di Anika Persiani
Il film di Andrea Segre, Berlinguer – La grande ambizione, l’ho visto appena uscito nelle sale cinematografiche per curiosità, più che altro perché ho sempre ritenuto il leader del Partito Comunista di allora una sorta di mistificazione dello stesso movimento comunista.
Il film si apre innanzitutto con una frase di Antonio Gramsci: “Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo” e sicuramente Berlinguer è stato un grande leader politico, un grande per davvero, ma non un grande comunista.
Indipendentemente da come si legga storicamente la figura di Enrico Berlinguer, in un contesto sociale contemporaneo dove ci si precipita a vedere Barbie e i film del cinema industriale, sarebbe bene spingere per analizzare questo film nel modo più dignitoso verso un piano intellettuale, a patto che ci sia la volontà di non mistificare la storia dell’Italia di quegli anni per i vari opportunismi di parte, perché invece andrebbero rivalutate le relazioni fra il Partito Comunista di Mosca e i partiti comunisti occidentali.
Sempre che si sia in grado di capire la storia dell’Italia di quegli anni poiché, se non la si è studiata, se non si conosce come funziona l’iperinflazione, cosa siano stati i dazi, cosa sia stata la bilancia commerciale dell’export e le relazioni fra il Partito Comunista di Mosca e i partiti comunisti occidentali, tutto è inutile; così è anche inutile sedersi in un cinema per vedere Berlinguer – La grande ambizione se non si conoscono i dettagli del colpo di Stato in Cile del 1973 e la storia della vittoria di Salvador Allende, primo presidente socialista di quella parte del mondo che è l’America Latina, perché tutto il film ruota attorno al concetto di vittoria democratica di un partito comunista in Occidente, dove però i sistemi economici sono totalmente diversi: uno, quello cileno, prettamente basato sulla sussistenza agricola e il latifondo; l’altro, quello europeo, basato sulla produzione industriale e lo sviluppo tecnologico.
Certo è che quel consenso in Italia, in quegli anni, Berlinguer se lo è guadagnato, ma forse oggi non sarebbe stato lo stesso. Oggi ci sono kenofobie e nictofobie generalizzate che non compattano la gente, emergono solo con un’analisi più profonda e dettagliata sulle peculiarità personali; in quegli anni, invece, l’analisi si basava solo su caratteri modestamente leaderistici.
L’analfabetismo di ritorno, la penuria intellettuale come le mode contemporanee, che mi rendono demofobica, non permettono d’individuare nuove figure carismatiche in grado di fare e di stimolare un ragionamento un po’ più complesso, anche e soprattutto sul concetto di democrazia.
La scena del XXV Congresso del Pcus a Mosca nel 1976, dove il regista Andrea Segre alterna filmati d’epoca e fiction, evidenzia in tutta la sua chiarezza la faccia di Enrico in mezzo a quelle delle donne delegate a Mosca e credo che sia stato veramente così: quel giorno credo che Berlinguer fosse un po’ spaesato, seduto là fra i delegati e il discorso che tenne, che segnò lo stacco con l’Urss, ne fu la prova.
Quella scelta non portò nulla di buono e noi comunisti lo sappiamo bene.
Elio Germano ha interpretato veramente bene i dubbi del segretario, ma il film non può santificarlo.
Lascia un commento