di Sergio Leoni
Un invito all’ascolto di una delle più importanti opere vocali del grande compositore tedesco.
Scrive Carlo Casini, autore di una preziosissima Storia della musica. Dall’antichità classica al Novecento, di cui uno tra i tanti meriti è quello di aver inserito, alla fine di ogni periodo storico analizzato, una “guida all’ascolto” in cui vengono indicati i brani più salienti del momento musicale esaminato, e questo a partire dalla più lontana antichità greca per arrivare ad un Novecento in cui si percepisce l’impossibilità, nei fatti, di indicare dei pezzi a scapito di altri, data la quantità enorme della musica composta ed eseguita e che ha ormai peraltro la consapevolezza di costituire un’arte a tutto tondo, non più dipendente da altre espressioni artistiche (su questo tema occorrerà tornarci): “Il cardine dell’arte di Bach è costituito, sotto forma di magistero musicale, nella ricerca del sublime”.
Giudizio in realtà impegnativo e basato su categorie che, da sfuggenti ed elusive che si presenterebbero se non sostenute da una salda tesi, vengono immediatamente precisate da un’analisi che vale la pena di riportare per intero.
“I termini di sublime e razionalità sono antitetici, dato che la ricerca del sublime implica un processo di irrazionalità, secondo le categorie storiche-filosofiche del pensiero occidentale. Ma i due termini sono conciliati, in Bach, dalla fede espressa nell’esplicita adesione a una confessione religiosa: luterano ortodosso, il compositore applicò alla musica e alla sua perfezione il principio espresso da Lutero secondo il quale l’arte, e la musica in particolare contribuiscono validamente a elevare l’animo umano verso la religione e la glorificazione di Dio”.
Un vero e proprio “programma” finalizzato alla realizzazione di assunti che, in effetti, poggiano su una religiosità che coinvolge ogni aspetto della vita, e dunque la pratica di un’arte, quella della musica, che non godeva ancora, in pieno Settecento di quel prestigio e di quella autonomia che soltanto con Beethoven, e dunque più di un secolo più tardi verrà riconosciuta e celebrata.
Nel complesso della produzione musicale di Bach, si possono rilevare, in via preliminare e con qualche inevitabile generalizzazione, ma anche come utile metodo generale, almeno due filoni, legati peraltro all’uso dello strumento scelto per l’occasione.
Nel tempo in cui Bach ha sviluppato la sua arte, gli strumenti a tastiera era essenzialmente due: il clavicembalo e l’organo (il clavicordo, che pure è stato presente sulla scena musicale per almeno quattrocento anni, non ha avuto altrettanta fortuna ed è nei fatti scomparso dall’orizzonte musicale). Sul primo Bach comporrà quello che è un caposaldo della musica di ogni tempo, su cui studieranno non solo generazioni di allievi musicisti, ma anche musicisti affermati e lo stesso Beethoven, per sua stessa ammissione, per citare forse il più importante: Il clavicembalo ben temperato.
Vale la pena di dire l’essenziale su questa che è diventata una pietra miliare della musica.
Il clavicembalo ben temperato è una raccolta, in due volumi, di ‘Toccate e fughe’, una per ognuna delle 12 tonalità della tastiera. Applicabile naturalmente anche all’organo, nasce come metodo di studio attraverso la conoscenza del clavicembalo che all’epoca era strumento diffusissimo. Il termine “temperato”, potrebbe essere tranquillamente essere tradotto come “accordatura”.
Non è qui il caso scendere in particolari tecnici riguardanti le varie possibilità di accordare uno strumento, cioè di fare in modo che il “rapporto”tra le note sia, per così dire, coerente. Ed è altrettanto ozioso cercare di stabilire con quale criterio, o riprendendo quale tradizione o scelta, Bach abbia scelto quello che è diventato, a tutti gli effetti, un codice rispetto a cui, finora, nessuno ha trovato un’alternativa, e che consiste, essenzialmente, nella divisione delle varie tonalità secondo una progressioni di semitoni che portano a quella che è tuttora la scansione della tastiera.
Nella struttura musicale di Bach, l’organo, l’altro grande punto di riferimento di un compositore che era peraltro anche un grande esecutore, un “virtuoso” secondo il consolidato linguaggio musicale, viene sostanzialmente usato per composizioni di carattere “religioso”, qualunque sia la forma esteriore che essi presentano (toccate, fughe , sonate, trio sonate ed altro).
Con il clavicembalo Bach si dedica, oltre che alla composizione, ( composizione sviluppata molto spesso, nell’ottica di essere un grande artigiano della musica nel corso della settimana e poi un grande esecutore la domenica nella chiesa dotata di un organo a canne) quella parte della sua produzione, né secondaria e tanto meno minoritaria, che riguarda una musica che, sbrigativamente, potremmo considerare “profana”, in cui vengono affrontati temi, occasioni per “cantate”, i più disparati. Un buon esempio è la (tradotta in inglese da un difficile tedesco) Hunting cantata, una specie di esaltazione per la passione venatoria. Tema che, con ogni evidenza, intorno al 1700, non veniva considerato scorretto o contrario ai principi della carità cristiana. (Su questo tema, sia detto marginalmente, ha espresso parole di qualche peso e storicamente fondate, Michel Onfray in Anima).
Ora, è evidente che le composizioni per organo di Bach siano molto (genericamente) conosciute, non solo dagli specialisti e dai cosiddetti addetti ai lavori. Certe sue composizioni, e penso naturalmente (è banale ma inevitabile) alla famosa “Toccata e fuga in Re minore”, sono diventati temi per i più svariati usi, da quelli pubblicitari a quelli che concernono colonne sonore di film.
E’ singolare che la musica di un compositore del ‘700 sia stata presa in prestito (spesso in maniera del tutto scorretta) per supportare altre arti (cinema in particolare), mentre, ai suoi tempi, era la musica ad avere un rapporto “ancillare” con le altre arti.
Ma, d’altra parte, ciò è anche il segnale inequivocabile di una “modernità” di Bach sorprendente e confermata da mille indizi.
Un piccolo ma significativo esempio. Ai giovani allievi che studiano pianoforte (e in seconda battuta organo), Pozzoli, un nome più che importante nell’ambito delle raccolte di studi pianistici tratti dai grandi autori, raccoglie in un fascicolo una serie di brani di Bach. Si tratta di alcuni minuetti, di una musetta, di una polacca e, infine, di un “preludio”. Quest’ultimo, schematico ma più propriamente “matematico” nella sua struttura, pur essendo un pezzo “facile”, riprende in qualche maniera il modo di lavorare del compositore. Ma la cosa sorprendente, almeno per chi scrive e che mi è stata fatta notare da chi la musica la frequenta da decenni, è che questo “pezzo” è costruito su una serie di accordi che, sviluppati un po’ al di fuori da quello che dice il pentagramma riguardo alla parte che riguarda la mano destra (il cosiddetto “canto”), potrebbero praticamente costituire una composizione di un brano, ognuno si faccia la sua opinione, del tutto “moderno”.Nel senso, intendo, che potrebbe essere suonato, con quella sequenza di accordi, da qualunque gruppo che non si accontenti di una streaming musicale oggi abbastanza povero.
Ora, il Magnificat, che è modestamente il tema di questo semplice invito all’ascolto, in qualche modo riesce ad unire quelli che abbiamo indicato come due filoni di produzione che soltanto da un punto di vista teorico dovrebbero correre su binari diversi, se pur paralleli. Una più che giustificata prudenza suggerisce di non aderire a suggestioni che potrebbero nascere da un ascolto viziato da un giudizio, o da un innocente pregiudizio iniziale. Voglio dire, ogni classificazione è utile fintanto che non cada nella trappola di dividere, perfino artificialmente, la produzione di un autore che per definizione è sempre in divenire e non accetta schemi precostituiti.
Magnificat è, strutturalmente, senza dubbio una “cantata”. Il contenuto, al contrario, guarda a un tema indiscutibilmente sacro: il testo, per ogni parte appena una riga (“Quia respexit humilitatem ancilla suae: ecce enim hoc beatam me dicente) è tratto dal Vangelo secondo Luca, nel quale Maria loda e ringrazia Dio perché ha liberato il suo popolo.
Alcuni dati essenziali: la cantata è divisa in dodici parti, che possono essere raggruppati (volendo dare una struttura ad un’opera che tuttavia è perfettamente compiuta, in tre movimenti; ognuno inizia con un’aria ed è completato dal coro. Per chi volesse ascoltare questo capolavoro: la sua durata è di appena trenta minuti.
E quanto alla composizione dell”’ensemble”: soprano I, soprano II, contralto, tenore, basso, tromba I, tromba II e III, timpani, flauti I e II, oboe d’amore I e II, archi e basso continuo. Una struttura musicale che, mentre riprende completamente dalla tradizione barocca (ampliandola al massimo) con l’uso del basso continuo “contrapposto” alle voci dei cantanti e degli archi, introduce in maniera per certi versi sorprendente, l’uso di strumenti a fiato che, se da un lato possono apparire perfino esagerati nel loro ingresso (qualche critico ha potuto parlare di una “pomposa” introduzione), nello stesso momento spostano il baricentro del brano su un percorso in cui, questo non va mai dimenticato, l’ascolto deve essere necessariamente “paziente” per cogliere, lungo tutta la struttura del brano, quelle che sono autentiche perle di lirismo. Del resto l’atteggiamento dei cantanti, “front line” in questo contesto, mostrano una partecipazione che va valutata come autentica, nella misura in cui quella, ancora più esibita nel melodramma, appare, per converso e in qualche modo “insincera”.Qui il cantante recita una “parte”. Nell’esecuzione dei pezzi di Bach quello stesso cantante mette in gioco tutta la sua “arte”, la sua capacità vocale.
Tutto ciò, è appena superfluo ricordarlo, si riverbera in maniera evidente nella produzione discografica, ma, soprattutto, e al quadrato, nei concerti e nelle rappresentazioni dal vivo, (e in questo senso, la possibilità di vedere concerti di ogni tipo su Internet rappresenta quel lato positivo della “rete”, quel lato progressivo che avremmo voluto vedere sviluppato e consolidato nel tempo, invano).
Nel 1723 J.S.Bach è assunto come “kantor” a Lipsia. Il termine (kantor) descrive il mestiere di insegnante e compositore, in questo caso, presso la scuola intitolata a San Tommaso. Una notizia che racconta e conferma quale fosse il ruolo, la posizione e in definitiva l’importanza di un gigante della musica come è stato indubbiamente Bach, in una società in cui, ad esempio, il teatro musicale viene escluso dall’orizzonte delle possibili scelte del musicista in quanto esso, intendo il teatro, è considerato in qualche modo “contaminato”. Esso non appartiene “solo” alla musica. Bach lo esclude dal suo orizzonte musicale.
E tutto ciò nel solco di una tradizione familiare (i Bach hanno un albero genealogico di musicisti a dire poco sorprendente) che affonda le sue radici fin dal 500. Una famiglia in cui doveva sembrare naturale perseguire e continuare quello che era un mestiere molto più che dignitoso e che poi diventerà, sostanzialmente dopo la ventata romantica e ottocentesca con l’introduzione di un termine quantomeno ambiguo come “ispirazione”, una occupazione, un mestiere, senza ulteriori aggettivi.
Se è consentito un ricordo personale, andrei alla memoria di una domenica di Pasqua nella cattolicissima Monaco di Baviera, in cui in un centro storici tutto sommato non troppo grande sorgono due grandi chiese di cui, se non informati opportunamente, è difficile capire quella che è davvero la cattedrale.
Entro nella chiesa dedicata a San Francesco. Una messa cantata sta volgendo al termine.
Nella grande navata il suono di un organo a canne di una dimensione che posso solo immaginare ( è in corso una funzione e non posso avvicinarmi all’altare),ma che è sicuramente imponente, accompagna un coro di cui credo di capire si sta interpretando un “Gloria”.
Probabilmente non si tratta neanche di un brano di Bach. Non importa. Lo spirito, il senso, arriverei a dire uno stile se questo non fosse davvero qualcosa come un codice a barre, dunque irripetibile, è lo stesso: potenza dei toni bassi, entrate di toni acuti. In fondo quello su cui la musica, in generale, e vorrei dire generalizzando in maniera forte, fonda buona parte del suo essere “suggestiva”. In altri termini, uno dei modi, collaudati nel corso dei secoli, per accattivarsi l’attenzione dell’ascoltatore.
Ma, d’altra parte, dopo aver preso atto che la musica di Bach, pur nella sua “grandiosità” (è un termine desueto ma tutto sommato descrittivo quanto serve), risponde a logiche sociali ben precise (adesione alla logica luterana, mestiere di musicista alla corte dei vip dell’epoca),resta , da un lato l’ammirazione per un arte che davvero appare come capace di scavalcare secoli di nodi musicali, ma dall’altro la consapevolezza che questa stessa arte, domeniche di Pasqua a parte, non apparteneva in maniera “equa”, socialmente accettabile, alla società del tempo nel suo insieme. E quando veniva condivisa (ancora una volta le funzione canoniche, e quindi anche il Natale) tutto ciò forse si presentava probabilmente come un meccanismo ben riuscito, srotolando tutta la sua potenza evocativa, per una non dopo tutto non troppo sottile strategia di dominio, a partire naturalmente, dalla sua forma meno invasiva.
Immaginiamo un contadino, o qualunque altro lavoratore appartenente alle classi più bassi, che per il giorno di Pasqua va a messa nella cattedrale o, dopotutto, indifferentemente, in una qualunque chiesa del centro della città.
Come non capire la portata di suggestione, l’emozione anche la più semplice, la sensazione di essere “piccoli” di fronte a tanta “grandezza”? Un senso di inadeguatezza che è tipico ed è la costante di ogni persona oppressa.
E’ facile dire, ma è altrettanto giusto, che la chiesa , nella versione luterana o in quella di Santa Romana chiesa, ha giocato per secoli su un sentimento che, essendo umanissimo, ha compiuto un vero sacrilegio contro il rispetto cui ogni uomo avrebbe diritto. E su questo ha fondato gran parte delle sue fortune..
Ascoltare Bach è, mi pare, da un lato un ‘esperienza emotiva notevole; dall’altro lato, e senza vera contraddizione, un modo di comprendere come la musica ,al di là della sua logica interna, diventa un modo per leggere il proprio tempo, qualunque esso sia. Ma questa stessa analisi, non dobbiamo dimenticarlo, deve coinvolge quegli stessi “autori” in una analisi dei loro tempi, senza sconti, ma equamente considerando la differente situazione sociale in cui questi artisti si sono trovati a creare. Non c’è mai stato, voglio dire, un momento storico i cui l’arte sia riuscita fino in fondo a porsi come autenticamente autonoma rispetto al “potere”, qualunque fosse il suo aspetto e le sue sotterranee direttive.
Bach è, in questo senso un autore perfettamente inserito (con tutto ciò che comporta su una piano “sociale”) nel Barocco (e spero con queste poche righe di aver suscitato un qualche interesse per una musica che non ha in generale “buona stampa”) ma è insieme, come accade con i veri innovatori, un ponte gettato sui secoli musicali successivi. Ramin Barami, quasi un cultore senza altri interessi che non sia musica di Bach, sostiene con ragione che questo compositore è una miniera “senza fondo”, quanto a invenzioni e virtuosismi.
L’auspicio, infine, che mi pare di poter augurare, e non penso si possa andare molto più in là, è quello secondo cui si torni ad ascoltare voci, spesso dimenticate, musiche (come la gran parte della produzione di Bach) che vanno oltre il frastuono e il falso silenzio che ne consegue, caratteristico di una società che considera il Festival di Sanremo uno specchio della società italiana.
Immagine: Elias Gottlob Haussmann, Public domain, via Wikimedia Commons
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