La recente vittoria dei nazifascisti in Austria, il rafforzamento del fronte fascista in tutta Europa e il compito dei comunisti

di Fosco Giannini

L’involuzione liberista, la subordinazione all’Ue e alla Nato delle “sinistre” filocapitaliste e filoimperialiste dell’Ue lasciano spazi immensi alle destre estreme e fasciste. È compito dei comunisti e delle forze antimperialiste e rivoluzionarie riconquistare il valore e la pratica della sovranità e della liberazione nazionale.

Chi scrive ha avuto la ventura, nel 1993, da responsabile Esteri per l’Europa del Partito della Rifondazione Comunista, di trovarsi a Vienna (per un convegno dei partiti comunisti del mondo organizzato dal Partito Comunista Austriaco, Kpö) e, a Vienna, in Maria-Theresen-Platz, una delle più grandi piazze della capitale austriaca, dove si teneva un comizio dell’allora leader del Fpö (Partito della Libertà d’Austria, partito fascista) Jörg Haider, che morì poi in un incidente automobilistico (dagli strani contorni) l’11 ottobre del 2008. Il lettore potrebbe chiedermi: che ci facevi ad un comizio di Haider? Come in quella celebre gag di Totò che racconta ad un suo amico che un tipo lo aveva “gonfiato” di schiaffoni e al suo amico che gli chiede “e tu come hai reagito?”, Totò risponde “niente, volevo solo vedere dove il tipo voleva arrivare”, così, chi scrive, in Maria-Theresen-Platz, nel 1993, voleva solo vedere dove Haider volesse arrivare. E il leader fascista del Fpö arrivò, durante il suo comizio da “Schutzstaffel” (SS) naziste, a bruciare in piazza il fantoccio di un immigrato nero e ad impiccare un altro fantoccio con la falce e martello sul petto.

Perché rievochiamo Haider? Perché la scorsa domenica 29 settembre 2024 le elezioni parlamentari in Austria sono state vinte dal successore di Haider, l’attuale leader del Fpö, e aspirante “Volkskanzler” (Cancelliere del popolo), Herbert Kickl, uno che non disdegna, quando può, di tendere il braccio nella postura nazista e gridare “Sieg Heil!” (Salve vittoria!), come hanno fatto i suoi “gerarchi” (e candidati al parlamento austriaco) poche ore prima dell’apertura delle urne per queste ultime elezioni di settembre, quando ad un funerale, come documentato da un video pubblicato dal quotidiano «Standard», e capeggiati dall’importante funzionario del Fpö Walter Suche, hanno intonato inni alle SS. Il Fpö di Herbert Kickl è divenuto, con quasi il 30% dei consensi (11% in più delle precedenti elezioni) e 58 seggi al parlamento, su di un totale di 183, il primo partito d’Austria, seguita dall’Övp (Partito popolare, conservatore, al 26%), dallo Spö (Partito Socialdemocratico, al 21,1%) e dai Verdi, che crollano, anche per aver governato con i conservatori, all’8%, con un calo di circa il 6%.

Di notevole interesse è stata l’analisi del voto da parte del grande scrittore austriaco Robert Menasse (ultimo, suo, importante romanzo uscito: L’allargamento, per i tipi della Sellerio). Benché il partito di Haider, ed ora di Herbert Kickl, sia stato fondato nella metà degli anni ’50 da ex membri delle SS, lo scrittore austriaco ha affermato, in una lunga intervista concessa al «Corriere della Sera» di domenica 29 settembre: “È sbagliato sostenere che Kickl sia nazista. Anche i suoi elettori non lo sono. Sono ‘austrofascisti’. Semplificando: tolga ai nazisti i campi di concentramento e le guerre d’aggressione e avrà gli ‘austrofascisti’, compreso l’odio viscerale contro i socialisti. E ciò è qualcosa che non riguarda solo gli elettori della Fpö, che, certo è un partito fondato da ex nazisti, ma anche la Övp, cioè il Partito popolare. Il nazismo, in Austria, è screditato, ‘l’austrofascismo’ no. Perché ha difeso la sovranità, perché gli ‘austrofascisti’ sono visti come ‘patrioti’”.

E, nel prosieguo dell’intervista, ha affermato Robert Menasse, in risposta alla domanda: “La Övp, i Popolari-conservatori, tenteranno di formare un governo con i socialdemocratici?”. Menasse: “Si, lo tenteranno, ma secondo un’indiscrezione che ritengo molto credibile, sarà un teatrino. Faranno finta di negoziare per qualche mese. Poi i Popolari diranno, come fece Schuesse nel 2000, che i socialisti sono marxisti ed è impossibile allearsi con loro. E si uniranno a Kickl e alla sua estrema destra dotata del, decisivo, 30% dei voti”.

Di grande interesse, dal nostro punto di vista, sono le affermazioni di Robert Menasse. Prima questione: quando afferma che il FPÖ, nonostante le tante somiglianze al National Sozialistische Duetsche Arbeiterpartei, Nsdap (il partito di Hitler), non sarebbe nazista ma “austrofascista” perché gli “austrofascisti” avevano lottato per la sovranità dell’Austria, Menasse pone una potente e cogente questione: senza nulla togliere alla natura fascista, reazionaria, antidemocratica e antioperaia dell’“austrofascismo” antico ed attuale, tuttavia lo scrittore austriaco individua nella lotta per la sovranità austriaca di ora una chiave di volta del successo del Fpö, che costruisce rapporti di massa e diviene popolare nel momento in cui non si genuflette ai voleri iperliberisti dell’Ue. Una posizione che dovrebbe essere della “sinistra”, della socialdemocrazia austriaca e non lo è, e non essendola fa perdere a questa stesa “sinistra” i rapporti di massa e con il popolo, lasciando spazio agli “austrofascisti”, che saranno pure sovranisti ma sempre fascisti rimangono, aggravando in questo modo le responsabilità della socialdemocrazia – non sovranista, ma imperialista perché irretita dal neoimperialismo di Bruxelles e dalla Bce – austriaca. Seconda importante affermazione di Menasse quella relativa, secondo lui, al fatto che, poi, l’Övp, il partito popolare e conservatore, scartando l’ipotesi di un’alleanza con il partito socialdemocratico, finirà col governare con gli “austrofascisti”. E di che cosa ci parla, Menasse, se non del fatto che è ormai in atto, in Europa, un vasto processo di “arruolamento,” da parte delle forze liberali, dei partiti fascisti? Chi non ricorda, per ciò che riguarda l’Italia, lo “sdoganamento”, da parte di Berlusconi, di quell’Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini che puzzava ancora tutta di Movimento Sociale italiano? Vuol dire che le forze liberali, come un tempo, iniziano ad affidare alle forze fasciste, come in Italia dopo la Prima guerra mondiale, le sorti dei popoli e della borghesia al fascismo? La questione della sovranità come elemento centrale della costruzione di consenso popolare, dei rapporti di massa e di successo elettorale, così come è stata posta da Menasse (e praticata dagli “austrofascisti” del Fpö quanto dismessa dalle “sinistre” e dalle socialdemocrazie) è la questione cardinale, poiché solo attraverso essa ci si può sottrarre sia alle politiche neoimperialiste e iperliberiste dell’Ue, che agli ordini degli Usa e della Nato.

Occorre ricordare, peraltro, una questione generale e dirimente: l’Austria del secondo dopoguerra è stata, a lungo, un Paese socialdemocratico avanzato, una sorta di nuova “Austria Felix” (quell’Austria felice “cantata” da Mattia Corvino, re d’Ungheria, che già nella metà del 1400 scriveva “Le guerre le fanno gli altri, tu sposati, Austria!”, per indicare quella “politica matrimoniale” che a lungo gli Asburgo utilizzarono per unire i regni ed evitare le guerre), una nuova “Austria Felix”, dunque, quella del secondo dopoguerra, con un forte stato sociale, dalla sanità pubblica alla scuola sino al sistema pensionistico. Dopo l’autodissoluzione dell’Unione Sovietica (1991), la – conseguente – ratifica del Trattato di Maastricht (febbraio 1992, poche settimane dopo la scomparsa dell’Urss) e la caduta dei Paesi Socialisti dell’Est Europa, decine di migliaia di cittadini di questi Paesi iniziano a premere sui confini austriaci. Il combinato disposto dato dalla paura, da parte dei cittadini austriaci, di questa “invasione” e, dunque, del timore di perdere il loro “welfare felix” e le politiche liberiste in arrivo da Bruxelles diventa il terreno di coltura per i primi, grandi successi, del Fpö di Haider, del partito “austrofascista” che sorge “in difesa della sovranità nazionale”, quello stesso partito che è oggi guidato, col 30% di voti, da Herbert Kickl.

A partire dalla lucida teoria messa a fuoco da Robert Menasse di quell’ “austrofascismo” sovranista e popolare, e volto al successo elettorale, come unico antidoto, in mancanza di un sovranismo rivoluzionario e popolare comunista e di sinistra, al liberismo sfrenato e antioperaio dell’Ue e ad una politica estera autonoma dalla Nato e dunque di pace, noi possiamo constatare come la stessa base materiale data dal triplice fattore: “1) liberismo dell’Ue e sua subordinazione alla guerra Nato; 2)abbandono della lotta per la sovranità nazionale da parte delle forze di sinistra europee; 3) pratica neofascista del sovranismo”, sia quella dalla quale si sono sollevati e continuano paurosamente a crescere e svilupparsi i partiti di estrema destra e neofascisti europei.

In Italia, un centro-sinistra a conduzione Pd e totalmente succube e complice delle socialmente devastanti politiche di Bruxelles, oltreché della Nato, ha riconsegnato “senso” storico (e vasto potere elettorale e politico) ad un fronte di destra che non per niente, ingannando poi gli elettori, aveva iniziato la propria “escalation” politica attraverso una critica, seppur temperata, all’Ue (e persino alla Nato). Un fronte di destra italiano che, dal governo Meloni, sta costruendo giorno dopo giorno nel nostro Paese “un sistema guerra” segnato sia da un ingente spostamento di risorse verso la militarizzazione Nato sia dalla costruzione, passo dopo passo, di un regime autoritario e repressivo.

In Portogallo grande è stata l’ascesa del partito Chega (“Basta!”), di estrema destra e simpatie “salazariste”, che alle ultime elezioni parlamentari (10 marzo 2024) raggiunge il 19% dei voti e passa da 12 a 50 seggi, ciò in un contesto elettorale che ha visto la vittoria del centro-destra e la sconfitta del fronte di centro-sinistra guidato da un Partito Socialista Portoghese subordinato alle politiche dell’Ue (oltreché della Nato). Anche in questo caso, come in quello della vittoria degli “austrofascisti”, siamo di fronte ad una straordinaria avanzata di una forza fascista, Chega, di dichiarata natura “sovranista” e dai caratteri, se non conseguentemente anticapitalisti, apparentemente, e per ora, antiliberisti e anti-Maastricht.

In Ungheria, nelle ultime elezioni europee (2024), vi è stata la notevole sorpresa della crescita del partito di destra Tisza (Partito del Rispetto e della Libertà) guidato di Péter Magyar, che conquista il 29,6% dei consensi. Ciò di fronte ad una sostanziale tenuta del partito Fidesz, di Viktor Orbán, che tuttavia perde circa l’8% dei voti rispetto al 52% delle precedenti elezioni europee. Per una vittoria clamorosa di Tisza ed un arretramento del partito di Orbán, non è stata certamente estranea quella grave crisi economica ungherese indotta dalle politiche liberiste che l’Ue ha imposto anche all’Ungheria.

Anche in Romania, nelle ultime elezioni europee (che hanno visto la vittoria della coalizione governativa formata dal Partito Socialdemocratico e il Partito Nazionale Liberale, di centrodestra) vi è stata la grande avanzata del nuovo partito di estrema destra (Alleanza per l’unione dei romeni, Aur) che diviene, col suo 15%, il secondo partito della Romania. Ma un altro partito di estrema destra (S.O.S. Romania) ha registrato un significativo successo e la stampa romena ha fatto notare che i due partiti euroscettici, partecipanti per la prima volta alle elezioni europee, hanno superato, insieme, l’alleanza di governo, con il loro 22,5 %.

In Germania, nelle elezioni “regionali”, nei Länder della Turingia e della Sassonia dello scorso 2 settembre, la destra estrema che fa chiaro riferimento a Hitler (Alternative für Deutschland, Afd), stravince e a undici anni dalla sua fondazione, per la prima volta risulta nettamente essere il primo partito in un’elezione regionale, con verosimili possibilità di divenire anche il primo partito nelle prossime elezioni nazionali. Nei due Länder orientali un tedesco su tre ha votato Afd, mentre la coalizione “a semaforo” del governo federale (Partito Socialdemocratico, Partito Liberale Democratico e Verdi) è crollata. In Turingia, la vittoria dell’estrema destra, col suo 32,8%, è stata schiacciante quanto inquietante, e il distacco dalla Cdu è stato di 10 punti percentuali, mentre lontane e marginalizzate sono state le forze della coalizione “a semaforo”.

In Sassonia, pur perdendo per poco il confronto con la Cdu, l’Afd ha raccolto il 30,7% dei consensi. Terza forza politica, nei due Länder e con quasi il 12%, è risultato essere il partito di Sahra Wagenknecht (Bsw). Anche in Germania il quadro emerso appare di una chiarezza politica cristallina: una Germania sacrificata dalle forze di “centro-sinistra” e liberali sull’altare dell’Ue, degli Usa e della Nato, con l’economia tedesca pesantemente colpita dalle sanzioni alla Russia, condanna i suoi governanti e si rifugia nel suo passato più oscuro, ridando voce, una forte voce di massa, al nazismo. E anche la vittoria, sul fronte di sinistra, del Bsw di Sahra Wagenknecht ha il medesimo senso: è la cessione di sovranità nazionale che punisce le forze liberal-socialiste ed è la ricerca di una nuova autonomia tedesca che premia sia l’estrema destra che la sinistra di classe. E ha avuto buon gioco il leader di Afd, Björn Höcke, ad affermare: “Ora rivedrete la vecchia e grande Germania!”.

Francia: il secondo turno delle elezioni legislative dello scorso 7 luglio hanno visto, positivamente e inaspettatamente, la vittoria del Nuovo Fronte Popolare, la coalizione di sinistra con Jean-Luc Mélenchon quale leader più popolare, e l’arretramento del Rassemblement National di Marine Le Pen. Tuttavia, questo arretramento e la tenuta inaspettata del partito di Macron (Renaissance) sono stati ampiamente determinati dalla vastissima “desistenza” (un meccanismo elettorale attraverso il quale ben 218 candidati si sono ritirati, all’ultimo momento utile, dalla competizione elettorale per “far posto” ad avversari (di Le Pen) più spendibili elettoralmente e per favorire, dunque, un risultato volto ad evitare la vittoria della destra “lepenista”. La “desistenza” dei 218 deputati ha colto l’obiettivo di danneggiare fortemente il Rassemblement National (Unione della Destra) guidato da Marine Le Pen. La quale Le Pen (di vicinissima, temporalmente, “cultura” politica nettamente fascista e neocolonialista, con una specie di fiamma tricolore da Msi nel logo del partito) aveva ottenuto al primo turno delle legislative (30 giugno) 10 milioni e 648mila voti circa, il 33,21%, risultando essere il primo partito francese. Un primato caduto nel secondo turno anche in virtù di quel grande fenomeno della “desistenza” a cui abbiamo accennato. Una forza di destra e reazionaria, quella del Rassemblement National, battuta sì nelle ultime elezioni ma che non smette di essere centrale nel quadro politico francese e rimane ancora, con ogni probabilità e anche in virtù dell’eterogeneità politica e culturale del Nuovo Fronte Popolare, favorita per le prossime elezioni nazionali e per il prossimo futuro politico francese. Anche in Francia, questo è il punto, la cessione di sovranità in direzione dell’Ue e della Nato ha colpito le forze che hanno seguito pedissequamente le direttive liberiste e guerrafondaie di Bruxelles e di Washington e premia (sinistra del Nuovo Fronte Popolare e destra di Marine Le Pen) le coalizioni che, pur con molte contraddizioni e debolezze, le critiche all’Ue e alla Nato le hanno espresse, seppur in modi diversificati e pur essendo, per diversi soggetti interni alle due coalizioni, critiche destinate a spegnarsi. E ciò perché solo le forze comuniste e antimperialiste conseguenti, per la loro stessa, intima, natura ideologica, possono esprime una linea politica e di lotta conseguentemente liberatrice e sovranista (riconsegnando piena dignità e credibilità popolare a questo sostantivo nobile, ma attaccato dal potere mediatico occidentale/borghese e bruciato dalle destre fasciste).

In Olanda le ultime elezioni per il rinnovo della Tweede Kamer (la Camera Bassa del Paese) si sono tenute il 22 novembre del 2023. Tenutesi in anticipo rispetto alla naturale scadenza della legislatura (2025), esse sono state, appunto, anticipate per una crisi governativa (vi era una coalizione di governo tra il Partito Popolare per la Democrazia e la Libertà – liberali – e diverse altre forze minori: Democratici, Progressisti, Appello Cristiano-Democratico, Unione Cristiana, Calvinisti, per una coalizione che, per comodità e con un certo margine di improprietà, potremmo definire, anche in questo caso e senza forzature, di “centro-sinistra”). La crisi del governo olandese del 2023 avviene su di una questione che da troppo tempo confonde la sinistra europea e le stesse esperienze di centro-sinistra dell’Ue: la questione dell’immigrazione, sempre trattata, da queste forze, con scarsa razionalità sociale e storica, con scarsissima attenzione agli interessi popolari del Paese accogliente e con altrettanta scarsissima e concreta attenzione agli interessi degli immigrati. Resta il fatto che sulla questione dell’immigrazione, nel 2023, cade il governo di “centro-sinistra” olandese e le elezioni anticipate sono vinte da una forza di estrema destra dal carattere chiaramente fascista: il Partito per la Libertà (Pvv) guidato da Geert Wilders, che ottenendo circa il 24% dei voti diviene la prima forza politica olandese. Le forze politiche sconfitte riescono comunque a formare un altro governo, (di centro-centro sinistra, diciamo rozzamente) eleggendone di nuovo a capo (2 luglio 2024) e significativamente, cioè a conferma della loro subalternità all’Ue e alla Nato, quel Mark Rutte che era già in odore di Segreteria Nato e che difatti è stato eletto nuovo segretario generale della Nato il 1° ottobre 2024.

Di grandissimo interesse strategico è, per noi, l’esperienza politico-elettorale dell’ultima fase in Polonia, che entra nell’Ue il 1° maggio 2004 tramite il sostegno all’operazione dell’allora presidente della Repubblica Aleksander Kwaśniewski (postcomunista) e del governo di “centro-sinistra” guidato da Leszek Miller, con l’unica opposizione all’entrata nell’Ue del partito “sovranista” e “populista” di destra, la Lega delle famiglie polacche. Essendo impossibile e poco raccomandabile, in questo spazio, ripercorrere tutto il lungo e accidentato percorso politico-elettorale polacco successivo al governo Miller del 2004, attraverso il quale la Polonia è trascinata nell’inferno economico dell’Ue e in quello militare della Nato, ci limitiamo a ricordare che, proprio in virtù del disgraziato impatto con le politiche liberiste dell’Ue, la Polonia e il suo popolo prendono la strada che porta ad una lunga egemonia del partito di estrema destra (conservatore ed ultraclericale) Diritto e Giustizia (PiS), fondato nel marzo del 2001 dai gemelli Lech e Jaroslaw Kazyńsky, una forza politica, e poi governativa, che pur essendo stata sempre ligia ai voleri antirussi della Nato, non altrettanto osservante è stata rispetto ai diktat iperliberisti di Bruxelles. Tuttavia, il fatto che la lunga egemonia di destra dei gemelli Kazyńsky, seppur critica verso l’Ue, sia stata però segnata da politiche interne polacche particolarmente reazionarie, persino dittatoriali, con inquietanti derive di clericalismo da Inquisizione, da corruzione politica profonda e da politiche sociali antipopolari (oltre la subordinazione alla Nato) ci dice qualcosa di importante, che abbiamo già accennato e ribadiamo: solo i comunisti e le forze antimperialiste e rivoluzionarie possono, per la vera difesa degli interessi popolari, conciliare, unire la lotta per la sovranità nazionale (fuori dall’Ue e dall’Euro) e la lotta per gli interessi della pace (fuori dalla Nato). I fascisti, anche quando si dichiarano “sovranisti” e con questa linea vincono le elezioni, non possono garantire, per la loro consustanzialità ideologica oggettiva agli interessi dell’imperialismo e del grande capitale, garantire né sovranità, né pace, né giustizia sociale. Nelle ultime elezioni in Polonia (17 ottobre 2023) la destra ormai quasi storica guidata dal PiS, che ha governato anche per tutti gli ultimi 8 anni la Polonia, è crollata sotto il peso della propria corruzione, della propria cultura clerical-reazionaria, sotto il doppio peso della propria subordinazione alla Nato e della sua politica antisociale. La vittoria è andata all’opposizione liberare, europeista e filo-Nato polacca e non per niente, sul nuovo governo europeista appena insediatosi e sul suo nuovo capo di governo, Donald Tusk – già primo ministro dal 2007 al 2014 e presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019 – così si espressa Ursula von der Leyen: “La sua esperienza e il suo forte impegno nei confronti dei valori europei saranno preziosi per forgiare un’Europa più forte, a beneficio del popolo polacco. Non vedo l’ora di lavorare con lei…”. Una dichiarazione, da parte della presidente della Commissione europea, che trova una comprensibile giustificazione, visti i numerosi conflitti con il precedente governo polacco e il conseguente blocco dei consistenti finanziamenti, da parte dell’Ue, previsti per la Polonia.

Pochissimo discussa, in Italia, è la situazione in Belgio, ove tuttavia, e certo in grandi linee, si ripete il quadro politico che sta divenendo “liturgico” in tanta parte dell’Ue. La cosiddetta “coalizione governativa Vivaldi” (di nuovo: di “centro-sinistra”) presieduta dal premier liberale Alexandre de Croo e formata da Liberali, Riformisti, Cristiano Democratici, dal Partito Socialista e dai Verdi, è elettoralmente crollata nelle elezioni congiunte (nazionali ed europee) del giugno 2024 (forti le sconfitte dei socialisti e dei Verdi) e de Croo ha consegnato le dimissioni nelle mani del re belga Filippo. Vincitori delle elezioni sono state due formazioni di destra: Nuova Alleanza Fiamminga (N-Va, quasi il 14% dei voti) e, all’estrema destra, il Movimento Vlaams Belang, costituitosi nel novembre del 2004 e giunto, ora, quasi al 15% dei consensi.

In Spagna, siamo di fronte all’estrema destra franchista e monarchica del partito Vox di Santiago Abascal, grande amico di Giorgia Meloni, la quale, proprio ad un congresso di Vox e a fianco di Abascal, “recitò” la penosa, imbarazzante e ormai famosa tiritera “Io sono Giorgia, sono una madre, sono italiana, sono cristiana…”. Vox è un partito fondato nel 2013, fortemente strutturato (63mila iscritti), radicato nei territori e largamente finanziato dalla Fondazione Nazionale “Francisco Franco” e dal movimento dei mujaheddin del popolo iraniano oppositori del governo iraniano (quanto è, apparentemente, strana la storia: mentre gli Usa, il mondo imperialista e il fascismo israeliano si muovono come belve feroci per distruggere l’Iran, una forza interna all’Iran, di stampo laico, socialdemocratico, già “benedetta” da Obama e d’opposizione al governo di Teheran, finanzia la destra estrema franchista spagnola…). La crescita elettorale di Vox (anche in questo caso con argomenti “sovranisti”) è stata rapida ed impetuosa: dai primi responsi elettorali attorno all’1%, nel dicembre del 2018, alle elezioni regionali in Andalusia raggiunge circa l’11% e alla prima prova elettorale nazionale (aprile 2019) il 10,26%, con 24 deputati al parlamento spagnolo; alle elezioni europee del 2019 ottiene quasi il 7% conquistando 4 seggi all’europarlamento. Alle nuove elezioni nazionali del novembre 2019 ottiene il 15,09% e 52 seggi. Alle elezioni generali del luglio 2023 scende a circa il 13%, ma alle ultime europee (2024) sale quasi al 10% conquistando ben 6 europarlamentari. Va considerato che non è affatto casuale che, mentre Vox accusa una flessione elettorale sul piano nazionale, cresce invece al parlamento europeo, cioè sul terreno di quella lotta antiliberista contro l’Ue abbandonata dal Partito Socialista Spagnolo e dalle coalizioni di “centro-sinistra” iberiche. La stessa flessione elettorale di Vox sul piano elettorale nazionale non può creare illusioni sul fronte antifranchista e antifascista, poiché forte rimane il grado di militanza del partito Vox, come vasta e significativa, ad esempio, è la presenza dei deputati Vox nei Parlamenti delle Comunità Autonome spagnole: 144 deputati su 1.268.

In Finlandia, lo scorso 20 giugno 2023, si è insediato il governo più a destra della storia finlandese. Presieduto dal conservatore Petteri Orpo, il nuovo governo è formato dall’estrema destra nazifascista Perussuomalaiset (Veri Finlandesi), dai Conservatori di Orpo, dai “sovranisti” di Riikka Purra, dai “democristiani” finlandesi e dal Partito della minoranza svedese, conservatore e reazionario. Incassata la fiducia del parlamento (107 a favore su 200 deputati) il governo di Orpo ha iniziato sin da subito a dar corpo al proprio programma: riduzione di 6 miliardi sulla spesa pubblica, con forti tagli alla sanità pubblica (con aumenti delle tariffe sanitarie) e alla scuola; 1,5 miliardi di tagli alle pensioni; drastica riduzione all’indennità di sussistenza; duro attacco alle condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici (forte limitazione al diritto di sciopero, non retribuzione del primo giorno di malattia, allargamento dei contratti a tempo determinato, indebolimento significativo della tutela dei licenziamenti); duro attacco alle condizioni di vita degli immigrati e politica antiambientalista.

Dunque, prende sempre più consistenza, a partire dallo stato reale delle cose, il fatto che la borghesia europea stia affidando le proprie fortune al neofascismo… L’estrema destra dei Veri Finlandesi guiderà, con la propria leader Purra, il ministero delle Finanze e altri esponenti dei Veri Finlandesi quello degli Interni e dell’Economia. Una vasta polemica, in Finlandia, si è levata a proposito dell’assegnamento del ministero dell’Economia ad un esponente di punta dei Veri Finlandesi, Vilhelm Junnila, dopo che si era diffusa una foto dello stesso Junilla scattata ad un raduno neonazista del 2019. Ciò che colpisce, e ha molto contribuito alla vittoria delle destre e soprattutto del neofascismo dei Veri Finlandesi e alla sconfitta dei socialdemocratici finlandesi e della stessa coalizione governativa di “centro-sinistra” guidata dalla presidente del Partito Socialdemocratico e “ministro capo” del governo di Finlandia Sanna Mirella Marin (coalizione governativa che è stata in carica sino 5 aprile 2023) è stato sicuramente il fatto che è stata la stessa leder socialdemocratica e capo di governo, Marin, a guidare tenacemente l’entrata della Finlandia nella Nato, il 4 aprile del 2023, suscitando la critica e il distacco anche elettorale di tanta parte del popolo “di sinistra” finlandese, storicamente “neutrale”. Scelta drammatica di entrata nella Nato (che rafforza e fornisce ancor più aggressività, sul mar glaciale Artico, al fronte militare imperialista antirusso collocato, e in continua azione provocatoria, ai confini russi del Nord d’Europa) che, assommata alle politiche liberiste e antirusse dettate ad Helsinki da Bruxelles (la Finlandia è nell’Ue dal 1995) hanno palesemente indebolito i rapporti storici della sinistra finlandese con il proprio popolo, spianando la strada alla vittoria delle destre e dei fascisti.

Le stesse, per molti versi sorprendenti, buonissime affermazioni, alle elezioni europee del 2024, delle sinistre avanzate in Danimarca (col Partito Popolare Socialista al 17,4%, dato col quale ha superato i socialdemocratici, crollati al 15,6%); in Finlandia (Alleanza di Sinistra, tra i cui fondatori c’è anche il Partito Comunista di Finlandia, al 17,3%); e in Svezia (Partito di Sinistra quasi all’11%), hanno chiaramente dimostrato che le politiche subordinate all’Ue e alla Nato, oltreché favorire un inquietante rigurgito fascista, possono anche produrre una critica popolare alle socialdemocrazie e ai governi della sinistra moderata e liberista, una critica che se messa a valore da partiti comunisti, di classe e di lotta può anche organizzare un consenso elettorale di massa. Peraltro, la grande avanzata delle destre reazionarie e neofasciste ha cambiato strutturalmente e a mano a mano, l’intero Parlamento europeo. Al di là dei processi di riorganizzazione attualmente in corso, tra Bruxelles e Strasburgo, in seno al Parlamento europeo, con la continua scomposizione e ricomposizione dei Gruppi parlamentari, nell’ultimo quarto di secolo le forze “euroscettiche” e di destra radicale sono cresciute in maniera costante: da circa l’8% dei seggi nel Parlamento europeo del 1999, esse raggiungono ora il 26% della nuova Eurocamera. E significantemente, sia sul piano storico che politico, in modo speculare alla crescita della destra si registrano i cali, vistosi, sia del Partito Popolare europeo, che passa, negli ultimi 25 anni, dal 37% al 26% dei seggi, che quello dei Socialisti, che nel 1994 erano il primo gruppo con il 35% dei seggi, ed oggi si sono quasi dimezzati, crollando al 19% circa. Non andiamo avanti nella rassegna, che potrebbe continuare, delle forze di destra e fasciste riesumate nell’area Ue dai cedimenti e dai veri e propri tradimenti politici e valoriali verso le classi e i popoli perpetrati dalle socialdemocrazie e dalle forze della “sinistra” liberale, liberista e filo-Nato europea. Mettiamo a fuoco, piuttosto, la “morale” politica e l’insegnamento generale che proviene dalla grande espansione neofascista e reazionaria sull’intero quadrante europeo come conseguenza del tradimento delle socialdemocrazie e delle “sinistre” liberali e liberiste, come il Pd in Italia: esse lasciano un vuoto politico immenso, determinano uno spostamento popolare di massa verso “lidi oscuri”. Tutto ciò, e non è poco, assieme alla crisi sistemica e irreversibile della struttura stessa dell’Ue e alla sua complicità subordinata e vigliacca nell’offrirsi, come “utile idiota”, ai progetti di terza guerra mondiale oggi così tenacemente perseguiti dagli Usa e dalla Nato nella guerra contro la Russia e dal fascismo di Israele nel genocidio di Gaza e negli attacchi infami che va scatenando in Libano, riconsegna un grande compito ai comunisti e alle forze antimperialiste: rimettere in campo forze, partiti comunisti e rivoluzionari su scala continentale, obiettivo che richiede anche la costruzione di un movimento comunista sovranazionale, unito su scala europea e capace di far fronte alla già avvenuta e nefasta, per i popoli, unità sovranazionale del grande capitale transnazionale europeo. In Italia, l’obiettivo di ricostruire una forza comunista in grado di colmare i vuoti e riprendere la lotta rivoluzionaria nel contesto dato e, seppur sinteticamente, delineato, il Movimento per la Rinascita Comunista (che già in sé è un importante prodotto comunista unitario) lo sta tenacemente perseguendo. E non da solo, ma assieme ad altre forze comuniste e rivoluzionarie del nostro Paese: Resistenza Popolare, Patria Socialista, Costituente Comunista. Se altri soggetti comunisti, organizzati o meno, operai, lavoratori, intellettuali, donne, studenti, giovani volessero intraprende questo stesso cammino rivoluzionario e unitario, noi spalanchiamo le nostre porte!

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