di Alessandra Ciattini
Il signor Trump non fa che affermare a chiare lettere quello che gli Usa hanno sempre fatto. Colpisce nel suo programma contraddittorio il divario tra i grandiosi obiettivi e i mezzi per raggiungerli, oltre l’incapacità di valutare realisticamente la situazione politica internazionale.
Quello che abbiamo visto nei giorni passati costituisce la vera e propria incarnazione della celebre società dello spettacolo, in cui, come sosteneva Aldous Huxley descrivendo l’attuale società, i mezzi di comunicazione di massa divenuti strapotenti non diffondono né il vero né il falso, ma propagandano con grande maestria l’irreale, ossia ciò che di fatto non significa nulla, ma che è ben accolto da individui insaziabili di distrazioni. Infatti, gli esseri umani attuali, essendo ormai impotenti e rassegnati, oppressi dalla terribile fatica di sopravvivere insieme ai loro figli in un mondo sempre più devastato e caotico, cercano di non pensare e di guardare lontano dalla loro distruttiva vita quotidiana e si lasciano docilmente distrarre da tutto ciò che potrebbe far luce sulle reali cause del loro malessere. Ovviamente, cose del tutto false sono state dette dal grottesco Trump e dai suoi affiliati, come, per esempio, che i “russi” avrebbero aiutato la migliore società del mondo a sconfiggere il nazifascismo, lasciando sul terreno 60 milioni di morti, oppure l’affermazione che con lui non ci sarebbero state guerre, quando ha dichiarato che non si opporrebbe se Israele attaccasse gli impianti nucleari iraniani, senza dire nemmeno una parola sull’efferato genocidio dei palestinesi. Di questi ultimi auspica la deportazione in Giordania e in Egitto.
Il problema non sta nei singoli particolari delle sue affermazioni o del suo sconclusionato e contraddittorio programma, il problema sta nello schema in cui inserisce quanto dice e che è costruito proprio sul fantasmagorico piedistallo dell’irrealtà. Costituisce un errore, infatti, soffermarsi sulle singole dichiarazioni, magari dicendo di condividerne alcune (come, per esempio, che metterà fine alla cosiddetta ideologia woke) come sempre, bisogna guardare la totalità e non soffermarsi sul personaggio Trump. Ricordo che Larry Flink, il Ceo miliardario di BlackRock, ha dichiarato a novembre che “really doesn’t matter who wins the US presidential election, because both Donald Trump and Kamala Harris will be good for Wall Street”. Da parte sua, Jerry Sachs ha recentemente sottolineato sia la continuità della politica statunitense, basata su un’ambizione sconfinata, sia la sostanziale irresponsabilità dei suoi protagonisti.
Credo che entrambi siano informati meglio di noi e che dobbiamo renderci conto che la politica antioperaia, razzista, imperialista, spietata statunitense è caratterizzata dalla più conseguente continuità, non facendoci incantare così dal cosiddetto progressismo o dall’apertura al diverso, le cui radici reazionarie sono state svelate in molteplici occasioni. Per cui, mi stupisce sempre vedere la meraviglia e lo scalpore di fronte ai discorsi del neopresidente il quale, a differenza dei suoi finti avversari, non fa che dire veramente quello che pensa e quello che vuole (o meglio quello che vogliono i suoi sostenitori miliardari), mentre, fino a qualche tempo fa, la volontà di potenza degli Usa si ammantava della difesa dei diritti umani, della lotta contro l’autoritarismo, di difesa della libertà (solo di impresa). Finalmente Trump non fa come la Nuland, la quale, pensando di non essere ascoltata, ha detto che gli europei debbono andare a farsi… Lui lo dice apertamente affermando, per esempio, che noi dovremo pagare più tasse per consentire al cittadino statunitense medio di vivere meglio, senza sapere – incredibile! – che quest’ultimo, che riceve un salario sempre più basso (salario minimo orario 7,25 dollari), si troverà a spendere di più per i prodotti, in questo caso più costosi, importati dalle grandi catene commerciali (Walmart) dalla Cina, dal Vietnam, dalla Cambogia, dall’Europa. Bisognerebbe, poi, chiedere all’allucinato Elon Musk a quanto dovrà vendere le sue auto elettriche prodotte in Cina, molto più costose di quelle prodotte dalla cinese Byd, che gli esperti considerano assai migliori da tutti i punti di vista. E quando costeranno le Ford prodotte in Messico?
Non capisco nemmeno perché meravigliarci della subordinazione dei leader europei, i quali certo ormai non contano nulla, ma accettano la folle politica statunitense perché sono integrati nel sistema finanziario mondiale, governato da Wall Street e ora meno dalla City di Londra. Vale ancora la pena soffermarsi sulle cosiddette incongruenze del Pd e considerarlo ancora un traditore della sinistra? Lasciamo perdere questi molluschi, non abbiamo nessun bisogno di ricondurli al ragionamento. Che vadano allo sfacelo; non dobbiamo farci trascinare da loro e dalla loro finta nemica Meloni con cui hanno da poco votato l’estensione dell’invio delle armi all’Ucraina fino alla fine del 2025 per una guerra, ormai, universalmente ritenuta perduta.
Prendiamo atto che i nostri compagni di viaggio sono i palestinesi, i siriani, gli yemeniti, i soldati russi, i disertori ucraini, i popoli dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina, i migranti, i lavoratori che scioperano negli Usa, in Europa, in Australia, che guardano a un nuovo mondo e che vogliono seppellire questa società barbarica che ora si mostra nella sua reale spietatezza. Fatto sconcertante ma da un certo punto di vista sostanzialmente positivo, che dovrebbe ispirare finalmente una reale ed efficace opposizione.
Il lungo processo di decadenza economica e sociale, di cui soffre la grande potenza da decenni, è stato occultato con chiacchere falsamente democratiche volte a mascherare il divario tra i roboanti miti politici ufficiali e la realtà sottostante. Dovrebbe, ormai, essere chiaro a tutti che Donald Trump personifica la corruzione, la spietatezza, il parassitismo e la mentalità essenzialmente fascista degli oligarchi capitalisti che controllano gli Stati Uniti e che sono stati i protagonisti della scellerata politica di questo Paese sin dal suo sorgere, sia nella versione democratica che in quella repubblicana. Trump, che è un fascista dichiarato, guiderà un governo dei ricchi, composto da ricchi e per i ricchi, scrive giustamente il Wsws. Si vedano i partecipanti paganti all’oscena festa dell’insediamento, che guideranno la politica dell’ex potenza allo scopo di farla restare tale.
I suoi elettori (ha votato il 64% della popolazione) sono stati identificati, in parte, con individui maschi bianchi privi di titolo universitario che, a causa della decadenza del Paese, hanno visto peggiorare il loro tenore di vita e che sono convinti che l’America First risolleverà anche loro. Inoltre, un personaggio che batte i pugni sul tavolo e urla esercita un certo fascino su persone in cerca di riscatto e che vorrebbero assomigliargli; anche la fama di playboy di Trump, le belle donne artificiali da cui è circondato, suscitano fantasie erotiche nei suoi elettori, desiderosi di riprendersi la loro virilità. Del resto, anche il Duce, nonostante i suoi volti truci, aveva fama di tombeur des femmes.
Un’altra osservazione da fare è che l’ingrugnato Trump con i suoi slogan (America First, Maga) riconosce pienamente e inconsapevolmente il declino del suo Paese: se l’America deve ritornare a essere grande vuol dire che non lo è più, se occorre ripristinare la libertà di espressione vuol dire che da tempo questa non c’è, se occorre imporre tasse e tariffe vuol dire che il bilancio è in disavanzo, per non parlare poi dell’indebitamento, sia pubblico sia privato, attraverso l’escamotage delle carte di debito. Nonostante la firma di numerosi decreti ingiuntivi, sbandierati come se la volontà si potesse automaticamente trasformare in fatto, non sembra che siano state, per ora, elaborate proposte concrete e immediatamente realizzabili. Sembra che non tutto fili liscio e che le decisioni prese siano in contradizione con i principi retoricamente dichiarati. Per esempio, un giudice federale ha bloccato il decreto con il quale si vieta l’attribuzione della cittadinanza ai figli, nati negli Usa, dei migranti irregolari e ventidue Stati si sono appellati contro di esso perché viola il quattordicesimo emendamento della Costituzione. Inoltre, non sembra che i media proibiti (in particolare quelli russi), perché contraddicono la narrativa ufficiale su Ucraina e Israele, abbiano potuto riprendere a essere diffusi. Non so, se sempre in nome della libertà (quella degli altri costituisce sempre una minaccia alla sicurezza del grande Paese benedetto da Dio), Cuba è ripiombata in pochi giorni nella lista dei Paesi patrocinatori del terrorismo.
Naturalmente, non posso soffermarmi sulla rivoluzione di questo mondo e quell’altro immaginata da Trump e accolta trionfalmente dai suoi sostenitori-orientatori che, titubanti in un primo momento come Jeff Bezos, si sono aggregati, poi, al volgare festino del nuovo imperatore. Mi limiterò a illustrare le più preoccupanti smargiassate, sottolineando, tuttavia, che le smargiassate sono assai pericolose, perché – come si diceva – indirizzano verso falsi e irreali obiettivi, provocando ulteriori tensioni e aggravando problemi reali, come il programma di deportazione dei migranti e degli studenti pro-Palestina.
Molto preoccupante è l’idea del tutto fallimentare, trasmessa dal neopresidente che le questioni politiche siano risolvibili con un approccio personalistico, da cui scaturisce la balzana convinzione che la guerra Nato/Russia possa essere portata a termine con una telefonata al buon amico Putin. Come si è visto, non è proprio così; inoltre, le valutazioni sull’economia russa, sulle possibilità di crearle ulteriori grosse difficoltà sono abbastanza ridicole. Anzi, con il suo insistere sul desiderio di voler incontrare il presidente russo, che vincendo la guerra per ora non ha alcuna fretta di negoziare, esprime tutta la debolezza della sua posizione. D’altra parte, nonostante abbia dichiarato di amare la Russia e il suo popolo, ha minacciato di distruggere la sua economia, sollecitando l’Arabia Saudita ad abbassare il prezzo del petrolio, nello stesso tempo ha proposto a Putin di concludere “un affare”, ricorrendo all’ipotesi non nuova di sanzionare chi commercia con il grande Paese euroasiatico. Intende colpire l’India e la Cina? Con quali mezzi e quale speranza di successo?
Quanto alla Cina, è d’obbligo citare le parole di Emiliano Brancaccio, secondo il quale Trump insiste sulla menzogna sulla debolezza della Cina di Biden, la quale, a loro dire, non supererà mai gli Usa. Al contrario, da più di un decennio, a parità di potere di acquisto, il Pil cinese è superiore a quello di Gringolandia, ma ciò non può esser confessato. Occorre “alimentare uno sconfinato entusiasmo sulla pioggia di ricchezza futura attesa dal Paese”, che deriverà dalla rimozione “di tutti i lacci e i lacciuoli residui che frenano il libero sprigionarsi delle forze del capitale dentro i confini nazionali”, e al contempo “porre ostacoli e veti sempre più stringenti alle transazioni d’oltreconfine”. Giustamente, l’economista italiano definisce con un ossimoro questa politica “liber-protezionista”.
Un esempio di politica sanzionatoria problematica è stato il divieto, deciso da Biden, di comprare l’uranio russo arricchito nel maggio 2024, che – come hanno dichiarato gli impresari del settore – ha provocato carenze e un aumento del prezzo del prezioso minerale, in assenza di una produzione nazionale.
Tornando alla questione del ripristino della libertà di espressione, proprio in questi giorni si è verificato un significativo episodio: un noto giornalista della Cnn, di origine cubana, Jim Acosta, che si occupava da anni delle attività politiche della Casa bianca, ha visto la sua rubrica mattutina spostata nelle ore notturne. Il giornalista, che in passato aveva accusato Trump di demonizzare i migranti, ha lasciato la Cnn, dichiarando che “non ci si deve piegare ai tiranni”, dopo aver evocato la “dittatura castrista”. Evidentemente, a suo parere non c’è differenza tra il neopresidente e i fratelli Castro, parallelo assai sgradito ai trumpiani, tra cui spicca il pericoloso Marco Rubio.
Lo scorso 28 gennaio è stata una giornata molto confusa dovuta a un nuovo scontro tra i decreti trumpiani e il settore giudiziario. Il giorno precedente, la Casa Bianca aveva pubblicato un memorandum con cui congelava l’esborso di milioni dollari di aiuti pubblici, destinati a enti locali, piccole imprese, enti educativi, per valutarne la legittimità e congruenza; misura che metterebbe in pericolo l’assistenza medica ed economica di molti statunitensi poveri. Poche ore dopo, un giudice federale ha sospeso la decisione, allo stesso tempo i procuratori di 23 Stati hanno annunciato che faranno la stessa cosa.
Inoltre, sempre per far quadrare i conti, è stato emanato un decreto che blocca tutti gli aiuti ai Paesi stranieri, che secondo il «New York Times» arresta momentaneamente la maggior parte dei programmi di assistenza militare e di sicurezza a Paesi come l’Ucraina, Taiwan e la Giordania, fornita dall’Agenzia Usaid. Zelensky ha, invece, dichiarato che gli Usa continueranno a sostenere militarmente il suo Paese, che riceve da questi il 40% del suo fabbisogno.
Quanto alla questione del rimpatrio forzato dei migranti dichiarati illegali e sospettati di crimini, è interessante leggere quanto dichiara Tom Homan, funzionario del controllo migratorio e delle dogane, definito da Trump, lo zar del confine, che purtroppo non sono disponibili le risorse necessarie per realizzare il piano di deportazione in parte già avviato, eliminando così dalle strade minacce alla sicurezza pubblica. Deve essere il Congresso a stanziare il necessario.
Secondo uno studio del Pew Research Center vi sono negli Usa circa 11 milioni di immigrati indocumentati, di cui il 37% proviene dal México, il 18% da Guatemala, Honduras e El Salvador. Gli indocumentati costituirebbero un quarto del totale degli immigrati e sono tutti impiegati in lavori sottopagati e umili. Realisticamente possono gli Usa fare a meno del loro contributo all’economia del Paese?
Quasi tutti i presidenti latino-americani, in primis la presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, hanno espresso una grande preoccupazione per il trattamento ricevuto da questi primi deportati (qualche migliaio), ma non una parola sul loro futuro. Gli troveranno un lavoro o si limiteranno ad abbracciarli?
Immagine: Giuseppe Arcimboldo, Public domain, via Wikimedia Commons
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