L’attualità e la necessità di un partito comunista all’altezza dei tempi

di Nunzia Augeri

Presentazione del libro di Fosco Giannini Manuale popolare per la costruzione del partito comunista a Milano, 21 febbraio 2025.

Un venerdì pomeriggio grigio e uggioso, la storica sede di via Spallanzani – appena rinnovata, nitida e ben riscaldata – accoglie un flusso di persone che affollano la sala: sono compagni e compagne tutti inseriti nell’inedito percorso di Prospettiva Unitaria, con una buona percentuale di giovani e alcuni che vengono da altre città.

Vladimiro Merlin nella sua introduzione disegna un breve quadro della situazione sociale in Italia, unico Paese europeo dove i salari sono arretrati (e i miliardari aumentati) determinando un drammatico aumento della povertà. A questo corrisponde la crisi dei diversi partiti che si fregiano dell’aggettivo di comunisti, ma sono ormai solo delle sette lontane dai lavoratori, dai giovani, dai quartieri, e dedite solo a un desolante elettoralismo i cui risultati sono segnali non di esistenza ma di morte. È necessario, quindi, mettere in campo un partito nuovo, vivo, in grado di affrontare le contraddizioni del nostro tempo.

Prende la parola Fosco Giannini: da un breve riesame delle esperienze comuniste successive alla dissoluzione del Partito comunista, in particolare quella di Rifondazione comunista che è naufragata in un movimentismo senza movimento e nel più gretto istituzionalismo, e poi quella dei diversi partiti comunisti che sono stati tutti il risultato di scissioni e non presentano un progetto autonomo e forte, alla crisi irreversibile non si vede alcun cenno di ripresa. E qui appare il senso vero del titolo del libro, Manuale popolare per la costruzione del partito comunista, giacché i diversi saggi affrontano i problemi relativi alla ricostruzione, oggi, di un partito comunista in Italia, cercando, in particolare, di dare risposta a quattro domande, apparentemente banali, che spesso ci sentiamo rivolgere e che bisogna ascoltare.

La prima: ma ancora osiamo offrire una proposta di partito? Rispondiamo che la forma partito non è superata, come vogliono farci credere. I partiti esistono ancor oggi, solo che non osano più chiamarsi tali e scelgono i nomi più fantasiosi. Il termine viene rimosso in quanto il partito è la moderna forma organizzativa del movimento operaio che si presenta con la rivoluzione industriale: la cultura dominante vuole abolire la forma partito per negare l’opposizione di classe. Oggi è necessario rivitalizzare il partito come organizzazione della nuova classe lavoratrice salariata, sottopagata e proletarizzata.

La seconda domanda riguarda la morte dei partiti comunisti e del comunismo. Si tratta di una tesi che dilaga nel mondo capitalistico a fini puramente propagandistici. Ma nel resto del mondo, i partiti comunisti governano il 20% dell’umanità, a cominciare dal gigante cinese con il suo miliardo e mezzo di abitanti; e inoltre, oggi il Partito comunista cinese porta avanti una grande ricerca politico-filosofica ed è diventato il partito di avanguardia alla testa dei Brics+, che hanno lanciato la sfida a livello mondiale contro lo strapotere del capitalismo globale. Nello Sri Lanka il partito comunista ha raggiunto il 64%, nel Kenya il partito comunista è al centro di una rivoluzione, come in altri Paesi dell’Africa, ma il nostro inveterato provincialismo non ammette la conoscenza dei movimenti in atto nel mondo. E dove non governano, alcuni partiti comunisti rappresentano una forte opposizione di cui bisogna tener conto, come in Giappone e in Russia. 

La terza domanda riguarda la presenza di una molteplicità di partiti comunisti in Italia. Le etichette sono molte, infatti, ma dietro non c’è niente. Di fronte alle 130 basi Nato, di fronte alla Stellantis e alle decine di altre fabbriche che chiudono e licenziano i lavoratori, non c’è una sola bandiera rossa che sventoli a segnalare l’esistenza di un partito che li organizzi e li difenda.

L’ultima domanda riguarda il contesto internazionale che, secondo l’impressione generale, sarebbe sfavorevole al risorgere di un partito comunista. Al contrario, oggi la situazione internazionale è in rapido e continuo cambiamento; se negli anni ’90, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il capitale esultante per la vittoria proclamava la fine della storia, la storia non è affatto finita e in poco più di vent’anni i rapporti di forza sono profondamente cambiati. Il sorgere di una associazione di grandi Paesi, di diversi continenti e diverse forme di governo, i Brics+ che si sono uniti in funzione antimperialistica, ha rivoluzionato il quadro internazionale. Il capitale ha fatto ricorso alla sua ultima risorsa, la guerra e il terrore, per ripristinare il proprio dominio. Ma il netto cambiamento dei rapporti di forza su scala internazionale legittima il progetto rivoluzionario anche in Italia. La possibilità di una terza guerra mondiale è consustanziale al capitalismo in crisi: uniti si può cominciare a risolvere la questione di un risorto partito comunista, che in Italia è aperta da ormai cinquant’anni. 

Interviene poi Alessandro Pascale, di Resistenza Popolare, il quale anzitutto sottolinea la necessità e l’importanza dell’elaborazione teorica, giacché senza una solida teoria rivoluzionaria la prassi di un partito gira a vuoto; è necessario, però, che le categorie marxiste vadano riprese cum grano salis. Se le opere di Lenin e di Gramsci restano come pilastri imprescindibili per evitare errori come quelli compiuti nell’esperienza di Rifondazione comunista, è necessario analizzare a fondo il capitalismo attuale e le sue contraddizioni primarie e secondarie. Passando all’attualità, accenna allo shock provocato dai nuovi vertici degli Stati Uniti che, per la prima volta dopo la fine della Seconda Guerra mondiale hanno intaccato la coesione del blocco quasi unico – anche se con qualche crepa – costituito dai Paesi occidentali: un’azione indotta dalla necessità di rilanciare il capitale, al pari del rilancio della guerra fredda. La rottura fra Stati Uniti e Unione europea è un fatto molto importante che da una parte apre prospettive politiche enormi, e dall’altra ha rivelato la vera natura dell’Unione che non è un progetto democratico e popolare, ma uno strumento di coordinamento delle élite europee rispetto al potere politico statunitense. Tali élite continuano le relazioni con gli Stati Uniti nella sfera finanziaria, di cui non è semplice analizzare e ricostruire processi e modalità decisionali, ma è necessario farlo per svelare gli aspetti neo-aristocratici della nostra società formalmente – e solo formalmente – democratica. Passando alle questioni del lavoro, Pascale introduce il problema dell’intelligenza artificiale, che minaccia di abolire il 20% dei posti di lavoro attuali. Le macchine e la tecnologia, se usati dal capitalismo, vanno a vantaggio esclusivo del capitale, mentre in una società socialista sarebbero a vantaggio della disalienazione dal lavoro. Oggi, invece, il lavoro è asfissiante, le difficoltà economiche hanno ricacciato il ceto medio nello status di proletariato. La situazione dei lavoratori è, poi, resa ancor più complicata per la presenza di un ormai ampio proletariato straniero, al quale bisogna trovare il modo di avvicinarsi e parlare. Mettere insieme le forze di tanti gruppi divisi significa trasformare la quantità in qualità: un percorso difficile a causa delle forti contraddizioni che esistono nel residuale campo comunista, ma – conclude Pascale – è necessario cercare e trovare il percorso giusto che porti all’unità.

Prende, infine, la parola Roberto Barbieri, di Patria Socialista, che riprende l’argomento della forma partito, e della demonizzazione avvenuta alla fine della cosiddetta Prima Repubblica: i partiti sono stati accusati – e l’accusa è passata nel senso comune – di essere organizzazioni di ladri e corrotti e sono diventati comitati elettorali di tipo personalistico, legati al nome di un leader. Ma non esiste altra forma che permetta l’organizzazione della lotta dei lavoratori e dei diseredati, è necessario recuperare la forma partito e darle dignità, anche per riportare quel senso di appartenenza che una volta legava fortemente gli aderenti ai partiti di classe e che oggi è sparito. Barbieri passa, poi, a toccare un punto importante dell’elaborazione teorica e della prassi di un partito comunista: la questione della nazione, della patria. Rileva che i partiti comunisti nel mondo sono tutti patriottici, che il concetto di patria è importante per costruire un’identità e per coinvolgere i cittadini; e in questo senso, ogni partito comunista deve trovare la propria strada, nessun modello è esportabile in una società diversa. Termina, infine, con un forte richiamo alla necessità di radicarsi fra il popolo, ascoltarne i bisogni, di tornare nei quartieri, nelle periferie, nei mercati, sui posti di lavoro, per parlare di diritto alla casa, al lavoro, di immigrazione. Se è necessaria l’elaborazione teorica, ancora più necessario è sporcarsi le mani per le strade, giacché un partito comunista è per il popolo, per i lavoratori che oggi votano a destra perché i comunisti hanno abbandonato le lotte sociali.

Il dibattito che segue vede l’intervento di vari compagni che sollevano questioni relative al mondo del lavoro, alla sovranità nazionale, ai rapporti con l’Unione europea, e poi alle difficoltà del percorso unitario che si sta cercando di svolgere: tutti argomenti ognuno dei quali meriterebbe almeno un’intera giornata di riflessione. L’atmosfera è cordiale, la discussione appassionata e di tono amichevole. Il libro di Fosco trova molti acquirenti: ne vale la pena, non solo perché la raccolta di testi tocca tutti le grandi questioni del momento, ma anche per la colta e accorata prefazione che ne ha scritto Adriana Bernardeschi e per l’intervista all’autore, fatta da Luigi Basile con domande adeguate e che permettono di scavare a fondo gli argomenti.

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