Nosferatu – A ogni epoca il Nosferatu che si merita

di L. B. e M. M.

Ritorna nelle sale per la regia di Robert Eggers, il mitico soggetto cinematografico Nosferatu scritto e diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, liberamente spirato dal Dracula di Bram Stoker; anche Eggers firma la sceneggiatura del suo film, rimanendo fedele al genere horror, di cui è un riferimento e per cui ricordiamo l’estetizzante, quanto vuoto Lighthouse.

I remake non sono mai facili, ci vuole coraggio e a volte presunzione, soprattutto quando si è preceduti dal Nosferatu del 1922 di Murnau, capolavoro del cinema espressionista tedesco, Nosferatu il principe della notte del 1979 di Herzog e Dracula di Bram Stoker di Coppola del 1992; forse mancano storie da trasformare in sceneggiature e ci si affida troppo al supporto narrativo delle tecnologie cinematografiche e si preferisce la comfort zone di un cult che ha creato un immaginario collettivo a cui rifarsi.

Quanto a estetica visiva, di cui Eggers è un perfezionista, siamo immersi in un impeccabile neoromantismo gotico dai colori digitali, ma piatto, mentre l’horror creato da Murnau con uno straordinario bianco e nero ha creato immagini da scuola del cinema, grazie alla fotografia di Günter Krampf e Fritz Arno Wagner, ispirata dalla pittura di Rembrandt e di Caspar David Friedrich, che mantengono ancora una capacità di suspense e terrore avvolti dall’horror, assai superiore al film di Eggers che evoca, quasi come una parodia, il noto film L’esorcista.

Il racconto del pilastro della letteratura gotica di Stoker evoca le ansie dell’epoca vittoriana, mentre la nuova interpretazione di Eggers si concentra sulle dinamiche umane, celebrando la forza spirituale dell’elemento femminile, di un demone interiore: chi conosce la filmografia di Robert Eggers sa bene che il tema dell’allucinazione si fonde col tangibile ed è un pilastro fondante della sua filmografia.

Infatti, la giovane e bella Ellen (Lily-Rose Depp), donna indipendente, outsider in una società fortemente patriarcale, prega e piange cercando disperatamente conforto per la solitudine in cui vive e così entra in contatto con un misterioso spirito, il conte Orlok (Bill Skarsgard), una creatura demoniaca assetata di sangue, un’inquietante presenza fisica, ma è soprattutto un ectoplasma, una frequenza d’onda sintonizzata su una frequenza demoniaca, una mente capace di librarsi oltre il tempo e lo spazio, fino a spossessare, de-individualizzare le sue vittime, come asserisce Ellen in un dialogo molto chiaro; porta anche una peste psichica, oltre che peste fisica, che riduce i cittadini dell’immaginaria cittadina tedesca di Wisborg in suo potere, conducendoli alla follia o portandoli alla morte. È un potere occulto, anzi è “il potere”, quello che deriva dal denaro, dall’oro, ma non solo: è la metafora dell’oppressione, della repressione. 

Anche la componente sessuale vista in chiave di repressione è esplicita, totalizzante, ma non ideologica e nemmeno economica, non è struttura economica da contrapporre alla sovrastruttura culturale, non ha nemmeno una struttura di pensiero da riprodurre, perché per Nosferatu, la sua logica di dominio non è concettualizzabile, non è un pensiero totalitario; è pura volontà che vuole innanzitutto se stessa, vuole estendere il controllo su tutto e tutti al fine di riprodursi: è un virus. Il potere della tecnica o della volontà extraumana personificata da Nosferatu ha il potere della suggestione che trascende anche la logica umana, troppo umana, del desiderio.

Infatti, i dispositivi di potere che tentano di contrastarlo, come la scienza medica rappresentata dal professor Albin Eberhart von Franz (Willem Dafoe), rivelano alla fine la loro falsa neutralità e si piegano, sia pure indirettamente, al suo fascino, si rendono strumenti della volontà di potenza che egli incarna perfettamente. Solo la logica del desiderio sembra sfuggire al suo controllo, come suggerisce il finale. Il sesso e la donna sono comunque centrali nella trama e l’uccisione delle bambine, un’aggiunta di Eggers, è l’essenza della malvagità: questo è Nosferatu, detrattore di innocenza, deturpatore di corpi… in fondo è un vampiro e fa il suo mestiere.

Ben altra dimensione quella del Nosferatu di Marnau, essendo una pellicola uscita pochi anni dopo gli eventi della Prima Guerra mondiale, in cui si riflettono le turbolenze del periodo postbellico.

Infatti, molti critici videro nel film il riflesso dell’instabilità sociale e politica del tempo e videro nella figura del vampiro “una manifestazione delle paure collettive”, ipotizzando che la peste potrebbe essere stata la rappresentazione dell’epidemia sociale. Infatti, nel vampiro messo in scena da Murnau c’è già l’ombra lunga di Hitler e, allo stesso tempo, la radicale negazione di una socialdemocrazia malata, che mandò a morte gli avversari politici con la distruzione della Lega Spartachista nel 1919 e non seppe uscire dal cono d’ombra di un’oligarchia ferale dei militari e delle destre, immortali come il succhiasangue che viene dalla Transilvania. Infatti, c’è chi sostiene che fu un film premonitore e l’immagine delle mani di Nosferatu inquadrate da sembrare una svastica è davvero la più inquietante.

Il Nosferatu di Herzog, invece, rappresenta quel nuovo cinema tedesco che guarda indietro al grande cinema espressionista a Murnau, Fritz Lang, Georg Wilhelm Pabst, Paul Leni, Robert Wiene che cambiarono la prospettiva con la quale leggere e decodificare la società. Il regista firma un affascinante quanto suggestivo horror d’autore, contraddistinto da uno stile surreale e allucinato, un autentico cult del genere. A differenza della visione del Nosferatu di Murnau del 1922, che attraverso il vampiro parlava della Prima Guerra mondiale e dell’incombente nazismo, il Nosferatu di Herzog ci presenta il conte Dracula come una figura tragica e crepuscolare, un personaggio prigioniero della propria condizione di non-morto, condannato suo malgrado a un’immortalità logorante che lo ha costretto a un’imperitura solitudine e lo ha privato di qualsiasi sentimento umano; inoltre, Herzog pone l’accento non sui pericoli del futuro, ma sulla natura umana e sull’impossibilità di sradicare il male dal mondo. Il Dracula di Kinski, avvolto nelle luci e nelle atmosfere del romanticismo, però non è solo il male assoluto, è un personaggio molto più sfaccettato e complesso, per la prima volta il vampiro è rappresentato anche nel suo lato umano, non solo un mostro sanguinario.

Il più originale rimane il film di Coppola, la cui idea era proprio quella di togliere Dracula da un immaginario horror ormai stanco e abusato, e riportarlo alle sue origini letterarie, farne un film fuori dai canoni, dalle mode, dagli stili: quando uscì, nel 1992, era qualcosa di mai visto, di lontano da tutto quello che passava sugli schermi. 

A ogni epoca il Nosferatu che si merita e questo contemporaneo è veramente vuoto, noioso, ripetitivo dentro il suo involucro estetico.

Immagine: Di Maxpoto – https://www.youtube.com/watch?v=b59rxDB_JRg, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=10166607

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