di Francesco Galofaro*
Il nuovo film di Francis Ford Coppola non delude l’occhio: inquadrature studiate e originali che dialogano con una costruzione impeccabile della scena, fotografia patinata, costumi scintillanti, attori bravi e molto in forma. Grazie al consueto citazionismo, ogni film di Coppola è un’epitome del cinema.
Se mi fermassi qui, il mio giudizio non verterebbe tanto sul film, quanto sull’industria culturale americana e su quanto essa sia tecnicamente all’avanguardia. Mi sia concesso, invece, di fare un po’ di critica zdanoviana e di entrare nel merito dell’ideologia espressa da questa favola patinata.
Coppola ha lavorato per quarant’anni all’idea di un film distopico, che sottolinei i rischi legati alla crisi della democrazia e mostri le cause dell’ascesa del fascismo. Gli Usa di Coppola sono una potenza ormai priva di nemici esterni; rischiano il tracollo a causa dei conflitti interni all’oligarchia al potere, divisa in fazioni e priva di scrupoli morali.
Per mettere in scena tutto ciò, Coppola traveste la New York contemporanea sotto le spoglie della tarda repubblica romana, interpretata attraverso la truculenza di Shakespeare e il moralismo voyeurista di Svetonio, ma visivamente più simili al Caesars Palace di Las Vegas che al foro romano. La upper crust newyorkese si diverte a travestirsi da patriziato romano, nobilitando in tal modo l’impero americano, privo di storia e povero di tradizioni autoctone, come accadeva nei colossal in costume degli anni ’50.
Nelle intenzioni, dunque, si tratta di un film antifascista. Clodio è un populista alla Donald Trump (ex compagno di classe di Coppola) che al termine del film viene appeso per i piedi. Trionfa “Cesare Catilina”, architetto, e la sua visione del futuro della città, grazie all’appoggio di un banchiere (Crasso) e del sindaco conservatore (Cicerone).
Quale sia la visione del futuro incarnata da “Cesare Catilina”, che salverà la repubblica dal fascismo, è presto detto: costruire la città in cui la soddisfazione di qualunque bisogno è a cinque minuti di distanza, una grande utopia architettonica hipster che in realtà rimuove, e non risolve, il problema delle differenze sociali. La sua realizzazione comporterà in parte lo sventramento dei quartieri popolari, gettando in mezzo a una strada i poveri e i disperati; in parte si approfitta della caduta di un vecchio satellite sovietico fuori uso, che rade al suolo molto opportunamente una parte della città. La massa di diseredati e senza tetto cade presto vittima del populismo di Clodio, ed è rappresentata come una torma di miserabili subumani che, purtroppo per i potenti, hanno il diritto di voto. Il film non fa alcuno sforzo per rendere il loro punto di vista. Oltre che delle case, il film espropria anche della voce le vittime sacrificali della modernizzazione capitalista.
Alla fine, dunque, il fascismo di Clodio è battuto da un’alleanza interna all’oligarchia liberal-conservatrice che, in tal modo, evita di autodistruggersi in preda ai propri regolamenti di conti. A questo punto, però, la salvezza della repubblica non sembra avere molto a che fare né con la democrazia, né con la salute del popolo, anzi: chi lo pensa è un fascista. Mi sembra una conclusione quasi scontata in un Paese che rimuove sistematicamente la lotta di classe dalla propria visione del mondo. La storia che ci viene proposta e la sua manichea individuazione del bene e del male fanno rimpiangere Cosmopolis di Don DeLillo e David Cronenberg, di ben altro spessore quanto a lucidità della critica del capitalismo finanziario contemporaneo.
Un tratto del film tradisce sintomaticamente il modo di pensare dell’oligarchia al potere. Il protagonista, “Cesare Catilina”, è vittima di un tentato omicidio da parte di uno scagnozzo del populista Clodio. Tralasciando il giudizio sulla verosimiglianza storica – in fondo il film è dichiaratamente una favola – resta il fatto che l’opera prende le parti di Cesare contro il tirannicidio. La storiografia, in passato, ha esaltato Cesare per giustificare ideologicamente l’uomo forte di turno: il kaiser Guglielmo, Mussolini, Hitler. La riabilitazione dei tirannicidi segnava, al contrario, il prevalere di istituzioni democratiche. Allo stesso modo, nel denunciare i rischi del populismo, il film prende le parti di una squallida oligarchia decadente composta da banchieri, liberi professionisti, politici conservatori e della sua dubbia capacità di progettare a tavolino un domani migliore.
La storia è in qualche modo pervasa da un moralismo ostentatamente ipocrita, funzionale a mostrare ragazzine scollacciate in atteggiamenti saffici. Cesare, che alla fine trionfa, è nevrotico alcolizzato e cocainomane; sua moglie Giulia, che termina il film nel ruolo della madre amorevole, al principio è una decadente dissipata, protagonista delle cronache mondane e fonte di imbarazzo per l’amorevole padre-sindaco (Cicerone). Personalmente, durante la proiezione speravo che il satellite sovietico sterminasse tutti, belli e brutti, ma così non è: nonostante le aspettative, i “buoni” prevalgono con l’aiuto del banchiere Crasso, rappresentante di un capitalismo che funziona nonostante i difetti perché, per così dire, premia l’innovazione, mentre il dissipato ereditiere parassita Clodio e la plebea arrampicatrice sociale Wow Platinum vengono puniti.
Nel film si possono leggere alcuni grandi traumi della New York del passato recente. Non tanto lo Studio 54 e l’atmosfera licenziosa degli anni ’70, quanto, piuttosto, la distruzione del quartiere di Radio Row e la deportazione forzata dei suoi residenti per costruire il World Trade Center, voluto da Nelson e David Rockefeller; la sua distruzione ad opera di nemici dell’America; Ground Zero; la ricostruzione. Al riguardo, Il film è pervaso da un’ironia involontaria: se il debosciato populista Clodio è un alter ego satirico di Donald Trump, il modello del progressismo incarnato da “Cesare Catilina” resta comunque quello di un palazzinaro (come il Trump degli anni ’80), il cui scopo è sventrare l’orribile bantustan dei miserabili del presente per lasciar spazio ai quartieri confortevoli e dorati dei benestanti del futuro.
*Università Iulm di Milano
Immagine: fotogramma trailer Megalopolis
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