di Fosco Giannini
Una risposta graffiante agli insulti gratuiti provenienti da quello che sarebbe il vicepresidente del Consiglio, che continuamente oltraggia i principi della democrazia e i valori della Costituzione, con una riflessione sul suo retroterra “ideologico” e una proposta concreta per chiedere le dimissioni di un inutile, dannoso e grottesco “personaggio” della politica italiana.
Mi piacerebbe incontrare Salvini (sì, proprio lui, il fascista, Salvini). Mi piacerebbe, ma tanto, incontralo in un carrugio di Genova, in via del Campo, nelle prime luci dell’alba, dopo il ritiro anche delle ultime prostitute, e ciò per evitare che la tortuosa morale di Salvini si trasformi in un’attrazione fatale verso una trans brasiliana – sapete com’è: più una riprovazione moralista è violenta e reiterata, più essa può essere il segno di un’attrazione potente e da esorcizzare, col tabù o col crocifisso, strumenti che il ministro (ministro?) Salvini ha sempre a portata di mano. Mi piacerebbe davvero incontralo in via del Campo, o in via Pre, o anche, alle stesse ore livide e prive di presenze umane che precedono il giorno, nei vicoli di Roma, per poterci parlare, chiedergli quali disturbi, quali incontrollabili grumi psicologici non ancora risolti, non affrontati lo attraversino (ma un bravo psicologo, no? Uno psichiatra valente, proprio non lo trova?), che cosa, ogni giorno, tra una nave di migranti che viene e che va dall’Albania, gli esploda dentro, riempendolo d’ira, violenza, sino a segnargli il viso di spasmi aggressivi, sino a trasformare il proprio incedere in un passo dell’oca (specie durante le interviste televisive il suo è un nevrotico incedere: studiato nel salone di casa?), sino a trasformarlo in un qualcosa che riecheggia Mussolini (a quando le mani sui fianchi e le gambe che si flettono, per evocare potenza, la classica, impotente, potenza?). Era già altamente grottesco il duce e l’evocazione milanese che ne fa Salvini richiederebbe il neurologo. Qualcuno ricorda le felpe dei carabinieri, della polizia, della finanza, dell’aviazione, della marina, dei pompieri? È probabile che Salvini abbia in testa, più o meno consapevolmente, come un piccolo tarlo, come un verme della fame del potere, un’occupazione dello Stato anche per via militare e l’attuale impossibilità di poter mettere in pratica tale progetto si trasformi in lui in un’ulteriore frustrazione e, dunque, in nuova prepotenza e violenza. E a proposito delle sfilate di moda a carattere militare messe in scena da Salvini: chi scrive, da Senatore della Repubblica, ha svolto il ruolo di capogruppo in commissione difesa, al Senato, costruendo rapporti istituzionali con alcuni generali, alti ufficiali ma, soprattutto, con tanti agenti, lavoratori della Difesa e delle Armi. Bene, posso assicurare ai miei venticinque lettori che la più vasta area del sarcasmo e dell’irrisione, rispetto alle sfilate di moda militari di Salvini, è presente tra i militari stessi.
Mi piacerebbe, dunque, incontrare Salvini. Naturalmente, per garantirmi il politically correct, io andrei con le mani legate dietro la schiena, per evitare che mi assalisse la pulsione a prenderlo a schiaffi (che, ne sono certo, turba centinaia di migliaia di italiani). Peraltro, il mio maestro di boxe (come la mia mamma) sempre mi ammonivano dicendo che “le mani vanno tenute in tasca e che solo sul ring si tirano fuori!”. E finché non ci sarà un consensuale, legalizzato, istituzionale e democratico ring sul quale io e Salvini potremmo salire, le mani sempre in tasca.
Vorrei incontrare Salvini ovunque e in qualsiasi ora del giorno, ma preferibilmente in qualche vicolo metropolitano e all’alba, nelle condizioni che ci potessero permettere totale franchezza, per chiedergli se davvero non provi vergogna a definire i giovani, tutti i giovani dei centri sociali, i ragazzi del movimento studentesco, “zecche rosse, delinquenti comunisti da spedire in galera”, chiedendo la chiusura di tutti i centri sociali, in un’operazione che potrebbe essere un’anticipazione di quel “golpe” che, assieme al suo amico/nemico Vannacci, forse sogna e per il quale si veste, di volta in volta, da carabiniere, soldato, poliziotto e di questo passo da Napoleone con la mano sinistra infilata nel panciotto.
Quanto, il potere, cambia alcuni dirigenti (soprattutto quelli senza principi, senza ideali, senza morale, ne abbiamo di esempi, anche tra ex comunisti passati recentemente in altri ed oscuri lidi politici)! Salvini, da ragazzo, non solo era della “sinistra leghista”, ma era un frequentatore del centro sociale “Leoncavallo” di Milano e rimane “agli atti” una sua celebre difesa dello stesso “Leoncavallo”: “Che cosa volete? — dichiarava l’allora zecca rossa Salvini – “Nei centri sociali ci si trova per discutere, confrontarsi, bere una birra e divertirsi”. E asseriva ciò, mentre era già consigliere comunale di Milano per la Lega.
Il punto è che ora, Salvini, come un modesto e imbolsito cane da tartufo politico, crede di sentire nell’aria una puzza crescente di fascismo e, dunque, all’ipotetico popolo fascista insorgente si rivolge, condannando senza pietà, con gratuita crudeltà mentale e piena inclinazione dittatoriale, opportunista ed elettorale, i ragazzi che hanno contestato, lo scorso sabato 9 novembre, il corteo di CasaPound alla stazione di Bologna, non spendendo, peraltro, nessuna parola – assolvendoli, dunque, ed anzi schierandosi con loro- sui nazifascisti.
Ma come è andata a Bologna, sabato 9 novembre? È andata che CasaPound ha chiesto l’autorizzazione a sfilare in corteo da via Gramsci sino a piazza XX Settembre, passando per quella stazione di Bologna nella quale, alle 10.25 del 2 agosto del 1980, un’esplosione causò 85 morti e oltre 200 feriti, un’esplosione che si presentò come il più grande e violento attentato terroristico di tutto il Secondo dopoguerra italiano e il punto più alto di tutta quella strategia golpista della tensione che da anni si andava organizzando all’interno delle stesse basi Usa-Nato italiane e in combutta con parti significative dei servizi segreti italiani; un’esplosione minutamente organizzata dai neofascisti dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) Luigi Ciavardini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini e voluta, concepita e finanziata dai golpisti Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto d’Amato e Mario Tedeschi.
È andata che la Prefettura di Bologna (con il probabilissimo consenso, grave e provocatorio, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e dell’intero governo Meloni) abbia concesso a Casa Pound l’autorizzazione a sfilare a Bologna e alla stazione di Bologna, ad organizzare, cioè, la più aggressiva provocazione politica fascista possibile in un cuore urbano già violentato dal sanguinoso e golpista attentato voluto dall’asse neofascismo-Stato-P2.
È andata che circa 300 camicie nere si sono date impunemente appuntamento a Bologna per commemorare, oggettivamente e soggettivamente, cioè consapevolmente, la stessa strage del 2 agosto 1980 organizzata dai loro predecessori neri e che il ministro dell’Interno, e le forze dell’ordine, abbiano assistito in silenzio e senza reazione alcuna il realizzarsi di questo appuntamento.
È andata che già durante l’inizio del percorso, e durante tutto il procedere, tra le vie del centro di Bologna, del corteo nazifascista detto “Rete dei Patrioti” (così vorrebbero chiamarsi gli eredi della svendita dell’Italia al Terzo Reich, alla Germania nazista, a Hitler) i cittadini (non le zecche rosse) abbiano iniziato a lanciare dalle finestre aperte delle case, contro i seguaci di Mussolini e Hitler, petardi e liquidi vari. Chi erano? Presumibilmente, molto presumibilmente, lavoratori, operai, artigiani, insegnati, donne e uomini antifascisti, popolo antifascista bolognese. Non creda, dunque, Salvini che l’intera Italia sia già un popolo fascista insorgente. Fascisti (vestiti da scarafaggi neri rasati o in doppio petto) saranno quelli di “piazza e di governo”, come c’era scritto sui cartelli dei giovani antifascisti di Bologna, non il popolo italiano.
È andata che, intanto, i cortei dei collettivi studenteschi, degli anarchici e dei centri sociali si siano diretti verso lo spazio cittadino occupato dalle trecento camicie nere provenienti (senza controllo e ostacolo alcuno) da fuori Bologna, da zone italiane anche lontane, e vi siano stati scontri iniziali tra i due cortei – CasaPound e giovani bolognesi antifascisti – dalle parti del ponte della stazione ferroviaria.
È andata che i nazifascisti si siano (come sempre) “ritirati”, protetti dalle forze dell’ordine, sul Pincio di Bologna, famosa area nei pressi della stazione, ed è andata che i giovani abbiano tentato di salire la grande scalinata che porta al Pincio, non per attaccare – come oggi urlano tutti servi e i leccaculo del governo Meloni – le forze dell’ordine, ma per cacciare i fascisti da Bologna, Città Partigiana, medaglia d’Oro, 1946, al Valor Militare nella guerra di Liberazione.
Ed è accaduto che nel tentativo di salire la scalinata del Pincio per cacciare i trecento fascisti di CasaPound, i giovani abbiano trovato l’opposizione delle forze dell’ordine e con esse si siano scontrate.
Chi scrive è un comunista e poco c’entra con i centri sociali, gli anarchici e, purtroppo per l’età, con i movimenti studenteschi. Ma se chi scrive fosse stato alla stazione di Bologna sabato 9 novembre avrebbe anch’egli, assieme ai giovani, salito la scalinata che porta al Pincio per cacciare i fascisti dalla Citta Partigiana.
CasaPound: che cos’è? Nomen omen, nel nome le cose: Ezra Pound (1885-1972) è stato un poeta americano il quale, vivendo a lungo a Roma, negli anni Trenta e Quaranta, espresse ammirazione sconfinata e pieno appoggio al fascismo e al nazismo, a Mussolini e a Hitler, un appoggio totale che, “coerentemente”, durò sino alla caduta della Repubblica Sociale Italiana. CasaPound nasce nel 2003, si caratterizza immediatamente per una natura ideologica e politica nazifascista, per una forte organizzazione squadrista composta da picchiatori che avrebbero poi, in ogni dove, in ogni manifestazione, in ogni agguato di stampo squadrista confermato questa loro natura alla Farinacci, alla Amerigo Dumini, il capo della squadraccia nera che assassinò Giacomo Matteotti. CasaPound è anche tristemente famosa per la larga impunità che ha sempre goduto e dall’appoggio, ostentato o meno, da parte non solo della destra estrema, ma anche della destra “istituzionale”, del centro-destra, dei “berluscones”, godendo persino dell’accidia, dell’inerzia, delle giunte di centro-sinistra di Roma. E asseriamo questo anche in virtù del fatto, inconcepibile in un Paese dalla Costituzione antifascista, che Casa Pound abbia violentemente occupato, nel 2003, anno della propria nascita, il grande edificio del Demanio al civico 8 di via Napoleone III a Roma, nei pressi della stazione Termini (senza mai pagare un soldo, né per l’affitto né per le bollette, allo Stato, che già avanza, avanzerebbe, da CasaPound, circa 5 milioni di euro, edificio dove peraltro abitano, abusivamente, anche i dirigenti nazionali di CasaPound), ricordando che nel 2023 gli stessi militanti dell’organizzazione nazifascista abbiano esposto, dalle finestre del palazzo occupato, due grandi e provocatori striscioni con la dicitura “Vent’anni di occupazione a testa alta!”.
Durante l’occupazione, lo scorso sabato 9 novembre, di Bologna, da parte delle trecento camicie nere, le televisioni, i servizi fotografici hanno immortalato un dirigente di CasaPound che chiedeva ad un funzionario della polizia, con un piglio da capo, come se desse un ordine, di far abbassare gli scudi e far passare il battaglione fascista, diretto verso il Pincio. E gli scudi sono stati abbassati, il battaglione (Azov?) è passato. Tant’è che la segreteria nazionale del Silp Cgil è poi così intervenuta: “Condanniamo con fermezza la violenza, indipendentemente dalla sua origine. Tuttavia, riteniamo inaccettabile quanto abbiamo potuto osservare in alcune immagini che mostrano uno dei leader di estrema destra dare ordini ai funzionari responsabili dell’ordine pubblico”.
Tornando a Salvini: non solo, dopo aver in modo abominevole fatto uscire dalla sua bocca, assieme al proprio letame ideologico interno, le parole dall’inconfondibile lezzo nazista “zecche rosse e delinquenti comunisti” (davvero così diverse, nella loro essenza ideologica reazionaria, dalla “ratifica” nazista – volta a legittimare l’Operazione Barbarossa, cioè l’occupazione militare dell’Unione Sovietica – “dell’inferiorità del popolo russo giudaico-comunista”? Così diverse, a partire dal razzismo oggettivo di Salvini, dalle concezioni hitleriane “dell’indesiderabilità delle razze inferiori” e dell’apologia dell’arianesimo?). Non solo, dunque, “zecche rosse e delinquenti comunisti, tutti in galera”, ma anche occhi chiusi, da parte del vicepresidente del Consiglio, sia sull’occupazione di Bologna da parte delle trecento camicie nere che sull’obbedienza di un funzionario della polizia agli ordini di un capo fascista.
Ma, d’altra parte, chi è Salvini? Va intanto notato come il suo linguaggio sia lo stesso, cinico e volgare, di quello del leader del partito neonazista Alternative für Deutschland (Aft)Tino Chrupalla, del leader del partito fascista spagnolo Vox, Santiago Abascal Conde, del leader del partito austrofascista FPÖ Christian Strache: linguaggi “politici”, nella loro aggressività squadrista, esattamente sovrapponibili, come se a produrne la cifra semantica vi fosse a monte (c’è) lo stesso apparato ideologico neofascista. Ma poi: Salvini non è il leader di un partito, la Lega, che ha pensato, durante la fase Miglio, e non solo, di prendere armi dalla Croazia fascista per avviare la separazione armata dell’Italia del nord da quella del sud? Non è il partito che ora prosegue, attraverso l’autonomia differenziata, il proprio progetto di divisione dell’Italia? Non è lo stesso Salvini che – in una certa fase politica della Lega, quando il partito di Bossi pensava totalmente e veramente alla “Padania” come Paese in sé, concependolo anche come Paese dotato di un proprio, peculiare, plurale sistema partitico – venne indicato da Bossi quale segretario del Partito comunista della Padania e come tale candidato ad una tornata elettorale? Sì, era la “zecca” Salvini di allora. Non è il dirigente politico e alto esponente di governo che propone la castrazione chimica e a volte evoca, in modo non tanto mascherato, il ritorno della pena di morte, tornando alla fase precedente ai “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, 1764? Non è il maggior nemico, il maggior fustigatore, a partire dalla sciocchezza della “difesa dei confini”, della “razza degli immigrati” e ciò ben al di là di ogni progetto di razionalizzazione del fenomeno dell’immigrazione, ma collocando tale fenomeno storico in un ambito oscuro, in una violenza risolutrice da “cuore di tenebra”? Non è, Salvini, il leader di quel partito, la Lega, che finge di essere contrario all’invio delle armi al regime fascista e filoamericano di Zelenskj, in Ucraina, e poi vota tutti i “pacchetti” militari del governo Meloni, per una spesa totale italiana per Kiev, con risorse sottratte soprattutto al lavoro e alla sanità pubblica, di circa 800 milioni di euro, bruciati sull’altare ucraino anche da Salvini? Non è, questo reazionario consapevole, la testa d’ariete dell’attacco alla Magistratura, attacco che si indirizza non tanto e non solo contro un magistrato o l’altro, ma contro la concezione liberale stessa, alla Montesquieu, della separazione dei poteri, in una visione (della quale il premierato è il primo tassello) di un potere dittatoriale borghese, antidemocratico e antioperaio? Non è, il leader della Lega, colui che, da Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha duramente condannato il recente sciopero dei lavoratori (proclamato sia per il salario e la riorganizzazione dei Trasporti che, specie nel meridione d’Italia, sono del 1800), stigmatizzando la Cgil e i sindacati e la stessa lotta dei ferrovieri, anche minacciando che questo sciopero “deve essere l’ultimo”? Non è, Salvini, l’uomo del Ponte sullo Stretto e della totale rimozione della tragica situazione delle linee ferroviarie calabresi e di gran parte del sud d’Italia?
Ecco perché mi piacerebbe tanto parlare a quattr’occhi con Salvini, certo, come ammonivano il mio maestro di boxe e la mia mamma, “con le mani in tasca, perché si mena solo sul ring”. Certo, per carità, mani sempre in tasca, anche se “zecche rosse e comunisti delinquenti” non sono rospi che si buttano giù facilmente. La metto così, se mai Salvini mi leggesse: il già senatore della Repubblica Fosco Giannini ti invita a fare due chiacchiere. Pacifiche. Vieni? Ma i leghisti e i fascisti, se invitati da soli, non vengono mai. Vengono solo se organizzati in squadracce. E lo dico sulla base di un’esperienza vissuta. Il 25 ottobre del 2007, nell’Aula del Senato, svolsi un intervento in difesa della Rivoluzione d’Ottobre, che la sera prima, in un indegno servizio del Tg2, era stata definita “uguale al nazifascismo”. Durante il mio intervento tutta la destra, impazzita dalla rabbia e in piedi (tra la quale destra spiccava per aggressività l’ex ministro della Giustizia leghista Roberto Castelli) urlava e tentava di impedirmi di parlare (tutto verificabile nella ripresa video del Senato del 25 ottobre 2007, basta scrivere su google “Senatore Fosco Giannini intervento sulla Rivoluzione d’Ottobre”). Nella pausa successiva ai lavori in Aula un senatore leghista mi sibilò, passandomi a fianco: “Ti aspettiamo fuori”. Confesso che lo fermai per dirgli: “Sono più preciso di te. Ti aspetto domani mattina alle 9 a Piazza Navona”. Il mattino dopo aspettai. Ma nessuno si vide. Di solito, se soli, i fascisti non vengono.
Alla luce di tutto ciò vorrei lanciare una proposta, semplice, concreta, possibile: perché tutti i comunisti, le forze antifasciste, democratiche, progressiste, i movimenti studenteschi, tutte le “zecche rosse” (compresa la “zecca” che scrive) non organizzano, unite/uniti, una raccolta firme nazionale in ogni piazza d’Italia per mettere finalmente al bando (come prevede la Costituzione antifascista italiana nata dalla guerra di Liberazione) CasaPound e chiedere, poiché le parole usate in questi giorni dal capo della Lega sono state davvero urticanti, gravissime, lesive della dignità del popolo italiano e della democrazia, parole da colonnello golpista in fieri, le dimissioni di Salvini? Non sarebbe poi così difficile organizzarsi…
Immagine: nella foto Heteromys salvini – Salvin’s Spiny Pocket Mouse (Heteromys salvini). Species of mammal. Topo tascabile spinoso di Salvin (Heteromys salvini). Specie di mammifero (simpatica e graziosa quella ritratta nella foto ndr)
Tania Pérez Fiol, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons – https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/36/Heteromys_salvini.jpg
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