di Federico Giusti
I dati economici e le future scelte Usa dovrebbero essere motivo di grande preoccupazione e non essere, invece, sottovalutati dal capitalismo europeo.
La produzione tedesca è calata del 17% rispetto al 2017; crisi di un’economia in recessione che sta attraversando tutti i comparti industriali.
Ma quali sono le cause di questa crisi?
Senza dubbio la guerra in Ucraina, il blocco delle importazioni energetiche a basso costo dalla Russia, gli anni pandemici. Ma, forse, le cause della crisi andrebbero ricercate anche nell’Unione europea, nelle politiche intraprese all’indomani del crollo del patto di Varsavia con un’espansione nell’Est europeo, che aveva trasformato la Germania nel motore del vecchio continente; infine, un capitolo a parte di una disamina, anche frettolosa, dovrebbe riguardare i ritardi in campo tecnologico, tanto che il documento di Mario Draghi presentato a Bruxelles ipotizza lo sviluppo delle tecnologie duali.
Quella fase di espansione tedesca si è da tempo interrotta anche per l’avvicinamento di Paesi dell’Est europeo verso gli Usa, in una fase caratterizzata dalla manodopera a basso costo in quei Paesi, dalle importazioni a prezzi stracciati dell’energia e da accordi commerciali con la Cina.
Non è casuale che proprio la Germania abbia avversato la decisione dell’Ue di imporre dazi alle macchine cinesi, visto che con alcuni marchi esistono interessi economici comuni per gli ingenti investimenti tedeschi avvenuti negli ultimi 30 anni sul mercato asiatico.
Se non puoi acquistare energia a basso costo, se l’esercito di riserva non è a tua completa disposizione, se la guerra ha indebolito il tuo prestigio rimettendo in discussione l’egemonia all’interno della Ue, se aumenti esponenzialmente le spese militari sacrificando quelle sociali, se la manodopera orientale si indirizza non più in Germania ma in altri Paesi, è scontato l’arrivo di una crisi non solo economica ma sociale e politica.
Oggi, la competitività dell’industria tedesca è un lontano ricordo ma il suo crollo avrà presto effetti nefasti anche sulla manifattura di altri Paesi dell’Ue, il vecchio continente non era preparato alla transizione verde o, almeno, era del tutto illogico allontanarsi con troppa rapidità dalle fonti energetiche tradizionali senza prima disporre di alternative valide ed economicamente sostenibili per alcuni anni.
Quello che non capiscono Meloni e Macron è l’effetto della crisi manifatturiera tedesca e le sue ripercussioni su tutta l’Ue. L’apparato industriale italiano, in gran parte, lavora nella componentistica per l’industria tedesca e diviene difficile ritenere che non risentirà dei contraccolpi dell’ex locomotiva.
Chi esulta per la vittoria di Trump come giustificherebbe tanto entusiasmo, considerata la sua proclamata intenzione di imporre pesanti dazi sui prodotti europei? E resterà tale il sostegno alla guerra in Ucraina, nonostante che Trump intenda scaricarne gli oneri economici sull’Ue?
Sono domande logiche alle quali la classe politica dominante evita di rispondere. Ma torniamo, per chiudere, sulla Germania che indirizza la sua industria e la ricerca industriale verso produzioni ad alto valore aggiunto, un settore attanagliato anch’esso dalla crisi ma in misura assai inferiore alla manifattura tradizionale. Draghi caldeggia questo indirizzo, purtroppo orientato verso il comparto militare o il dual use, ma l’Ue nel suo complesso è pronta a questo salto di qualità? Dubitiamo fortemente se guardiamo ai singoli Paesi del vecchio continente impreparati a investire in settori ad alto tasso tecnologico per lo sviluppo dei quali avrebbero bisogno della Cina e che, invece, per compiacere gli Usa, avversano con i dazi.
E, quindi, proprio dalla crisi economica e dalla marginalizzazione dell’industria tedesca anche i competitor europei hanno tutto da perdere.
Immagine: Foto di Moritz Spahn su Unsplash
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