di redazione
Il 15 marzo a Roma una piazza alternativa, quella per la pace senza ambiguità: Piazza Barberini alle 15.
Oggi apprendiamo che Donald Trump, soddisfatto per come stanno andando le conversazioni del suo inviato Steve Witkoff con Putin, chiede pietà per i soldati ucraini isolati e completamente circondati nella provincia di Kursk. Ha sottolineato che sarebbe un orribile massacro simile a quelli che si sono visti durante la Seconda Guerra Mondiale e ha auspicato che Dio benedica i poveri ucraini. Ieri, invece, è stato reso noto che la Corte europea dei diritti umani ha dichiarato che le autorità ucraine sono responsabili della strage di Odessa, avvenuta nel 2014, nella quale furono assassinate 42 persone tra cui una donna incinta crudelmente strangolata.
Naturalmente il signor Trump nemmeno in questa occasione ha espresso compassione e preoccupazione per quello che è avvenuto e sta avvenendo in Palestina e in Siria né chiede pietà per bambini palestinesi e per gli alawiti massacrati dagli “ex terroristi” ora al potere.
Non citiamo questi eventi perché siamo sostenitori della legge del taglione; siamo ben felici che si arrivi a una tregua in Ucraina (come speriamo avvenga presto negli altri luoghi devastati dai conflitti), ma la pace è qualcosa di più complesso e serio e implica un insieme di condizioni che la Federazione russa ha sempre indicato con molta precisione, ben consapevole che non ha a che fare con interlocutori affidabili. Infatti, Putin ha enumerato ben determinate condizioni, il cui scopo è ristabilire condizioni di stabilità e di sicurezza per tutti i paesi europei, evitare che, nel corso della tregua, l’Ucraina si rafforzi, bloccare qualsiasi ipotesi di invio di truppe da parte dei bellicosi governi guidati dal signor Micron (meglio che Macron). Quanto ai soldati ucraini, che certamente in molti casi sono stati costretti a combattere contro i loro fratelli russi, con il suo solito stile misurato, Putin ha affermato che essi hanno la possibilità di arrendersi, per essere risparmiati. Ci auguriamo che lo facciano, come del resto, stanno già facendo da tempo, cessando di fare da carne da macello, mentre i suoi capi delegittimati (Zelensky non è più il presidente dell’Ucraina da maggio) se ne vanno in giro per il mondo, in divisa paramilitare, parlando di armi e di guerra e chiedendo denaro, senza aver mai partecipato a una battaglia. E finendo poi con l’essere ricattati dai loro stessi sedicenti alleati, che li hanno messi di fronte all’atroce dilemma “O le ricchezze o la fine”.Qualcuno ha consigliato a Zelensky, dopo la cacciata dallo Studio ovale, di rivolgersi direttamente a Putin che probabilmente lo avrebbe trattato con maggiore comprensione, pur tenendo conto dei disastri che ha combinato non solo per sua autonoma scelta.
Dinanzi a questi ultimi eventi, certo da non attribuire al “pacifismo” di Trump (già durante la sua prima presidenza mandò le armi all’Ucraina), un certo Michele Serra, ricomparso e segnato dai tempi, sta dandosi da fare, con molti supporti, per organizzare manifestazioni “apartitiche” in tutta Italia sabato 15 marzo, a Roma a Piazza del Popolo, intitolata “Una piazza per l’Europa“. L’ingenuo Serra (ma molto probabilmente ci fa) pensa che eventi di questo genere siano apartitici e che la Ue, con le sue bandiere stellate, possa esser presentata ancora oggi, dopo anni di politiche antipopolari e razziste, come l’emblema dell’unità, dei “sacrosanti valori democratici”, e non come l’espressione dell’arroganza, dei privilegi di pochi, di un folle quanto inefficace bellicismo. Totalmente privo del senso della misura ha addirittura invocato “Qui si fa l’Europa o si muore”, suscitando in molti (speriamo la maggioranza) non solo sconcerto, ma anche qualche scomposta risata. Ci sarebbe voluto il celebre pernacchio di Eduardo (ci eserciteremo a farlo, perché sarà necessario anche in futuro).
Con una serie di illogiche e incomprensibili distinzioni, hanno aderito pressoché tutti quelli che da mane a sera cercano di indottrinarci (partiti di governo e “opposizione”, sindaci e sindacati in preda a una grave confusione mentale), soprattutto per non riconoscere almeno in extremis che sono stati sconfitti dai fatti e che la loro narrazione del conflitto, con la Russia pronta ad arrivare cone le sue truppe fino a Lisbona (a che pro?), era totalmente priva di senso. La loro presunta credibilità sì è completamente dissolta e sono rimasti senza parole, senza conforto, abbandonati almeno apertamente anche dagli Usa, che li hanno persino esclusi, insieme all’Ucraina, dai negoziati. Sono stati, pertanto, costretti a reagire, ma solo con una ridicola pagliacciata in mancanza di qualcosa di più serio.
L’intelligente Lavrov ha dichiarato che non gli interessa quello che pensano i leader europei, sicuro che faranno quello che sarà loro ordinato.
Gli organizzatori di questi eventi sono quelli che hanno sostenuto che l’Ucraina era un paese democratico, benché bombardasse parte dei suoi stessi abitanti, che le armi erano inviate per difendere il diritto internazionale (sempre violato dai padroni della baracca) e la libertà dei popoli, che era giusto mandare gli ucraini a morire, perché morivano anche per noi (in verità per loro). Sono quelli stessi che non si sono mai sognati di appoggiare soluzioni diplomatiche e negoziate (come prevede la Carta dell’Onu), che hanno fantasticato sulla feroce aggressività dei russi, scesi in campo per difendere i russofoni e arginare la Nato, che non hanno alzato un dito contro le prepotenze del nostro grande alleato e benefattore (vedi la distruzione dei gasdotti), a causa del quale molti europei si sono drammaticamente impoveriti. E che last but not least ora immaginano, forse in preda a qualche oppioide, che dobbiamo investire tutte le nostre ricchezze in un mastodontico riarmo, che arricchirà i già noti miliardari ormai saldamente al potere.
Da parte nostra, crediamo in un’Europa dei lavoratori (e non semplicemente dei popoli), fondata sulla collaborazione e non sulla competizione, aperta al commercio e agli scambi con tutti i paesi del mondo (soprattutto con l’europea Russia) in un regime di completa parità, rispettosa dei trattati che prevedono la sicurezza comune, nel senso che un paese non può armarsi fino a costituire un nemico per i suoi vicini e pari. Vogliamo un’Europa e un mondo (siamo più ambiziosi) contro tutte le guerre, che non siano di resistenza a un nemico invasore (Vietnam, Palestina), la soluzione di tutti gli attuali conflitti, esigiamo investimenti che ci facciano uscire dalla gravissima crisi in cui questi irresponsabili, incollati al potere, ci hanno cacciati; vogliamo politiche che offrano sostegno ai paesi impoveriti dalle politiche coloniali e ai loro cittadini, che cercano scampo nella nostra terra, vogliamo che tutti gli esseri umani vivano una vita degna di essere vissuta, vogliamo una società in cui la vita produca altra vita e non il nulla e la morte, fino a prefigurare la distruzione della stessa umanità.
Sicuramente, quindi, il 15 marzo non partecipiamo alla manifestazione lanciata da Michele Serra. Ma nello stesso giorno, sempre a Roma, è stata indetta una manifestazione per la Pace, senza ambiguità, che si tiene a Piazza Barberini, alle 15. E’ dunque il caso di scendere in piazza inneggiando ai lavoratori, i soli che hanno un vero interesse a costruire e difendere un mondo senza guerre e senza scellerate politiche di riarmo, che già stanno violando i (in questo caso sì) sacrosanti diritti di tutti gli esseri umani.
Lascia un commento