Al Mezan: il piano di annessione e sfollamento di Israele segna la fase finale del genocidio di Gaza

L’allarme lanciato dall’organizzazione indipendente per i diritti umani.

Un anno fa, l’esercito israeliano lanciava un’invasione terrestre di Rafah e prendeva il controllo del valico di frontiera di Rafah, un atto che molti leader mondiali avevano allora considerato una “linea rossa” [1]. Eppure, quelle parole si sono rivelate vuote: da allora Israele ha oltrepassato ogni “linea rossa” tracciata dalla comunità internazionale, anche violando unilateralmente l’accordo di cessate il fuoco il 18 marzo 2025 e bloccando deliberatamente l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza per oltre due mesi. Ciononostante, non è seguita alcuna assunzione di responsabilità e non sono state applicate conseguenze significative a Israele, tra cui sanzioni o blocchi alla fornitura di armi.

All’inizio di questa settimana, in una totale mancanza di responsabilità e di copertura politica da parte di alleati complici, il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato all’unanimità un piano per intensificare ulteriormente le operazioni militari a Gaza. L’obiettivo dichiarato del piano è l’occupazione permanente del territorio, il trasferimento forzato della popolazione palestinese nella striscia di Gaza meridionale e la sua potenziale deportazione al di fuori della Palestina: misure che gettano le basi per l’annessione di fatto di Gaza da parte di Israele. Queste azioni, se attuate, costituirebbero gravi violazioni del diritto internazionale, tra cui il crimine contro l’umanità della deportazione o del trasferimento forzato e una violazione del divieto di acquisizione di territorio con la forza.

Il voto unanime dell’intera assemblea del gabinetto di sicurezza israeliano ha palesemente rivelato l’obiettivo di fondo che guida il genocidio in corso a Gaza, di cui lo sfollamento o il trasferimento forzato dei palestinesi e l’annessione del territorio rappresentano la fase finale: un’iniziativa coloniale di insediamento a lungo termine volta alla cancellazione del popolo palestinese e all’espulsione forzata dalla sua terra. Il gabinetto di sicurezza israeliano ha inoltre approvato un piano per la distribuzione di aiuti umanitari a Gaza che viola palesemente i principi umanitari. Dal 2 marzo 2025, Israele ha consapevolmente bloccato l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, negando ai palestinesi i beni essenziali per la loro sopravvivenza fisica. Invece di facilitare gli aiuti umanitari, il piano approvato trasforma gli aiuti in uno strumento di genocidio, sottomissione e ingegneria demografica, al servizio degli obiettivi del programma genocida di insediamento coloniale israeliano. Al Mezan accoglie con favore le ferme posizioni assunte dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, dal Team Nazionale Umanitario nei Territori Palestinesi Occupati e dalla Rete delle ONG Palestinesi (PNGO), che hanno tutti respinto inequivocabilmente il piano israeliano.

Al Mezan avverte che Israele è ora pronto a entrare nella fase finale del genocidio a Gaza, alimentato da un persistente clima di impunità. Per anni, Al Mezan ha sottolineato che l’impunità genera illegalità. Decenni di violazioni israeliane incontrollate contro il popolo palestinese hanno gettato le basi per l’attuale genocidio. Ogni inadempienza nel rispetto del diritto internazionale ha rafforzato la fiducia di Israele nella sua capacità di agire senza conseguenze. In particolare nell’ultimo anno e mezzo, Israele ha ripetutamente dimostrato il suo disprezzo per l’ordinamento giuridico internazionale ignorando deliberatamente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dell’Assemblea Generale e del Consiglio per i Diritti Umani, nonché le misure provvisorie giuridicamente vincolanti emesse dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nel caso Sudafrica contro Israele.

Il parlamento israeliano ha approvato due leggi volte a smantellare l’UNRWA, entrambe successivamente confermate dalla Corte Suprema israeliana. Questa costante sfida alle istituzioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite (ONU), e al diritto internazionale sottolinea la convinzione di Israele di rimanere al di sopra delle responsabilità, indipendentemente dall’entità delle sue violazioni. La convinzione di Israele di poter agire impunemente è direttamente attribuibile e costantemente alimentata dalla persistente incapacità della comunità internazionale di adottare iniziative significative per garantire la responsabilità. Questo fallimento è particolarmente evidente tra gli stati occidentali, in primis Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Unione Europea e i suoi stati membri, che hanno continuato a fornire copertura politica, militare e diplomatica a Israele nonostante le schiaccianti prove di gravi violazioni del diritto internazionale. Questo fallimento dimostra una sistematica riluttanza a garantire il rispetto del diritto internazionale attraverso misure concrete e legittime come sanzioni ed embarghi sulle armi nei confronti di Israele. Nonostante chiari obblighi giuridici, inclusi quelli ribaditi dalla Corte Internazionale di Giustizia nel Parere Consultivo del 19 luglio 2024, gli stati non hanno adempiuto ai propri doveri.

Al Mezan osserva inoltre che l’intenzione dichiarata di Israele di “rioccupare” permanentemente Gaza è un chiaro rifiuto del Parere Consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 2024, che ha stabilito che la continua presenza di Israele nel territorio palestinese occupato è “illegale” e dovrebbe essere abolita “il più rapidamente possibile”.

Issam Younis, direttore generale di Al Mezan, ha dichiarato: “Israele deve essere costretto a revocare l’assedio, la chiusura e il blocco illegali di Gaza e a consentire alle organizzazioni umanitarie un accesso illimitato per svolgere i loro mandati, in linea con i principi umanitari. Il costo dell’inazione si misura in vite palestinesi: famiglie cancellate, comunità distrutte, bambini che muoiono di fame e un intero popolo che rischia la cancellazione. Il mondo deve agire, non per obbligo legale, ma perché è l’unica scelta morale rimasta”.

Ciò di cui c’è urgente bisogno ora non sono ulteriori manifestazioni di preoccupazione, ma azioni concrete: sanzioni mirate contro funzionari e istituzioni israeliane responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale; la revisione e la sospensione delle relazioni diplomatiche ed economiche con Israele, incluso l’accordo di associazione UE-Israele; e un embargo bilaterale completo sulle armi per interrompere la fornitura a Israele delle armi utilizzate per uccidere e mutilare i palestinesi. L’esecuzione dei mandati di arresto della Corte Penale Internazionale (CPI) deve seguire senza ritardi, scuse o eccezioni. È una vergognosa dimostrazione di complicità che i leader europei e di altri paesi continuino a visitare Israele, stringendo la mano a un primo ministro ricercato dalla CPI per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, mentre, a pochi chilometri di distanza, famiglie palestinesi vengono affamate, bombardate e costrette a sfollare in quello che è il primo genocidio trasmesso in diretta streaming nella storia moderna. La comunità internazionale ha gli strumenti per fermare tutto questo, ma sta semplicemente scegliendo di non usarli.

Riferimenti:

[1] Si vedano, ad esempio, le dichiarazioni dell’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha descritto un’invasione terrestre di Rafah come una “linea rossa”, e della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che ha avvertito che un attacco israeliano a Rafah sarebbe “completamente inaccettabile”.

Immagine: foto di pubblico dominio – Alisdare Hickson from Woolwich, United Kingdom, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0&gt;, via Wikimedia Commons

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