di Laura Baldelli
Il film ha un’estetica affascinante che mistifica il contenuto lontano dalla Storia, ma che rapisce lo spettatore dentro un clima di revisionismo storico, dove anche “la rivoluzione dei borghesi” viene raccontata in chiave reazionaria.
Dopo l’esordio nel 2020 con Il cattivo poeta, un film su D’Annunzio al Vittoriale ormai al tramonto, Le Deluge è il secondo lungometraggio del regista Gianluca Jodice, che firma la sceneggiatura con Filippo Gravino.
Si sono mobilitati investimenti importanti e prestigiosi tra cui, come produttori, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, Rai Cinema, Film Commission Piemonte e altri partner internazionali per questa produzione italo-francese. Un progetto ambizioso che utilizza il prezioso contributo tecnico di nomi prestigiosi: la fotografia di Daniele Ciprì e la scenografia di Tonino Zera, che creano una luce e un’elegante atmosfera dal realismo austero ma che evoca anche uno scenario teatrale; i ricercati costumi di Massimo Cantini Parrini sono ideati pensando alla prigionia e quindi senza possibilità di sfoggio, anzi, a poco a poco, assisteremo alla spoliazione simbolica degli innumerevoli strati delle vesti come una perdita dei privilegi, mentre il commento musicale e sonoro di Fabio Massimo Capogrosso contribuisce allo schema narrativo dei tre atti teatrali per raccontare la prigionia dei sovrani francesi, detronizzati dopo la fuga di Varennes durante la Rivoluzione francese, perché accusati di alto tradimento.
Il film ha un’estetica affascinante che mistifica il contenuto lontano dalla Storia, ma che rapisce lo spettatore dentro un clima di revisionismo storico, dove anche “la rivoluzione dei borghesi” viene raccontata in chiave reazionaria. Gli spettatori escono dalla sala schierati tutti dalla parte dei sovrani, come i lettori datati di vecchie popolari riviste di alcuni decenni fa, «Oggi», «Gente», «Novella 2000», che hanno raccontato le vicende/favole dei regnanti europei; favole funzionali al capitalismo editoriale come “i devoti della principessa triste Diana” fanno sempre vendere in tutto il mondo, ma anche funzionali per le masse popolari che non vivono la propria vita consapevolmente. Siamo ormai un popolo che ama i luoghi comuni, buonisti e garantisti senza conoscere la Storia, dando credibilità storica alla narrazione intimistica, piuttosto che alla scientificità della ricerca e della critica storica.
Il regista, nelle interviste, afferma di essere lontano dal politically correct, sostiene che il suo racconto offre il punto di vista del pensiero dell’epoca, in cui il re di Francia, per volere divino, è ancora taumaturgo e ama il suo popolo, invece è molto lontano dalla Storia, anche nella narrazione psicologica della regina, che il sottotitolo del film evidenzia, quasi si raccontasse solo di lei.
Le fonti storiche che hanno ispirato Jodice provengono da un testo scritto sotto forma di diario: Il prigioniero del Tempio, detenzione, processo e morte di Luigi XVI, i cui autori sono Jean-Baptiste Hanet Cléry, servitore del re fino alla morte; Marie-Thérèse-Charlotte di Francia, figlia del re; Edgeworth de Firmont, confessore del re.
Anche si volesse difendere il re e la sua famiglia, non si accenna a Luigi Capeto che mise in atto, con importanti riforme, il nuovo pensiero della ragione illuminista, tanto da ricordarlo come un sovrano assoluto illuminato: aveva sostenuto la guerra d’indipendenza dei coloni americani, ma gli costò la crisi finanziaria del regno, nel 1791 divenne un monarca costituzionale, abolì la servitù della gleba, la pena di morte per i disertori, ripristinò l’editto di Nantes e, conseguentemente, la tolleranza religiosa, sostenne le scienze e i viaggi di esplorazione per mare, ma l’azione politica più importante fu indire le elezioni per gli Stati generali nel 1788, che non si svolgevano più dal 1614, dai tempi del Re Sole.
Ma la Convenzione e il popolo di Francia non gli perdonarono la fuga e le trattative con i governi stranieri e noi ben sappiamo che La rivoluzione non è un pranzo di gala, come scrisse Mao Zedong.
Lo stesso titolo del film è ispirato da una frase attribuita a Luigi XV, predecessore di Luigi XVI: “après moi le déluge!” Ma altri la attribuiscono alla sua amante, la marchesa di Pompadour, nella forma: “après nous, le déluge”.
Se si raccontano personaggi storici protagonisti di un passaggio epocale, dove una rivolta non è una delle tante jacquerie, ma per la prima volta ha basi teoriche politico-economiche e giuridiche e diventa una rivoluzione, non si può sminuire la loro stessa azione politica con leggende, diari e credenze popolari per un racconto intimistico da favola.
Il film non è stato selezionato per il Festival internazionale del Cinema di Cannes, nonostante i grandi attori francesi; infatti, ha ripiegato sul Festival di Locarno, dove non ha ricevuto né premi, né riconoscimenti: ben lontano da Mondo nuovo di Ettore Scola e soprattutto dal capolavoro di Roberto Rossellini, La presa del potere da parte di Luigi XIV del ’66, film sul Re Sole che ancora oggi in Francia è considerato patrimonio culturale e viene proiettato nelle scuole.
È comunque interessante l’impianto narrativo teatrale del film diviso in 3 atti: gli dei, gli uomini, i morti. Nel primo atto, Jodice, che conosce l’arte cinematografica, usa grandi movimenti di macchina, sicuramente ispirato dalla lezione di Kubrick, mentre per gli altri due atti, dove diventa un angusto spazio da cinema da camera, si affida coraggiosamente alla cinecamera a spalla, che mai viene utilizzata nei film storici e in costume.
I personaggi, rimanendo nell’immaginario collettivo cinematografico, sono anche lontanissimi da Marie Antoinette del 2006 di Sofia Coppola, un film in chiave pop, ispirato dalla biografia scritta da Antonia Fraser Maria Antonietta. La solitudine di una regina, ma lega i due film un filo conduttore: “anche i ricchi piangono”… tanto per rimanere sul pop.
I carcerieri sono delineati come personaggi cattivi e vendicativi con senso di rivalsa, senza pietà, mentre i sovrani compiono una trasformazione interiore vicino all’eroismo o, vista la grande religiosità, vicini alla santità del martirio. Non un cenno all’importanza della caduta dell’“ancien régime” in cui si governa per volere divino, né agli interessanti innovativi aspetti politici di Luigi XVI, ma già il titolo, che trasferisce tutto su Maria Antonietta spoliata dei suoi privilegi, definisce tutta l’angolazione del film che è un insulto alla prima forma di democrazia popolare, da cui derivarono tutti i sistemi democratici occidentali.
Parafrasando un noto film di Carlo Vanzina: “sotto l’estetica, niente”; ma anche no, perché il film ha un contenuto reazionario, anche antiborghese, addirittura quasi monarchico.
E per fortuna Jodice non ha raccontato la Rivoluzione d’Ottobre!
Lascia un commento