La manovra di bilancio e lo sciopero del 29 novembre

di Ascanio Bernardeschi e Federico Giusti

Questo sciopero giunge mentre sta crollando la produzione industriale, sta crescendo la povertà, il governo adotta una postura autoritaria e guerrafondaia. La protesta per le misure economiche del governo deve allargarsi ai principali temi generali per contrastare la pericolosità di questo governo. 

Premessa

Nella settimana che precede lo sciopero generale la mobilitazione auspicata non sembra essere arrivata. La responsabilità non è solo da attribuire alla propaganda governativa a rete unificate ma anche alle difficoltà oggettive che portano al 29 novembre e alla credibilità al massimo ribasso dei sindacati, perfino di quelli di base. A colpi di decreti e di interventi della commissione di garanzia anche lo strumento dello sciopero appare una sorta di arma spuntata.

Ufficio parlamentare di bilancio: le critiche alla manovra

È utile leggere la relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio che, nella audizione di inizio novembre, evidenziava innumerevoli criticità attorno alla manovra del governo Meloni. In estrema sintesi questi i punti sollevati: 

Rischi orientati al ribasso sul Pil, pesano variabili internazionali e Pnrr

– Necessario un disegno organico per la crescita della produttività del Paese

– Principali beneficiari della manovra i dipendenti con redditi medio-bassi

– Diventano strutturali interventi su cuneo e aliquote, per imprese misure frammentarie

– Aumenta progressività Irpef ma con maggiore complessità e disparità fra contribuenti

– Il finanziamento della sanità cresce meno della spesa con rischio disavanzi regionali

– Contributo di enti territoriali sia coerente con tutela di funzioni fondamentali e Lep (1).

Occorre rimettere in ordine le questioni per offrire argomenti indispensabili a confutare il punto di vista del nemico di classe ma anche per far comprendere la necessità di questo sciopero il cui eventuale insuccesso, misurabile non solo con le astensioni dal lavoro ma anche attraverso la presenza nelle piazze, sarebbe un segnale negativo a fronte del forte bisogno proprio per restituire forza e dignità alle istanze della classe lavoratrice

La crisi dell’Unione europea. Una crescita economica compromessa dalla guerra 

La minaccia dei dazi Usa sulle importazioni dell’Ue avrebbe l’effetto di acuire la crisi in cui il vecchio continente si dibatte da due anni. Le previsioni del Pil per i prossimi anni potrebbero anche essere smentite, come avvenuto nell’ultimo biennio, inducendo l’Ue a imporre soluzioni draconiane a Paesi che, come l’Italia, presentano una bassa crescita e un elevato indebitamento. 

Per questo il no alla guerra è parte integrante delle rivendicazioni dello sciopero del 29 novembre.

L’Italia rallenta da anni, i nostri salari hanno perso potere di acquisto più che in ogni altro Paese europeo, il welfare è del tutto inadeguato e la spesa in materia di sanità e istruzione è del tutto insufficiente.

Alcuni obiettivi del Pnrr in materia di formazione, investimenti tecnologici ma anche e soprattutto su sanità e istruzione oltre al depotenziamento degli investimenti per la cura del territorio, sono stati letteralmente aggirati. Di conseguenza, le previsioni macroeconomiche del Documento programmatico di bilancio (Dpb) potrebbero venire smentite.

Nel nostro Paese servirebbe una politica fiscale ben diversa da quella attuale: aliquote fiscali maggiormente progressive, tassazioni elevate per i redditi elevati, un’imposta sui grandi patrimoni in grado di recuperare le risorse per il welfare, cose che il governo ha escluso del tutto. Ma servirebbero anche regole diverse in materia di rappresentanza sindacale e di rinnovi dei contratti di lavoro, garantendo il recupero effettivo del potere di acquisto.

L’obiettivo di crescita del Pil nel 2025 scommette sulla crescita della domanda estera e sull’aumento dei consumi che, invece, non è possibile con i salari da fame oggi esistenti e con un calo delle ore lavorate e i mancati investimenti.

Non si fanno i conti con il rincaro dei prezzi di energia e materie prime determinati dalla guerra in corso, prova ne sia che acquistiamo gas e petrolio a costi 5 volte superiori a prima della guerra in Ucraina.

Considerazioni sulla manovra

Se confrontiamo la legge di bilancio italiana con quella inglese, che prevede tassazioni maggiori anche per gli extraprofitti e i redditi elevati, si capiscono i limiti di un governo che ritiene la riduzione delle tasse la sola arma da utilizzare contro la crisi. E, ironia della sorte, continuano i regali alle imprese con i soldi pubblici che verranno a mancare al welfare, alla manutenzione del territorio, ai salari e alle pensioni.

Il governo risponde alle critiche sostenendo che i principali beneficiari della manovra di 55 miliardi netti nel triennio saranno le famiglie, ma questa affermazione è facilmente confutabile se guardiamo alla spesa per istruzione e sanità in rapporto al suo Pil.

Il disegno di legge di bilancio contiene previsioni relative alla crescita in cui c’è ben poco di oggettivo, tanto che tali previsioni sono state smentite dal reale andamento dell’economia.

Da qui a pochi anni arriveranno i problemi perché l’insufficiente crescita del Pil richiederà, ai fini del rispetto delle regole europee, sia aumenti di entrate che riduzioni di spese strutturali: tagli al welfare e processi di privatizzazione che aumenterebbero le spese a carico delle famiglie per i servizi. Un Paese avvezzo a continui condoni fiscali dovrebbe essere assai prudente nel prevedere coperture di spese attraverso la retroazione fiscale.

Non sono quantificati gli importi dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego per i comparti enti locali e sanità che sono a carico dei loro bilanci, eppure una manovra di bilancio dovrebbe prevederli, specie in presenza di un’inflazione altalenante, per assicurare la copertura del fabbisogno.

I fin troppi “tagli lineari” delle spese sono in ossequio alle raccomandazioni di Bruxelles per i prossimi sette anni quando l’Italia sarà sorvegliata per il rientro nei parametri che regolano il rapporto tra deficit, debito e Pil.

La crescita della spesa netta per il 2026 e 2027 viene in sostanza subordinata ai finanziamenti Ue che, tuttavia, nei prossimi anni potrebbero essere oggetto di riduzione, magari per finanziare il riarmo e le spese di guerra.

Il governo Meloni ha rifiutato di introdurre il salario minimo nascondendosi dietro alle obiezioni del Cnel ma senza mai fornire atti di indirizzo alla contrattazione di secondo livello demandata alla libera iniziativa delle associazioni datoriali. Oggi, l’Italia è uno dei pochi Paesi Ue dove non esiste il salario minimo e ove ogni ipotesi di patrimoniale viene tacciata come misura di aperta ostilità alle imprese e al libero mercato.

Le critiche alla manovra di bilancio arrivano timidamente anche da settori padronali e assai più forti dai sindacati – non tutti – che hanno proclamato lo sciopero generale del 29 novembre.

Ma tra le obiezioni alla manovra di bilancio ne troviamo una degna di nota, si contesterebbe all’esecutivo di centrodestra misure tali da penalizzare il ceto medio.

La manovra di bilancio taglia il cuneo fiscale per i redditi fino a 40 mila euro annui. C’è chi rivendica i tagli almeno fino a 60 mila euro ma il problema di fondo resta ben altro: non si vuole toccare i redditi elevati regalando mance a quelli medio bassi ma senza una riforma complessiva del sistema di tassazione. A sorreggere l’impianto della manovra di bilancio resta la cultura della detassazione come antidoto assoluto per l’erosione del potere di acquisto e la povertà salariale. Ma in campo previdenziale i minori contributi di oggi determinano minori pensioni in futuro, mentre il sistema di tassazione, in assenza di reale progressività, accresce le disuguaglianze. 

A chi, facendo una critica di segno opposto, parla di eccessive pressioni sulle imprese e sulle famiglie ricordiamo un’altra realtà, quella dell’aiuto eccessivo alle aziende e ai redditi elevati. A perdere potere di acquisto sono i salari medi e quelli bassi, a guadagnare in termini di profitti e di ricchezze sono i ceti elevati. Non sarà allora il caso di aprire un confronto reale sul sistema fiscale in toto?

Il tasso di crescita del finanziamento del sistema sanitario nazionale resta sempre inferiore a quello del Pil nominale programmatico e avergli accordato poche risorse rischia di favorire la crescita del disavanzo dei servizi sanitari regionali spianando la strada alle privatizzazioni. Non è casuale, infatti, il mancato finanziamento di nuove assunzioni a fronte delle troppe misure volte a favore i soggetti privati.

Perché scioperare e manifestare?

Questo sciopero giunge, forse tardivamente, dopo circa due anni di crollo della produzione industriale, dopo una pluridecennale crescita della povertà dei lavoratori e di riduzione delle loro tutele. Giunge in presenza di misure repressive come il decreto sicurezza, i tanti arresti e le tante incriminazioni, le proposte di riforme istituzionali volte a smantellare la democrazia sociale scritta nella Costituzione e nel vivo delle scelte guerrafondaie degli Usa e della Nato a cui il governo si adegua compiacente, nonostante gli evidenti danni economici della partecipazione a questa guerra.

Per questo la protesta, che parte dalle misure di questa legge di bilancio, deve, secondo noi, allargarsi ai principali temi generali per contrastare la pericolosità di questo governo. Deve vedere un’ampia partecipazione alle manifestazioni indette in molte piazze e vedere la presenza dei comunisti in prima fila.

Riferimenti:

(1) https://www.upbilancio.it/audizione-dellupb-sul-ddl-di-bilancio-per-il-2025/.

Immagine: Stefano Bolognini (Attribution or Attribution), via Wikimedia Commons

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