di L. B. e M. M.
Interiors è un film del 1978 di Woody Allen, in cui cura anche la sceneggiatura, il primo lungometraggio drammatico dopo 7 pellicole di commedie comiche e anche dove non compare come attore. Il film, trasmesso recentemente su Rai Movie e rivedibile su RaiPlay, conserva attualità, attrattiva, qualità artistica nel panorama della pochezza contemporanea, soprattutto di Allen, ormai solo interprete dei tempi della vanesia borghesia newyorkese.
Il film c’immerge negli ’70 tra le relazioni di una ricca e intellettuale famiglia americana composta da Arthur (E. G. Marshall), dalla moglie Eve (Geraldine Page) e dalle figlie Joey (Mary Beth Hurt), Renata (Diane Keaton) e Flyn (Kristin Griffith) e i loro compagni, proprio quando tutto entra in crisi perché il padre-marito annuncia la sua intenzione di vivere una separazione sperimentale. Eve, arredatrice ipertesa, cade in uno stato di forte depressione, che comunque era sempre strisciante nella sua vita, e le tre figlie si oppongono alla nuova relazione del padre con l’ordinaria, a loro dire, Pearl (Maureen Stapleton). Siamo alla vigilia degli anni Ottanta, del cosiddetto riflusso della controrivoluzione neoliberale e Woody Allen gira, secondo alcuni critici, il suo “Sussurri e grida”, in cui ritrae una serie di famigliari, incapaci di venire a patti con il proprio autentico sentire perché è venuta meno la dimensione dell’impegno sociale e politico: il mondo non rema in direzione contraria ai loro desideri, ma c’è un vuoto esistenziale di valori dove tutti sono ripiegati nella propria affermazione di sé, alla ricerca del successo individuale e intellettuale.
I dialoghi insistenti, il flusso di coscienza dei personaggi, in particolare delle tre figlie della coppia con i loro compagni, registrano le frustrazioni del mancato successo e soprattutto la frustrazione di non riuscire a comprendere la propria strada, perché rinchiusi nel proprio cercare se stessi senza relazioni e confronto con il mondo e le persone e perché cresciuti nel feroce pregiudizio della selettività intellettuale. Le ambizioni intellettuali, la ricerca spasmodica e ipercritica della creatività delle tre figlie e le conseguenti delusioni compromettono ogni giorno la loro vita, paralizzandola nei sentimenti e nelle relazioni con il mondo che diventa sempre più stretto. La madre Eve è l’epitome della autoreferenzialità miope della borghesia di quegli anni, immersa nella ricerca del vuoto, del nulla che si intravede tra le crepe di una realtà che chiede il sacrificio di sé, in nome di una performatività estetica dei corpi e dei sentimenti che devono rispondere alla perfezione degli ambienti da lei creati come arredatrice d’interni.
Infatti, lei è la figura centrale di tanto tormento interiore e sofferenza di tutti, interpretata dalla straordinaria Geraldine Page. La presunta armonia, ormai espressione di maniacalità, viene spezzata dal marito/padre che ha il coraggio di trovare la forza per allontanarsi da un rapporto che affoga nella routine della sobria compostezza, dell’eleganza ossessiva, che soffoca ogni espressione personale; come da manuale, si legherà ad una donna semplice ma autentica, assicurandosi una seconda possibilità di un legame più saldo col mondo e con la realtà dei suoi autentici sentimenti; tutto questo scatenerà il crollo dell’architetta d’interni, non solo di spazi, ma anche d’interiorità, plasmando persone come interni da arredare, da collocare come soprammobili rispondenti ai criteri di colore, luce, proporzioni, creando però perfette catastrofi nelle vite dei suoi famigliari, imprigionati dentro il suo modello di assoluta ricerca della perfezione della sezione aurea.
Secondo il suo disegno, tutti erano alla ricerca di un proprio talento da esprimere, assolutamente intellettuale, conformato in uno schema che riflettesse i suoi piani, nell’ossessione della ricerca dell’armonia: persone intonate come gli oggetti di una casa raffinata, dove ogni particolare è sotto controllo. Finalmente, tutto quello che era stato sopito dall’ossessione dell’eleganza, scoppia con dolore e violenza: rivalità tra sorelle, nevrosi e psicosi s’intrecciano tra le coppie e soprattutto la madre trasforma anche il suo dolore in un immenso egoismo per ricattare tutti.
Lo stile narrativo di Allen per questo dramma psicoanalitico è quello di un thriller, dove la fotografia d’interni, grazie a Gordon Willis, sottolinea l’immobile perfezione, mentre la sceneggiatura è un racconto psicoanalitico da manuale, dove anche i silenzi sono eloquenti, privati di ogni commento musicale. Nel moderno dramma psicoanalitico non mancano transfert, identificazione con l’aggressore, attività onirica, flusso di coscienza, catarsi, tutto raccontato come un thriller, in cui il montaggio di Ralph Rosenblum dissemina indizi simbolici.
Le scenografie, parte integrante della narrazione della psicosi della madre, sono opera dello scenografo Mel Bourne e degli arredatori d’interni Mario Mazzola, Daniel Robert. Nel film è totalmente assente la colonna sonora musicale, a favore di una partitura di suoni e rumori che creano un ambiente sonoro psicologico dove i personaggi sono disposti come Eva disponeva gli oggetti e i mobili negli interni perfetti.
Qualcuno ha voluto vedere Bergman, ma anche Cechov ne le Tre sorelle, ma Allen propone il tormento cerebrale, non la malinconia dell’autore russo. Anche il finale a sorpresa è degno di un thriller con catarsi finale.
Tutto contribuisce a creare un film corale sia come personaggi, ma anche come lavoro tecnico funzionale alla narrazione emotiva che ci porta dentro un dramma interiore collettivo: interni come case e interni come personalità.
Indimenticabile è l’emozione sul volto di Geraldine Page prima di avviarsi verso la tempesta, solo per quelle immagini avrebbe meritato un oscar, lo vinse, invece, la sua antagonista Maureen Stapleton.
Il film avrebbe meritato molti premi, ma gli Usa non hanno perdonato ad Allen di aver abbandonato la commedia, l’intrattenimento ironico, così non ha avuto i riconoscimenti dovuti e il pubblico, ugualmente abitudinario, non lo ha premiato al botteghino. Il 1979 fu l’anno degli oscar al Il cacciatore di Michael Cimino e a Fuga di mezzanotte di Alan Parker, che invece divennero dei cult.
Non fu così per l’altro grande lavoro drammatico di Allen, Match Point, invece molto apprezzato e premiato: una perla nella filmografia di Allen, capofila del vuoto borghese, tutto estetica, senza innovazione e creatività.
Purtroppo, la filmografia di Allen ha creato nella sinistra dagli anni ’70 in poi un immaginario collettivo di una nuova America, non più tutta guerre, avventura e azione, bensì colta e progressista: infatti, nel film si sproloquia persino di marxismo-leninismo.
Hollywood e Allen hanno davvero colonizzato culturalmente l’Italia: un nuovo ingannevole sogno americano.
Immagine: foto tratta da una scena del film Interiors di Woody Allen (1978)
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