Parthenope

di Marco Marinelli *

L’ultimo lavoro di Sorrentino divide gli spettatori: chi s’immerge tra la poesia di ricordi e miti lontani e chi invece sottolinea la scontata vuota narrazione estetica di una concezione edonistica della vita.

Parthenope, ultimo discusso film di Paolo Sorrentino, che firma anche la sceneggiatura, è una produzione Italia/Francia, presentato all’ultimo Festival del cinema a Cannes, dove non ha ricevuto alcun premio, ma alla sua uscita nelle sale italiane fa molto parlare di sé, dividendo il pubblico tra ammiratori e detrattori. 

Il film ha un cast d’eccezione: Gary Oldman, Dario Aita, Isabella Ferrari, Biagio Izzo, Nello Mascia, Lorenzo Gleijeses, Stefania Sandrelli, Peppe Lanzetta e la protagonista Parthenope giovane è interpretata da Celeste Dalla Porta, dotata di una bellezza disarmante.

Il film, molto visionario e onirico, racconta la protagonista Parthenope, già dalla nascita nelle acque di Napoli, proprio come la sirena, nel 1950, miscellando ricordi della sua giovinezza, amori e drammi, gioia e malinconia. 

Sorrentino ambienta nelle epoche e così gli anni ’80 sono ancora tra noi: li ritroviamo nei consumi e nelle abitudini quotidiane, ammantate di “retromania”, come la fortunata formula usata dallo scrittore e giornalista inglese Simon Reynolds, li ritroviamo  nella protagonista proiettata in una dimensione mitica, legata  al sistema di valori di quegli anni e che è ancora egemone nel nostro presente, fatto di serenità e leggerezza, che nel film smussano anche le punte potenzialmente drammatiche affidate anche al grottesco, si alternano promesse di successo e ricchezza, di volontà di evasione, di ottimismo, dove il racconto è dominato da edonismo vacuo, proiettato in una falsa e scontata perfezione estetica; anche le immagini più ricercate risultano affettate ed effettate, risentendo di “escapismo”, che si caratterizza in inerte superficialità e autoreferenzialità, rinviando a un vuoto di senso. 

Tutti i personaggi del film sembrano evitare con cura contraddizioni e conflitti, per farsi ricerca di un assoluto, di un bello ideale, che trova, nel rifiuto di qualsivoglia forma di attrito con la realtà, a meno che non sia la sua grottesca deformazione, la propria ragion d’essere. Parthenope, la protagonista, è un po’ l’epitome di questa cifra stilistica: mai un ripensamento esistenziale, un conflitto interiore sia pur risolto, sempre un guardarsi vivere con stupefatta leggerezza, sempre una esibita volontà di compiere scelte caratterizzate dalla capacità di assecondare emozioni e sentimenti, pulsioni che fanno a meno del ricorso a un pensiero che si ascolta, che si interroga su se stesso e sulle proprie ragioni. È, dunque, una ben povera e a volte scontata immagine del femminile, quella che propone Sorrentino, troppo preoccupato di piacere a tutti i costi, per avere invece cura dei propri personaggi, in primis Parthenope, ridotti a maschere decadenti, intrappolate nel labirinto di una città, Napoli, smarrita in una crisi di identità, incapace di trovare le ragioni del proprio esistere.

* Già collaboratore della rivista «Filmcritica», appassionato cinefilo e consapevole spettatore

Immagine: Di Maxpoto – https://www.youtube.com/watch?v=fA6a9Ys0HTk, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=10128728

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