democrazia, dello stato sociale e dei diritti sociali, dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, dall’altro per la pace, contro l’imperialismo e le sue guerre, contro la Ue, contro la Nato e le sue avventure.
Salutiamo, dunque, la vittoria elettorale del Nfp e auspichiamo il mantenimento dell’unità di questa aggregazione su una base politica avanzata e senza cedimenti moderati, di fronte ai tentativi, già diffusamente in atto, di dividerla, persino attraverso un rinnovato appello alla conventio ad excludendum (Ensemble! intende proporre “una coalizione progettuale dai socialdemocratici alla destra di governo”). Alla lettera aperta di Macron, che scrive addirittura che “nessuno ha vinto” le elezioni politiche e sollecita la costruzione di una maggioranza parlamentare volta ad escludere la sinistra di classe, bene ha risposto la controlettera aperta di Jean-Luc Mélenchon nella quale ricorda che “il Nuovo Fronte Popolare è lo schieramento che ha avuto più voti e a questo schieramento spetta di formare il prossimo governo”.
In tal senso, il MpRC auspica che non si rompa l’unità politica all’interno del Nfp e allo stesso tempo che non vi siano attrazioni verso un governo di “unità nazionale” da costituire assieme a Macron e alle forze centriste nell’intento di evitare nuove elezioni e il ritorno ad una nuova vittoria della Le Pen: questa eventuale deriva acquisirebbe un carattere politicista e spegnerebbe quell’entusiasmo popolare che ha portato alla vittoria del Nfp. Il MpRC auspica altresì che, insieme alle innovazioni sociali positivamente proposte dal Nfp, si sviluppi, si rafforzi e si consolidi all’interno del Fronte anche una linea diversa, più avanzata e più incisiva, in politica estera, per impedire che la Francia persegua ancora la strada della governance Ue, subordinata agli Usa e alla Nato e volta a colpire la Russia e l’intero mondo multipolare.
A maggior ragione, dunque, contro i tentativi di colpi di forza istituzionali avviati da Macron e per l’apertura di una nuova fase politica a partire proprio dai risultati del voto del 7 luglio, il MpRC riconosce nelle lotte sociali e nell’inedito entusiasmo popolare che ne è derivato, nonché nel ruolo positivo che i comunisti e le comuniste francesi possono svolgere all’interno di tale aggregazione, la spinta necessaria per fare maturare una complessiva proposta di cambiamento, caratterizzata sia da un importante avanzamento sociale sia da un chiaro orientamento contro l’imperialismo e le sue guerre, contro la Ue, contro la Nato.
Immagine: Guallendra, Paris, New Popular Front, Graffiti: Long live Love and the Revolution, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=149915527
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