di Francesco Fustaneo
In Libia, paese nei fatti ad oggi ancora diviso con due governi che si contrappongono tra loro, si susseguono ripetuti incontri istituzionali tra le rappresentanze militari e diplomatiche statunitensi e britanniche, con la compagine militare capeggiata dal generale Haftar, tradizionalmente considerata vicino a Mosca. È un segnale di riposizionamento degli Usa? E soprattutto, questi nuovi e più frequenti rapporti sono da considerarsi da apripista ad un futuro cambiamento dell’assetto istituzionale del paese?
La Libia, oggi, è un Paese di fatto spaccato in due, dove si contrappongono da una parte un governo (formalmente definito di unità nazionale), guidato da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, insediato a Tripoli, sostenuto dall’Occidente e riconosciuto dall’Onu (difeso da milizie armate che lucrano sulla pelle dei migranti subsahariani e sul trafugamento del petrolio), che controlla la Tripolitania e poco altro; dall’altro, un governo che di fatto espleta la propria autorità sulla maggioranza del territorio libico, espressione del Parlamento eletto legittimamente dal popolo e che, nelle ultime elezioni avvenute nell’ormai lontano 2014, di fronte all’opposizione militare delle milizie di Tripoli non si è mai potuto insediare nella capitale ma ha scelto, sin dall’inizio, la città di Tobruk, sulla costa orientale del Paese, come propria sede, con un proprio esercito (Esercito nazionale libico) la cui carica massima è rivestita dal generale Khalifa Belqasim Haftar.
Nonostante vi sia una vicinanza di lungo corso tra la Russia e la parte politica di cui Haftar è espressione militare, negli ultimi tempi non sono, però, mancati incontri istituzionali di alto rango tra quest’ultimo e componenti militari e diplomatiche anglosassoni.
Proprio il 4 gennaio, Khalifa Haftar, in un incontro ufficiale tenutosi a Bengasi col tenente generale John Brennan e con l’incaricato d’Affari presso l’Ambasciata degli Stati Uniti in Libia, Jeremy Brent, ha sottolineato “l’importanza del ruolo centrale degli Stati Uniti e il loro contributo alla risoluzione della crisi libica”, elogiando i progressi registrati nelle relazioni tra le due parti e il rafforzamento delle prospettive di cooperazione congiunta: affermazioni, queste, che in linguaggio diplomatico hanno un certo peso.
Il giorno prima, ossia il 3 gennaio, veniva invece ricevuto da Haftar il vicecapo di Stato Maggiore britannico, il tenente generale Harvey Smith, per discutere sui modi per migliorare la cooperazione e il coordinamento tra il Comando generale e lo Stato Maggiore britannico.
Ora, mentre da più parti continuano a pervenire notizie del trasferimento di sistemi di difesa aerea e altri materiali bellici russi nell’est della Libia a seguito della caduta del governo di Bashar al-Assad in Siria, anche per scongiurare uno sbilanciamento in senso assoluto verso Mosca, tramite il classico sistema del bastone e della carota, Usa e Uk intrattengono (e ciò va avanti già da tempo) quello che limitarsi a definire dialogo con Haftar e i suoi figli, è ormai riduttivo.
A riprova di ciò, il 18 dicembre scorso, l’incaricato d’Affari presso l’Ambasciata degli Stati Uniti in Libia, ha incontrato a Bengasi due dei figli più influenti di Haftar, Belgassem e Khaled, rispettivamente il primo alla guida del Fondo per la ricostruzione e lo sviluppo, il secondo, generale a due stelle, a capo di una delle maggiori divisioni dell’Esercito nazionale libico.
Precedentemente, un altro incontro si era tenuto tra le parti, statunitense e Haftar, lo scorso agosto.
Andando ancora a ritroso nel tempo, nel maggio del 2024 il sito web d’informazione libic, Libya Update, scriveva che uno degli altri figli di Haftar, Saddam, avrebbe incontrato in Italia, a Roma, un gruppo d’imprenditori statunitensi per discutere delle opportunità d’investimento nel Paese nordafricano, riferendo che i colloqui si sarebbero focalizzati in particolare “sugli investimenti strategici, tra cui il porto commerciale in acque profonde di Susah, uno dei punti marittimi naturali più profondi del Nord Africa”. Il gruppo Guidry statunitense, secondo la ricostruzione della testata libica, avrebbe proposto un investimento di due miliardi di dollari nel progetto portuale ubicato a 240 km a est di Bengasi.
Insomma, a statunitensi e britannici in questa fase sembra interessare la stabilità del Paese e intensificare il dialogo con Haftar anche nell’ottica di mitigare l’influenza russa sulla Libia, come avevamo già detto, e comunque intrattenere rapporti con quella parte delle istituzioni ubicate in Cirenaica con cui, volenti o nolenti, devono e dovranno comunque fare i conti per perseguire le proprie politiche e i propri interessi economici.
L’interrogativo da porsi è: tutto ciò sarà da preludio per ulteriori evoluzioni nell’assetto istituzionale del Paese e a una virata verso un’unificazione (tramite mezzi democratici o tramite le armi) definitiva della Libia?
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