di Luigi Basile
I significativi risultati, tra luci e ombre, ottenuti dopo mesi di mobilitazione negli atenei italiani, anche con il sostegno di docenti e ricercatori, per fermare il genocidio messo in atto da Israele e contro la militarizzazione dei saperi.
Le università di Torino, Siena e Pisa chiedono al parlamento e al governo di riconoscere lo Stato di Palestina.
Nonostante la repressione e il tentativo di censurare la protesta e la mobilitazione degli studenti universitari italiani, la lotta a sostegno del popolo palestinese è riuscita a rompere il muro di indifferenza, omertà, conformismo, subalternità ai poteri, anche quelli più retrivi e oscuri, che ingabbia sempre più gli atenei del Paese, appiattiti sul cliché della “cultura” dominante e del profitto.
L’aggressione perpetrata da Israele a danno dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, un vero e proprio genocidio, concepito cinicamente a tavolino molto prima del 7 ottobre 2023, in questi 75 anni di occupazione militare e di sistematiche violenze contro i cittadini legittimi di una terra martoriata, nell’inerzia dell’Occidente e con la complicità dei governi degli Stati Uniti, ha fatto emergere con crudezza gli interessi in ballo di numerose università, legati all’industria delle armi, della guerra e delle tecnologie utilizzate per il controllo militare ed economico.
Dopo i silenzi, le minacce e i tentativi di sgombero, qualcosa si è mosso, grazie alla determinazione degli studenti e alla collaborazione di diversi docenti, ricercatori e altri lavoratori delle università (che hanno prodotto un documento che ha raccolto oltre 4.000 firme nell’ambiente accademico), e all’impatto di un movimento globale, che nemmeno i media mainstream hanno potuto più ignorare.
Già nel mese di marzo il senato accademico dell’Università di Torino ha approvato a maggioranza una mozione con la quale si decideva di non partecipare al controverso e contestato bando del ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, per l’avvio di un progetto multidisciplinare di ricerca tecnologica in ambito civile, in collaborazione con istituzioni accademiche israeliane, considerato comunque a rischio, perché potenzialmente utilizzabile, come tante volte è avvenuto, anche per applicazioni militari, di guerra ibrida, di controllo sociale, di spionaggio.
Altre università, come quella di Cagliari, hanno invece ignorato gli inviti al boicottaggio e le sollecitazioni ad assumere una posizione sulla tragedia che si sta consumando da mesi in Palestina e ai crimini di guerra e contro l’umanita compiuti dal regime sionista.
Le richieste delle organizzazioni studentesche sono state nette e precise. Ma le risposte spesso evasive o di circostanza. A Torino, ad esempio, sono 9 i progetti di collaborazione con Israele in corso, nessuno dei quali revocati. Così in molti altri atenei.
In diversi casi, è coinvolta direttamente Leonardo spa (ex Finmeccanica), azienda italiana che opera nei settori difesa, sicurezza e aerospazio, prima per giro d’affari nell’Ue e dodicesima nel mondo, che produce, dopo aver inglobato nel 2016 altri stabilimenti e storici marchi del comparto (AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Selex Es, Oto Melara e Wass), armamenti, caccia bombardieri, elicotteri, carrarmati, siluri, cannoni navali e sistemi elettronici.
La società, il cui pacchetto azionario di maggioranza, anche dopo la parziale privatizzazione, resta nella mani dello Stato, tramite il ministero dell’Economia e delle Finanze, che detiene il 30% del capitale sociale, ha numerosi progetti con Israele e con molti altri paesi in guerra e che foraggiano il terrorismo.
Per Leonardo i centri di ricerca, le università e gli istituti tecnologici superiori (Its Accademy) sono territorio di caccia per il reclutamento di tecnici esperti e neolaureati, come se si trattasse di una qualunque attività ordinaria. Addirittura è socio fondatore di alcuni Its, nei quali il personale docente del gruppo si alterna nelle classi durante il biennio formativo, e protagonista di giornate di orientamento negli atenei, oltre che finanziatore della fondazione centro studi Med-Or, nel cui comitato scientifico c’era, tra gli altri, il rettore dell’Università di Napoli, Matteo Lorito, costretto a dimettersi dall’organismo, dopo la mobilitazione degli studenti, che hanno sollevato il problema della “militarizzazione dei saperi”.
Ma le proteste contro Leonardo sono subito finite nel mirino del governo Meloni e della ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, pronta a difendere gli amministratori dell’industria bellica, anziché occuparsi del carofitti per i fuori sede. Proprio come è avvenuto per le prese di posizione critiche delle istituzioni accademiche nei confronti di Israele, che non sono risultate gradite alla destra.
In questi mesi, molte università italiane hanno approvato mozioni per chiedere a Israele un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.
Un passo in avanti decisivo però è stato sancito il 13 giugno dal senato accademico dell’Università di Torino, che dopo aver respinto due mozioni avanzate dalle organizzazioni studentesche, ha approvato un documento con il quale, come si legge nel testo ufficiale, “fa proprie le preoccupazioni della comunità internazionale, delle comunità universitarie in tante parti del mondo e in primo luogo della nostra comunità universitaria per la questione della pace in Medio Oriente: in particolare, facendo proprie le parole e le analisi più volte espresse dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sostiene i diritti del popolo palestinese e, tra questi diritti, quello di avere uno Stato in cui riconoscersi congiuntamente con il diritto all’esistenza in sicurezza di Israele”.
Il 16 luglio è la volta dell’Università di Siena che lancia un vero e proprio appello al parlamento e al governo, tramite una mozione approvata all’unanimità: “assistiamo impotenti e attoniti alla feroce rappresaglia dello Stato di Israele, che sta massacrando con inusitata disumanità la popolazione palestinese. Alla strage di una popolazione inerme causata dalle armi, si accompagna quella causata dalla distruzione di ospedali, asili, scuole e università, che uccide la speranza, perché nega a intere generazioni il diritto alle cure, a un’istruzione, a un progetto di vita e, quindi, a un futuro”.
E ancora: “Quello che sta accadendo, frutto di un passato di violenze, ha commosso il mondo, spingendo alla mobilitazione le opinioni pubbliche di molti Paesi, primi fra tutti gli studenti, compresi quelli delle nostre università. È anche grazie a loro se in questo difficile periodo è stato riaffermato e più volte ricordato che le università, in particolare le università pubbliche, devono essere luoghi senza frontiere, autonomi, di formazione e ricerca, in cui si promuovono i valori del dialogo, della giustizia e in cui si coltiva e sviluppa un pensiero critico. Tutto questo in un orizzonte di convivenza pacifica”.
Richiamandosi ai valori di pace e libertà, conquistati con la lotta di Liberazione, si chiede che: “l’Italia si unisca al gran numero di Paesi che, nel mondo, riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele”.
Il 23 luglio, il senato accademico dell’Università di Parma ha approvato a maggioranza la mozione “Ripudio della guerra”, con la quale si sollecita un immediato cessate il fuoco, si propone di proseguire una politica di supporto a studenti e ricercatori palestinesi, ci si impegna a non collaborare con enti accademici che promuovono o finanziano la guerra e a “riconsiderare la collaborazione con istituti di ricerca attivamente coinvolti nel supporto all’apparato militare” e infine si costituisce un osservatorio paritetico, per “analizzare e discutere sulla ricerca scientifica e sulle sue conseguenze in chiave etica”.
I risultati ottenuti dalla mobilitazione sono significativi, anche se non mancano, ad una lettura attenta e dettagliata dei documenti citati, diverse contraddizioni, distinguo e prudenze, che non a caso sono state evidenziate dagli studenti. Mentre altri atenei ancora non hanno deciso di venire allo scoperto. Il massacro in Palestina purtoppo continua e il governo italiano, insieme a buona parte dei Paesi occidentali, resta colpevolmente a guardare, benché l’Onu e il Tribunale dell’Aja si siano espressi in maniera decisa, per fermare il governo fascista e terrorista del criminale Netanyahu, grazie all’intervento dell’altra parte del mondo.
Il 10 maggio l’assemblea Onu ha anche approvato, con il voto favorevole di 143 Paesi, la risoluzione che consente alla Palestina il riconoscimento come Stato membro. Soltanto 9 Paesi hanno votato contro, tra questi gli Stati Uniti. L’Italia si è astenuta, insieme ad altre 24 delegazioni. Quando deciderà l’Italia di assumersi le proprie responsabilità?
Immagine: Mohatatou, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, da Wikimedia Commons
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