L’Anp è il “nemico interno” del popolo palestinese

di Stefano Zecchinelli

Alleandosi col complesso militare-industriale israeliano, l’Anp è entrata in conflitto con la Resistenza palestinese, diventatando il “nemico interno” del suo popolo; una forza controrivoluzionaria e neoliberale. Israele, luce per i neofascisti nel mondo, si serve delle borghesie “vende patria” per sperimentare nuove modalità repressive e forme di collaborazionismo.

Il genocidio dei palestinesi di Gaza è una delle più grandi ingiustizie del ventunesimo secolo; una popolazione inerme è stata svenduta all’entità sionista insieme agli Stati Uniti, il vertice della piramide capitalista mondiale. Un crimine di queste proporzioni è reso possibile dall’aderenza dell’establishment arabo-palestinese alla proiezione geopolitica dell’imperialismo Usa, la creazione di micro Stati etnici in quanto regimi-laboratorio dell’impero israeliano d’Occidente. Abu Mazen, detto anche “Mr. Cia”, è un alleato tattico degli Usa (sempre scaricabile) e un nemico interno della Resistenza palestinese. La Cia comanda (al di là di Obama, Biden e Trump) e Abu Mazen, come uno zombie (mutuando le parole della giornalista Diana Johnstone “sinistra zombie”), esegue.

Le Ong israeliane B’Tselem e HaMoked hanno curato, nel 2015, un rapporto (successivamente pubblicato in Italia col titolo Tortura in Israele dall’editore Zambon) intitolato Autorizzato dal sistema. Abusi e torture nel centro per gli interrogatori di Shikma il quale ricostruisce il legame intercorrente fra il deep state sionista, in quanto consolidamento degli apparati burocratico-repressivi caratterizzati dalla declinazione militare dell’Intelligenza artificiale (Ia), e l’Autorità nazionale palestinese (Anp), una nano-borghesia al servizio di ciò che il sociologo marxista, James Petras, chiama “Zionist power”.

Recensito il rapporto sulla testata antimperialista «L’Interferenza», ho rilevato come l’Anp abbia assunto il ruolo di “braccio assassino” (per dirla con Hugo Chávez) dell’entità sionista:

La collaborazione fra Anp e Israele, in materia di repressione, va avanti da molti anni. Una semplice citazione dal documento ci chiarisce gli aspetti più importanti della vicenda: “Dei 32 che hanno riferito della data del loro arresto da parte dell’Anp, 17 sono stati arrestati dallo Stato di Israele dopo meno di un mese dal loro rilascio da parte dell’Anp, sette, da uno a quattro mesi dopo il loro rilascio, quattro da sei mesi a un anno da tale data, e quattro sono stati arrestati dall’Isa dopo più di un anno dal rilascio da parte dell’Anp” (pag. 75).

Quattordici dei detenuti già arrestati dall’Anp hanno dichiarato di essere stati torturati durante gli interrogatori. Il rapporto ci dà una informazione interessante: “Dei 14 detenuti che hanno riferito di essere stati torturati dall’Anp, 11 hanno indicato la data del loro interrogatorio. Da queste informazioni, risulta che 10 di loro sono stati tenuti sotto arresto da parte dello Stato di Israele da due a 35 giorni dopo il loro rilascio da un carcere dell’Anp. Un altro prigioniero è stato arrestato dopo 90 giorni. Undici dei detenuti torturati dall’Anp hanno detto di aver visto che gli inquirenti israeliani erano in possesso dei materiali degli interrogatori dell’Anp. In 10 casi, gli inquirenti hanno espressamente indicato i dossier dell’Anp o hanno mostrato al prigioniero parte degli atti prodotti dai colleghi palestinesi” (pag. 76). I militari israeliani – stando a queste informazioni – sono in stretto contatto con gli apparati di sicurezza dell’Anp.

Brano tratto dalla testimonianza di Muhammad Abu ‘Arqud, 21 anni, studente di Huwara:

“Sono stato trattenuto dal Pps per circa 66 giorni, dei quali 51 in isolamento. L’interrogatorio è stato durissimo e accompagnato da botte […]. Gli agenti [nel centro Shikma] ad Ashkelon hanno detto che mi avevano preso con una documentazione già completa sul mio caso, e che quindi sarebbe stato inutile negare. L’inquirente mi ha detto: ‘L’hai raccontato all’Anp’. Il dossier era del tutto simile a quello dell’Anp, c’erano anche le stesse foto” (pag. 78).

L’Anp è di fatto da tempo uno strumento dell’imperialismo israeliano finalizzato a reprimere il giovane proletariato palestinese impedendogli di aderire alle organizzazioni rivoluzionarie socialiste, patriottiche o islamiche. Israele – sottolinea questa Ong progressista – ha perfezionato i metodi di tortura della Cia facendo carta straccia delle costituzioni democratiche e antifasciste. Il sionismo non può fare a meno delle torture illegali? Pare proprio di sì e qui parliamo del rapporto proveniente da una fonte israeliana. Israele calpesta il diritto internazionale e ricorre a prassi di ‘sicurezza’ (sicurezza o repressione?) disumane”.1

Lenin diceva “i fatti hanno la testa dura” e qui le documentazioni, pubblicate da una casa editrice, Zambon, marxista-leninista, sono giornalisticamente inoppugnabili. Israele è uno “Stato pazzo” come dice lo storico Norman G. Finkelstein, che basa la propria impunità sul riposizionamento delle diverse lobby filoisraeliane nell’Occidente collettivo, un’isola-mondo necrotizzata rispetto alla genesi storica e culturale dei Diritti dell’uomo. L’Anp, il nemico interno foraggiato dalle borghesie “vende patria” arabe, rappresenta un’accozzaglia di manutengoli dell’Aipac per depotenziare l’Asse della Resistenza. Netanyahu è “il genocida più rispettato del pianeta” e Abu Mazen il suo cameriere (in termini politici).

“Mr. Cia” Abu Mazen contro l’Asse sciita della Resistenza

Qual è – per esempio – lo scopo degli incontri di “Mr. Cia” Abu Mazen con Maryam Rajavi, santona dell’organizzazione terroristica Mek/Mko lautamente finanziata dall’Arabia Saudita e armata dall’entità sionista? Leggiamo quanto scrivevo nel gennaio 2018:

“Possiamo dire che Abu Mazen è il capo di un clan di affaristi, i suoi incontri con la Rajavi lo smascherano. L’Anp è contro la Resistenza, non è favorevole a una decolonizzazione radicale, seguendo la linea di ebrei antimperialisti illuminati come Ilan Pappe, Norman G. Finkelstein e soprattutto Gilad Atzmon, personaggi che con coraggio hanno messo a nudo le contraddizioni della borghesia “compradora”. Il sionismo, anche per colpa sua, è oggi più forte, conta su armi ancora più avvelenate, inganna e sfrutta l’emotività e la buona fede degli attivisti pro Palestina”.2

Il ruolo dell’Anp è quello di portare a compimento un’operazione di soft power; dividere la causa palestinese dall’Asse della Resistenza, trasformandola in una questione “umanitaria” e liberal-democratica. L’Anp, in questi termini, è oggettivamente una carta sporca dell’imperialismo Usa.

Concludevo:

“La Resistenza palestinese fa benissimo a mantenere i rapporti con l’Iran e la Siria, dall’altra parte ricordare George Habash è doveroso, aldilà delle sue critiche ad Arafat, personaggio eroico ma non privo di colpe. I compromessi fanno parte della politica, non devono stupirci. Chiarito questo, è corretto ribadire che l’abbandono dei principi potrebbe decretare una sconfitta ingiusta, chi scrive ritiene di dover (almeno provare, altro sarebbe pretestuoso) fermare – coi mezzi di cui dispone – questa fase degenerativa, denunciando i responsabili della catastrofe, i protagonisti d’un film inqualificabile. La Palestina rappresenta il simbolo della lotta dei popoli per la loro libertà e autodeterminazione, non può essere ceduta al colonialismo e ai suoi agenti falsi, ipocriti e doppiogiochisti”. (Ibidem)

Un discorso analogo potremmo farlo sul voltafaccia di Hamas che, ricongiungendosi con la confraternita dei Fratelli Musulmani, ha abbandonato la Siria baathista, l’unico Stato pluralista in quell’area geografica. La causa palestinese troverà la propria risoluzione soltanto all’interno dell’Asse della Resistenza, per l’abbandono di tutte le ideologie che generano oppressione. 

Note:

1 https://www.linterferenza.info/esteri/tortura-in-israele/
2 https://www.linterferenza.info/esteri/abu-mazen-lavversario-interno/

Immagine: Foto di hosny salah da Pixabay

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