di Rolando Giai-Levra
Ci risiamo, sono da poco finite le danze della tornata elettorale per l’Ue, e subito dopo i tromboni di gran parte dei giornali borghesi acriticamente senza alcuno sforzo mentale e alcuna analisi seria della realtà concreta, hanno applaudito alla “grande vittoria” della coalizione di destra-centro capeggiata dalla fascista Meloni. Possiamo individuare, la sintesi “teorica” di questi signori nell’ex direttore del «Secolo d’Italia» Italo Bocchino (oggi attivissimo agit-prop di “F.lli d’Italia”). Questo straordinario “genio” della politologia, invitato nella trasmissione televisiva Accordi&Disaccordi del 12 giugno 2024 condotta da Luca Sommi per la tv Canale 9, ha dichiarato che “… non è detto che sia pericoloso il calo dei votanti perché il voto è più basso nelle democrazie solide,…”1 (sic!). Questa sarebbe la spiegazione “scientifica” data da Bocchino al fenomeno dell’astensionismo, per evitare di affrontare il vero problema su questo governo di destra che di fatto è espressione soltanto di una minoranza di un corpo elettorale di cui la stragrande maggioranza non l’ha votato. Questo è “l’alto livello culturale” di questi signori, che si adoperano affannosamente, tra una gomitata e l’altra, a vomitare tonnellate di stupidaggini per entrare nelle grazie della “ducetta” Giorgia Meloni. Questa presidente del consiglio di stampo draghiano, ben consapevole della condizione di minoranza del suo governo e dei suoi alleati, si adopera affannosamente per far passare le riforme anticostituzionali sul cosiddetto “premierato” e “l’autonomia differenziata”. Gravi e pericolose confroriforme, per imporre una svolta autoritaria a tutta la società italiana nata dalla resistenza antifascista e antinazista.
Questo avviene, mentre il comitato d’affari che è al governo occulta le gravissime condizioni di vita e sociali in cui sono stati scaraventati i lavoratori, i pensionati e le masse popolari impoverite sempre di più da una classe dominante sempre più ricca, avida e divoratrice di superprofitti, che utilizza i vari partiti borghesi, secondo le diverse esigenze del grande capitale. Oggi è il turno dei partiti della Meloni, di Tajani e di Salvini che sono subentrati al posto dei governi precedenti costituiti da ceti politici cosiddetti tecnici o dei partiti riformisti della sinistra della classe borghese, così come ben definiva Gramsci, il riformismo e il Psi. Tutti partiti uniti sui valori degli interessi del grande capitale e della borghesia, servilmente fedeli all’imperialismo degli Usa, dell’Ue e della Nato, nonché sul finanziamento e l’invio di armi all’Ucraina. Uniti a sostenere il governo colonizzatore sionista di Israele, non curandosi minimamente della reale volontà del popolo italiano che a grandissima maggioranza, secondo tutti i maggiori istituti di sondaggio, è contrario all’invio di armi all’Ucraina e ritengono necessario prendere adeguati provvedimenti contro il governo israeliano massacratore dei palestinesi, che fino ad oggi ha provocato oltre 40.000 morti. Dagli stessi sondaggi risulta anche la volontà di pace degli italiani preoccupati che tali situazioni non fanno altro che aumentare i pericoli di un terzo conflitto mondiale. Ma, la fascista Meloni, non tiene conto della sensibilità della maggioranza del popolo italiano e preferisce continuare a ragliare a gran voce “… abbiamo vinto…”. Di fronte a questa grave situazione in cui versa la democrazia nel nostro paese, non è più sufficiente la sola raccolta di firme referendarie contro i gravi provvedimenti autoritari sopradescritti; ma, da parte delle grandi organizzazioni di massa soprattutto la Cgil e l’Anpi, è necessario uno scatto in avanti e una volontà politica capace di chiamare alla mobilitazione generale la classe operaia e le masse popolari, per ribaltare questa grave situazione.
L’azione dei comunisti deve rivolgersi a tutta la classe lavoratrice e non a una sua parte
Con lo scioglimento del Pci nel 1991, vi è stata una caduta verdicale dei valori ideologici che rappresentavano una nuova prospettiva di società per la classe lavoratrice, la quale è stata investita pesantemente da un degrado culturale e sociale che è stato accompagnato da una costante offensiva del grande capitale, favorita dai governi che si sono succeduti fino ad oggi, contro i salari e le condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani precari, dei disoccupati e degli strati sociali coinvolti nei processi di proletarizzazione. Su tale grave situazione vanno aggiunte le scelte di questo governo di destra contro lo stato sociale con il taglio dei finanziamenti alla scuola, alla sanità e ai trasporti pubblici, per favorire i settori privati e l’evasione fiscale, privilegiare il finanziamento e la fornitura di armi all’Ucraina che pesano sempre più sulle spalle delle masse lavoratrici e popolari. La sinistra borghese (riformista) incarnata nei gruppi dirigenti del Pd, egemone nella Cgil, insieme a Cisl e Uil, nonché la “sinistra” radicale espressione della piccola borghesia pseudo rivoluzionaria e ai sindacati extraconfederali, fino ad oggi, non sono stati in grado di dare alcuna risposta alternativa di classe a tale grave situazione. Non è un caso che, a distanza di oltre 30 anni, non vi è stata alcuna crescita della coscienza di classe tra i lavoratori e che solo un’autentica forza comunista organizzata e ben radicata organicamente nella classe lavoratrice, come lo era il Pci, può far crescere e che Gramsci chiamava democrazia operaia con le sue istituzioni e i suoi strumenti rivoluzionari (cellule, consigli di fabbrica ecc.), che rappresentano l’unica, vera alternativa di classe all’antistorica democrazia borghese in agonia e alle sue decrepite istituzioni. Su questo argomento, va segnalato uno scritto fondamentale di Gramsci che ha per titolo proprio Democrazia Operaia.
È all’interno di questo quadro che va analizzato anche il fenomeno dell’astensionismo, per evitare di scivolare in atteggiamenti massimalistici che non cambiano minimamente una realtà assai deteriorata dalla profonda crisi della società, in cui hanno stravinto le destre, con una “sinistra” sconfitta in cui la voce dei coerenti comunisti non riesce ancora ad emergere come forza d’avanguardia; perché non organizzata e ancora priva di un minimo di radicamento nella classe lavoratrice. Ed è solo questo il punto da cui ripartire, altrimenti restano tante grandi chiacchiere che illudono ma non modificano l’attuale corso della lotta di classe del nostro paese. Non è un caso che la forte azione politica del Pci che era molto radicato nella classe lavoratrice, riusciva a contenere l’astensionismo intorno al 6% o poco più. Non risulta da nessuna parte che i comunisti si siano mai rallegrati neppure di quel poco astensionismo passivo che c’era in quel periodo; anzi, operavano per ridurlo e di coinvolgerne almeno una sua parte nei processi rivoluzionari di democrazia operaia che erano in corso di sviluppo. Sono stati i processi degenerativi interni al Pci avvenuti successivamente, insieme alla crisi economica e allo spostamento a destra dell’asse politico italiano, che cominciarono a far crescere l’astensionismo all’12% nel 1983, e poi al 13% nelle elezioni del 1992 (anno dopo la liquidazione del Pci). A tale situazione va aggiunta la “brillante” gestione bertinottiana del Prc che condusse l’organizzazione alla fallimentare esperienza dell’Arcobaleno che causò la totale esclusione della presenza comunista dal Parlamento, alimentando così la crescente sfiducia e l’astensionismo, che poco alla volta si è esteso nella maggioranza del corpo elettorale.
Sui risultati delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024?
Partiamo dai dati ufficiali del ministero dell’Interno2 aggiornati al 12 luglio 2024, da cui si rileva che gli elettori in Italia e all’estero aventi diritto al voto, complessivamente, sono 51.214.348 di cui i votanti sono stati 24.738.501 (48,30%). I voti validi che sono finiti alle varie liste sono stati 23.415.587 (45,72); mentre, i votanti che hanno annullato la scheda sono stati 774.735 e quelli che hanno lasciato la scheda bianca sono stati 546.807. Sono sufficienti questi primi elementi per rilevare che i 26.475.847 (51,7%) elettori non votanti, rappresentano la maggioranza rispetto al totale dei voti che hanno ricevuto le liste dei partiti. Da questi dati possiamo fare alcune prime riflessioni:
1. La coalizione di governo formata da F.lli d’Italia, Forza Italia e Lega insieme hanno ottenuto 11.079.242 voti con una perdita reale di 700.000 voti per F.lli d’I., di 300.000 voti per F.I. e di oltre 350.000 voti per la L., rispetto alle politiche del 2022. La somma di queste tre forze politiche rappresentano una minoranza appena del 21,63% su 51.214.348 elettori aventi diritto al voto, del 44,79% su 24.738.501 di votanti e del 47,32% sui 23.415.587 dei voti validi che hanno ricevuto le varie liste. E, nonostante che, in nessuno dei tre casi, questo governo ha ottenuto il 51%, con molta arroganza si pavoneggiai “maggioranza”. In aggiunta, se ai 26.475.847 di elettori non votanti, che sono già la maggioranza (51,7%), sommiamo i voti non validi (schede bianche e nulle), avremo ben 27.797.389 (54,28%) di elettori che non hanno votato questo governo! E se a questi aggiungiamo anche i voti dei partiti d’opposizione (Pd+M5S+Avs ed altri minori), significa che il governo della fascista Meloni è del tutto sconfessato con ca. l’80% della stragrande maggioranza degli elettori italiani!
2. Naturalmente, le prime riflessioni fatte dimostrano che gli elettori non votanti (astensionisti) più le schede bianche e nulle, non si identificano neppure con la cosiddetta “sinistra” parlamentare, tanto meno con quella extraparlamentare. Infatti, le stesse riflessioni valgono anche per tutti gli altri partiti di opposizione entrati in Parlamento, come quelli della sinistra borghese a cominciare dal Pd che in realtà rappresenterebbe l’11,02% e non il 24,11% rispetto al corpo elettorale di 51.214.348 di elettori. Poi ci sono le cifre ridicole della “sinistra” radicale ben lontana dallo sbarramento del 4% come Pace Terra Dignità di Santoro che ha ottenuto l’1,01%, e non il 2,21% o la lista rossobruna Democrazia Sovrana Popolare di Rizzo che ha ottenuto lo 0,07% e non lo 0,15%, che ormai hanno raggiunto un livello di dipendenza dalle elezioni borghesi da cui non riescono a liberarsi ideologicamente.
3. L’astensionismo è cresciuto di più verso l’Europa dell’euro. Infatti, nei Comuni dove si è votato soltanto per le elezioni europee il dato dell’affluenza crolla mediamente intorno al 40%. Anche negli altri paesi dell’Ue l’astensionismo si è manifestato in modo pesante se si considera che le prime elezioni europee del 1979 erano partiti con una partecipazione che non era di certo brillante del 61,99%. Inoltre, in queste elezioni non c’è stata alcuna crescita significativa rispetto la già bassa partecipazione del 50,66% delle elezioni del 2019. Secondo i dati Eurostat, i 27 paesi che formano l’Ue hanno un corpo elettorale di ca. 377 milioni di elettori su una popolazione di 449 milioni di persone. In queste ultime elezioni, hanno votato soltanto il 51,06% pari a 192 milioni di elettori (0,07% in più rispetto il 2019); mentre, 185 milioni di elettori non sono andati a votare a cui vanno aggiunti, ovviamente, i voti delle schede bianche e nulle. Va precisato che 15 dei paesi dell’Ue che rappresentano il 56% hanno visto una partecipazione al di sotto del 50%, altri 8 paesi hanno superato di poco il 50% e soltanto 4 paesi hanno superato il 60% (Germania, Belgio, Lussemburgo e Malta) che corrispondono a un totale di 74 milioni di elettori pari al 19,6% sull’intero corpo elettorale avente diritto al voto3.
4. La grande maggioranza degli elettori dell’Ue si sentono lontanissimi da questa Europa capitalistica e imperialista dell’euro, considerata un corpo a loro estraneo. Un’Ue del grande capitale industriale e bancario capace soltanto di riversare le conseguenze economiche della sua crisi strutturale sui suoi popoli soprattutto sui paesi economicamente più deboli come l’Italia, la Spagna, la Grecia, il Portogallo ecc. in cui le condizioni sociali e di vita dei lavoratori vanno peggiorando sempre di più.
5. In queste elezioni, è emerso con forza, che le istituzioni parlamentari ed i meccanismi elettorali della democrazia borghese non reggono più e sono attraversati da una profonda crisi organica senza precedenti, di cui l’astensionismo è un segnale evidente che si è manifestato nei paesi dell’Ue. Tale situazione rappresenta anche un segnale di profonda estraneità dell’elettorato verso i giochi di potere delle classi dominanti nei palazzi delle varie capitali e di Bruxelles.
Per quanto riguarda l’Italia in particolare modo, emerge in modo lampante da parte del governo di minoranza e di destra di volere tacere in modo omertoso sul forte astensionismo che c’è stato; perché, la crescita degli elettori che non vanno a votare, in realtà, si è trasformata in una condizione politica oggettivamente a loro favorevole che permette di governare il paese a “briglia sciolta” (questo vale in misura minore, anche per tutti i governi che si sono succeduti dal 1991 in poi). Per cui, le classi dominanti e i loro ceti politici, non intendono fare proprio nulla per allargare la democrazia e far crescere la partecipazione, al contrario la loro logica è: “viva a lungo chi non va più a votare”; perché, più cresce l’astensionismo meglio è per loro!
Le elezioni per l’Ue e il ruolo dei comunisti in Europa
Dobbiamo aggiungere alcuni elementi nazionali importanti che fanno la differenza tra le elezioni politiche e quelle europee. Soprattutto per capire a fondo la battaglia condotta dai comunisti italiani insieme ai lavoratori in difesa degli interessi nazionali contro il capitalismo italiano ed europeo fino a quando si è costituita l’Ue e per cui dallo scioglimento del Pci fino ad oggi, la “sinistra” radicale e parte dei comunisti non solo non hanno mai ripreso attivamente, per fare un minimo tentativo di militanza antimperialista insieme ai comunisti presenti in Europa; ma, non ne hanno neppure più parlato. Ha fatto molto bene il compagno Fosco Giannini, in un suo recente articolo, sottolineare: “Come, già ora, il MpRC si pone il problema della riunificazione delle forze comuniste italiane sulla base dell’affinità ideologica e rivoluzionaria, esso, fosse già partito comunista, dovrebbe porre la questione (certo di titanica portata, ma cosa siamo comunisti a fare se non per cercare di rendere possibile, anche attraverso il ritorno dell’azione soggettiva nella storia, l’apparente impossibile?) della riunificazione, a partire dalle lotte comuni e transnazionali, del movimento comunista e antimperialista dell’Ue.” (F. Giannini, Ue e movimento comunista: cosa dovrebbe fare, oggi, il MpRC, se fosse un partito comunista? – articolo già pubblicato su «Futura Società», organo del MpRC).
Proprio in funzione di tale prospettiva e della battaglia per la riunificazione del movimento comunista non solo italiano ma anche europeo è bene raccogliere tutti gli insegnamenti che le lotte del proletariato ci hanno fornito. Nella storia italiana le lotte dei comunisti nei paesi occidentali contro il capitalismo, l’imperialismo, la Nato e l’Europa capitalistica sono state profonde. Uno di questi alti momenti di lotta politica è ben analizzato in modo eccellente in un comunicato della Direzione nazionale del Pci del marzo 19574. Il comunicato chiamava i comunisti alla mobilitazione contro i due trattati che vennero firmati dal governo italiano insieme agli altri paesi aderenti il 25 marzo 1957 a Roma, per la costituzione del Mec5 e dell’Euratom6, dai quali ha tratto la sua origine l’attuale Ue dell’euro, considerati appunto degli strumenti di divisione dell’Europa che avrebbero aggravato la situazione internazionale e che in realtà servivano a subordinare l’economia e la politica europee all’imperialismo Usa e alla Nato ed ostacolare e impedire in ogni modo la collaborazione con i paesi socialisti a cominciare dall’Urss Il Pci denunciava tali trattati, come strumenti di sostegno anche all’imperialismo coloniale della Francia, che con la repressione dei movimenti di liberazione dei popoli ad essa subordinati, perpetrava lo sfruttamento di molti paesi in africa da cui il capitalismo francese ricavava miliardi di dollari ogni anno. Da notare che in quel periodo la Francia era impegnata nella sua guerra contro la resistenza e la lotta di liberazione per l’indipendenza dell’Algeria, che era stata conquistata successivamente nel 1962 con la vittoriosa rivoluzione armata guidata dal Fln (Front de Libération Nationale) dell’Algeria. Le conseguenze della non approvazione da parte del parlamento italiano delle sostanziali modifiche indicate dal Pci per i due trattati, ebbero delle pesanti conseguenze negative che si riversarono su tutta la società, rafforzando il capitale monopolistico e finanziario italiano, europeo e degli Usa, sbarrando la strada allo sviluppo di una autonoma politica nazionale di vere e profonde riforme strutturali, colpendo il potere d’acquisto dei salari e i diritti dei lavoratori, negando l’indipendenza energetica e soffocando l’agricoltura e i settori industriali meno sviluppati del nostro paese. La natura di cosa fosse realmente la nascente struttura economica del Mec venne ampiamente riportata dall’organo del Pci, il quotidiano «l’Unità» del 28 luglio19797, di cui diversi importanti passaggi sono stati ripresi dal compagno Fosco Giannini, nel suo ottimo articolo La crisi sistemica dell’Ue e la necessità della rivoluzione (pubblicato su «Futura Società», organo del MpRC).
Sulla base di quel Comunicato e delle mobilitazioni popolari effettuate, il 30 luglio 1957 nella seduta pomeridiana della Camera dei Deputati, il Pci fu l’unico partito a votare con coraggio contro la ratifica dei due trattati per la costituzione del Mec e dell’Euratom, mentre il Psi dopo la sua rottura con i comunisti, si astenne favorendo oggettivamente l’imperialismo Usa e le forze conservatrici e reazionarie. La Dc fino al partito fascista Msi di Giorgio Almirante (oggi F.lli d’Italia della Meloni), votarono a favore dei due trattati filo imperialisti a tutto danno del popolo italiano e del paese8. Il resoconto di questa lunga battaglia fatta dal Pci, con interventi di esponenti comunisti in Parlamento, in difesa della sovranità e degli interessi nazionali, e dei diritti dei lavoratori, venne riportato su «l’Unità» del 31 luglio1957 9. Nello stesso anno in cui furono ratificati i due trattati, gli Usa e la Nato non persero tempo e passarono all’installazione di fatto delle loro basi militari e missilistiche in Europa e in Italia. Oggi, gli stessi obiettivi e contenuti di quel Comunicato del Pci sono di grandissima attualità e possono rappresentare una base politica eccellente, da aggiornare, su cui lavorare unitariamente, che il MpRC può rilanciare nella lotta dei comunisti italiani, in modo coordinato con i comunisti di tutti i paesi dell’intero Continente Europeo per aprirsi con decisione al multipolarismo e alla nuova economia del movimento dei Brics, contro l’imperialismo Usa, della Nato e dell’Ue che è stata artificialmente generata per gli interessi di profitto del grande capitale e delle banche, producendo una mini e pseudo imitazione dell’Europa Continentale che è composta in realtà da ben 46 Stati, con una popolazione di 745 milioni di persone (tra cui il Regno Unito, la Russia, il Kazakistan ecc.).
Il disarmo ideologico della classe lavoratrice e dei ceti popolari subalterni, è profondo e rappresenta oggi la condizione culturale di massa peggiore che non fa più distinguere le classi e i ceti politici che rappresentano gli interessi di quelle stesse classi. Il sempre più crescente distacco delle masse lavoratrici e popolari dalla classe dominante e dai suoi gruppi dirigenti, mette bene in evidenza la crisi organica in cui si trova la democrazia borghese, anche attraverso l’astensionismo, come già detto sopra. In tali condizioni, quale è l’alternativa di classe da proporre alla classe lavoratrice? I comunisti devono proporre l’astensionismo come strumento di lotta o devono proporre gli strumenti di lotta che storicamente ci ha fornito la stessa classe operaia? In assenza di una coscienza di classe militante e ben organizzata, l’astensionismo non può (nella maniera più assoluta) ribaltare i rapporti di produzione del sistema capitalistico e superare la stessa democrazia borghese. L’acquisizione della coscienza di classe, passa soltanto attraverso l’azione politica e ideologica organizzata e radicata di un vero Partito Comunista che si rivolge all’intera classe lavoratrice per trasformare la realtà sociale, e non passa attraverso l’astensionismo che resta una forma passiva senza alcuno sbocco politico. La forte crescita dell’astensionismo che c’è stata nelle ultime elezioni, non si trasforma “miracolosamente” e “spontaneamente” in una mobilitazione rivoluzionaria cosciente in grado di rovesciare lo Stato borghese e i rapporti di produzione della società capitalistica e non lo sarà mai.
Soltanto gli ingenui, possono illudersi di poter colmare il vuoto di quel distacco collegando meccanicamente il crollo della fiducia degli elettori verso le istituzioni della borghesia e dei suoi gruppi dirigenti ad un “conseguente e spontaneo” atto rivoluzionario delle masse lavoratrici e popolari che passa attraverso l’astensionismo. In realtà senza un’organizzazione, un progetto, un programma e una prospettiva di classe che per essere tali si devono radicare in modo profondo e organico nei luoghi di lavoro e di produzione, nelle università e nei territori, l’astensione elettorale di per sé non si trasformerà mai spontaneamente in organizzazione e mobilitazione rivoluzionarie! L’astensionismo rientra nella categoria della passività criticati in profondità da Gramsci; perché, l’astensionismo favorisce i gruppi dirigenti borghesi (che sono sempre più ristretti) a governare la società senza essere disturbati. Non vale più, il detto “chi non vota subisce il volere della maggioranza”; perché; oggi chi non vota è costretto ancor peggio a subire la volontà di una stretta minoranza che governa. Ed è quello che le classi dominanti vogliono; perché, se cresce l’astensionismo, di cui la borghesia non ha affatto paura, per loro è molto meglio!
Quindi, il problema, resta tutto in mano ai comunisti che ancora fino ad oggi non sono riusciti a ricomporsi su basi politiche e ideologiche omogenee per proporre una vera e valida alternativa di classe alle masse lavoratrici e popolari. Per queste ragioni, credo che sono un errore politico certe affermazioni a sinistra di alcuni compagni che, in tutta buona fede, gioiscono per la crescita dell’astensionismo e/o teorizzano l’uso dell’astensionismo come strumento per “contare e decidere” sostenendo che chi si è astenuto sarebbe addirittura “un passo avanti rispetto a chi ha votato”. Queste indicazioni sull’astensionismo apparentemente “rivoluzionarie” servono soltanto a disorientare i comunisti e i lavoratori! I comunisti non hanno mai teorizzato l’astensionismo Bordighista come strumento della lotta di classe per cambiare lo stato di cose. Perché, non è così! È un falso teorico, già ampiamente analizzato e superato da Gramsci; nonché, demolito dalla realtà materiale, che dimostra, oggi, che il governo della fascista Meloni e dei suoi alleati non è stato minimamente scalfito dal forte astensionismo che c’è stato nelle ultime elezioni europee.
Unità e contraddizioni tra i partiti della borghesia
Le elezioni che da poco si sono concluse in Italia hanno presentato un doppio scenario politico. Da una parte la tradizionale farsa in cui ogni partito ha recitato il suo copione per differenziarsi dall’altro soltanto nella forma; mentre, dall’altra parte l’insieme dei partiti prendono le sembianze di un’”unica grande entità politica”, che di fronte a determinate scelte funzionali al profitto nazionale ed internazionale decidono di prendere insieme decisioni e provvedimenti a favore dell’imperialismo Usa, dell’Ue e della Nato, dall’invio di armi e finanziamenti all’Ucraina, alle sanzioni contro la Russia, al sostegno politico ed ideologico del governo sionista e genocida d’Israele ecc. In realtà questa singolare “unica grande entità politica” non è così omogenea come può sembrare in apparenza; perché, in essa sussistono profonde divisioni di natura corporativa tra gli interessi del partito della Meloni con quelli dei partiti suoi alleati e tra questi con il partito della Schlein e ancora tra questo e gli altri partiti del cosiddetto “campo largo”, nonché profondi dissidi all’interno di ognuno di questi partiti. Un quadro di contraddizioni in cui i comunisti devono sapersi incuneare per approfondire le loro divisioni interne, che altrimenti avrebbero tutto il campo libero per coagularsi di più contro i lavoratori, i comunisti, gli antifascisti, gli antimperialisti e il socialismo nel mondo.
Forse, sarebbe opportuno soffermarsi su qualche altra riflessione:
1. oggi, da chi sono egemonizzate e organizzate le masse lavoratrici e popolari compreso quella parte astensionista di cui abbiamo parlato sopra? Dalle confederazioni sindacali di massa, soprattutto da quella più grande che è la Cgil, dall’Anpi, dalle grandi Cooperative ecc., che a loro volta sono tutte egemonizzate dai gruppi dirigenti riformisti del Pd. Un’altra parte subisce la pesante influenza cattolica di cui ne potremo parlare una prossima volta.
2. perché questi riformisti eredi della destra che ha distrutto il Pci sono ancora così forti da penetrare ed egemonizzare sulle masse di proletari anche se una parte di esse si astiene? Perché, i comunisti che hanno le idee strategicamente forti e vincenti non egemonizzano, né dentro e né fuori, a tali organizzazioni delle masse lavoratrici e popolari?
3. con molta umiltà dobbiamo anche saper misurare il livello reale del radicamento sociale dei comunisti nel paese e che oggi non c’è! Ripeto non c’è! Basterebbe rispondere alla domanda: quante cellule e sezioni comuniste ci sono oggi nei luoghi di lavoro, nelle università e nei territori?
4. Sarebbe necessario per tutti fare un minimo di analisi seria sulla natura dell’astensionismo e sui rischi che porta con sé rispetto l’organizzazione stessa dei comunisti, oppure no?
A distanza di un mese tra febbraio e marzo del 1925, Gramsci scrisse due saggi di fondamentale importanza politica e ideologica per comprendere la natura di classe del riformismo e della socialdemocrazia e del perché la loro cultura egemonizzava le masse. Gramsci ha scritto: “[…] Che cosa sia il socialismo di Turati e del suo partito oggi è chiaro, a tutti; esso è un liberalismo democratico, che, come negli altri paesi capitalisti, tiene la funzione di «sinistra borghese». […] non si era mai giunti alla elaborazione di una tattica e di un programma socialista in modo da smascherare la tendenza riformista per quella che è realmente, una tendenza cioè borghese infiltratasi nel movimento operaio. […]”. Poi ancora Gramsci mette in evidenza che nonostante si era costituito nel 1921 il Partito Comunista d’Italia e nel pieno dei processi rivoluzionari che si sviluppavano in Russia “[…] il riformismo non abbandona ancora la sua maschera; esso continua ancora a celarsi sotto il nome di socialismo, il quale, da questo momento, diventa equivalente di opportunismo cioè di antisocialismo. […]”. Non solo, egli ci dice che il riformista D’Aragona era arrivato al punto di dichiarare che “[…] I riformisti sono rimasti nel Partito socialista per sabotare la rivoluzione. […]”, cioè, ci spiega Gramsci “[…] per salvare la borghesia dall’avanzata della classe operaia, i riformisti hanno di tradimento in tradimento condotto i lavoratori italiani alla sconfitta, creando così le condizioni favorevoli allo sviluppo e al successo del fascismo. […]”10. L’importanza di queste analisi, ci forniscono la chiave di lettura per capire anche oggi la natura di classe del Pd. Nel suo secondo scritto Gramsci indica, invece, quali devono essere i compiti dei comunisti nella formazione ideologica per loro e per i lavoratori italiani che ieri come oggi, purtroppo sono investiti da un diffuso ed esteso analfabetismo ideologico di massa sulle cose più elementari che riguardano il marxismo. Egli scrive: “[…] il Partito deve assimilare il marxismo e deve assimilarlo nella sua forma attuale, come leninismo. L’attività teorica, la lotta cioè sul fronte ideologico, è sempre stata trascurata nel movimento operaio italiano. In Italia il marxismo (all’infuori di Antonio Labriola) è stato studiato piú dagli intellettuali borghesi, per snaturarlo e rivolgerlo ad uso della politica borghese, che dai rivoluzionari. […] Per lottare contro la confusione che si è andata in tal modo creando, è necessario che il Partito intensifichi e renda sistematica la sua attività nel campo ideologico, che esso ponga come un dovere del militante la conoscenza della dottrina del marxismo-leninismo almeno nei suoi termini più generali. […] La preparazione ideologica di massa è quindi una necessità della lotta rivoluzionaria, è una delle condizioni indispensabili della vittoria. […]”11.
Queste sono soltanto alcune citazioni riprese dalla profonda analisi gramsciana sulla natura del veleno riformista; ma, nel contempo questo non impediva a Gramsci di indicare ai comunisti con lo stesso rigore di analisi di dover lavorare pazientemente e coerentemente tra le masse e nelle loro organizzazioni che erano egemonizzate, guarda caso, proprio dalla cultura riformista allora nel Psi e nella stessa Confederazione del Lavoro (oggi Cgil). Con questi ed altri elementi di analisi gramsciani e leninisti, possiamo individuare scientificamente la collocazione di classe di tutti i partiti e in tale contesto approfondire l’analisi sull’astensionismo. E questo vale anche per l’attuale Pd e del suo liberal-riformismo contro cui trovare gli strumenti culturali necessari per combattere la sua egemonia. Non basta liquidare l’analisi enunciando che il Pd rappresenta gli interessi del grande capitale e dell’imperialismo, e poi non dare alcuna spiegazione sul fatto che proprio questo partito, nello stesso tempo, egemonizza ancora le masse lavoratrici e popolari e le loro diverse organizzazioni di massa.
Conclusioni
La profonda crisi strutturale del capitalismo, dello Stato borghese e delle sue istituzioni, la crisi della democrazia borghese parlamentare, non rappresentano una novità per i comunisti, che sanno molto bene che sono sempre stati gli strumenti necessari alla classe dominante per perpetuare lo sfruttamento sulla classe lavoratrice. I comunisti sanno bene, che tale condizione esiste da quando si è formata la società capitalistica borghese, la quale potrà essere superata alla radice soltanto da un progetto per una società socialista che i comunisti devono ancora elaborare e prospettare alla classe lavoratrice italiana. Ecco, perché non ci si può limitare a teorizzare che le elezioni non servono a nulla e che i comunisti non vi devono più partecipare per passare ad un sistematico astensionismo di stampo bordighista che non porta da nessuna parte. Alcuni compagni non si rendono conto che le istituzioni, il parlamento e le elezioni, in realtà servono molto alla borghesia per legittimare le sue scelte e decisioni reazionare a livello nazionale e internazionale, per colpire la classe operaia e lavoratrice del nostro paese e nel mondo. Ma, nello stesso tempo, servono anche al proletariato per utilizzare tutti gli spazi possibili esistenti della democrazia borghese per organizzare in termini di classe la sua avanguardia comunista, la quale per prima cosa ha il compito di radicarsi tra i lavoratori, per poter decidere al momento opportuno e se lo riterrà opportuno esprimere un proprio gruppo anche nel parlamento borghese da utilizzare tatticamente (come ci hanno insegnato Lenin e Gramsci), come tribuna per estendere la propria influenza sulle masse lavoratrici e popolari nella lotta rivoluzionaria per il socialismo. Al contrario, la borghesia decide di abolire le elezioni e il parlamento nel momento in cui queste non garantiscono più il suo potere e non avendo più alcuna altra alternativa di sopravvivenza come classe dominante, decide di scatenare la reazione aperta (se necessario anche sanguinaria) per instaurare una dittatura che possa garantire il suo dominio, cancellando tutte le sue stesse libertà democratiche borghesi previste in precedenza. Ma, questa è una condizione contro cui i comunisti devono lottare per impedire che ciò si realizzi e soltanto nel caso che non ci riescono, i comunisti si troveranno costretti a riorganizzare la resistenza per combattere la dittatura giunta al potere, così come fecero per liberare l’Italia dalla dittatura fascista di Mussolini e dal nazismo.
L’altra faccia della medaglia dell’astensionismo è proprio l’elettoralismo finalizzato ad avere a tutti i costi qualche posticino nelle istituzioni borghesi. Ambedue questi due aspetti non hanno alcuno sbocco politico strategico per la classe lavoratrice e per i comunisti. Nel 1917, quando ci fu la grande Rivoluzione d’ottobre, Bordiga diede vita alla Frazione Comunista Astensionista nel Psi teorizzando fin da allora che il partito non avrebbe dovuto partecipare alle elezioni, in quanto il proletariato poteva prendere il potere solo attraverso la lotta armata (la stessa cosa viene sostenuta oggi da alcuni gruppi come “Lotta Comunista” i cui gruppi dirigenti sono molto ben assestati burocraticamente in alcune poltrone, guarda caso, in Cgil. Essi come qualche altro gruppo di stampo massimalista e/o trotzkjsta, attendono che le masse prendano “spontaneamente” coscienza della propria condizione sociale, e che solo allora esse identificheranno nei gruppi dirigenti di questi stessi gruppi le loro avanguardie che guideranno alla vittoria la rivoluzione contro il capitalismo. Non è un caso che Bordiga si è trovato nel dilemma se accettare o meno le condizioni poste da Lenin per entrare nella 3a Internazionale. Dobbiamo ricordare che Lenin mentre appoggiava i comunisti italiani contro i socialdemocratici e riformisti del Psi, nello stesso tempo, faceva una critica aperta senza concessioni nei confronti delle posizioni astensioniste di Bordiga in L’estremismo, malattia infantile del comunismo.
Oggi, l’obiettivo strategico del MpRC e quello di lavorare soltanto per costruire il P.C. in questa sua fase che è ancora del tutto embrionale, sicuramente senza farsi coinvolgere da strane pulsioni e illusioni astensioniste che riguardano più l’istinto, l’emotività e non la coscienza di classe che è quella che interessa ai comunisti. Perché, non è che sostenendo l’astensionismo o invitando ad astenersi che si costituiranno le cellule nei luoghi di lavoro e di produzione e nelle università se non vi è l’azione diretta e in prima persona dei comunisti in quelle stesse realtà. Oggi, il MpRC non è radicato nella classe lavoratrice e fino a quando questo non si sarà realizzato materialmente, tutto il resto resterà nel mondo delle grandi e fumose chiacchiere vuote, prive di qualsiasi senso e consistenza, che servono solo a disorientare i comunisti.
Note:
2 https://elezioni.interno.gov.it/europee/scrutini/20240609/scrutiniEX
3 https://results.elections.europa.eu/it/affluenza/
4 https://archivio.unita.news/issue/1957/03/24 – Pubblicato su «l’Unità» del 24 marzo del 1957.
5 Mec = Mercato Europeo Comune che si riferisce al mercato unico dell’Europa occidentale e non di tutta l’Europa Continentale, deciso dal trattato di Roma del 25 marzo 1957 che istituì la Cee (Comunità Economica Europea).
6 Euratom=Comunità europea dell’energia atomica (Ceea o Euratom), istituito sempre con lo stesso trattato che ha dato vita al Mec.
7 https://archivio.unita.news/assets/derived/1957/07/28/issue_full.pdf
8 https://documenti.camera.it/_dati/leg02/lavori/stenografici/sed0615/sed0615.pdf
9 https://archivio.unita.news/issue/1957/07/31
10 A. Gramsci, La funzione del riformismo in Italia – Non firmato, «l’Unità», 5 febbraio 1925).
11 A. Gramsci, Necessità di una preparazione ideologica di massa, scritto nel maggio del 1925, pubblicato in «Stato operaio» del marzo-aprile 1931.
Immagine: Public domain, via Wikimedia Commons
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