di Laura Baldelli
Paul Klee è tra gli artisti più interessanti delle avanguardie del ’900, innovativo, originale, eclettico senza perdere la sua unità; oltre alle opere, anche la vita merita attenzione, perché l’arte emerge proprio dal suo continuo divenire Uomo: non c’è confine tra vita, natura e pittura.
Giorgio Vasari nel XVI sec. con Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, il primo libro di storia dell’arte, ci ha indicato lo stretto legame tra vita e professione artistica ed in questo “invito all’arte” intreccerò vita ed arte per raccontare Paul Klee.
Prendo spunto dal titolo del bellissimo saggio di Giorgio Botta, Paul Klee. Genio e regolatezza, ed. Economica Laterza marzo 2024, per anticipare l’uomo e l’artista, per raccontarlo lontano dalle sregolatezze delle vite spericolate dei tanti artisti noti e meno noti, che hanno creato un immaginario collettivo, per non dire “un luogo comune”, della stravaganza della vita d’artista.
Klee, nei Diari 1898-1918, custodi della sua straordinaria avventura umana e creativa, ha raccontato molto del suo percorso formativo, annotando ricordi, passioni, cambiamenti, sentimenti, emozioni, esperienze, legati ai cambiamenti della sua produzione artistica, testimoniando l’osmosi tra la vita e l’arte; i Diari sono un’opera compatta, un autoritratto che sembra un romanzo di formazione.
Klee fu musicista, incisore, saggista di arte, poeta, oltre che pittore: figlio di musicisti fu educato alla musica da divenire un eccellente violinista presso l’orchestra sinfonica di Berna, mentre la pittura gli arrivò dalla nonna materna pittrice; verso la giovinezza scelse consapevolmente di dedicarsi all’arte figurativa, senza mai abbandonare la musica, che fu determinante in tutta la sua ricerca pittorica. Nato in Svizzera da famiglia tedesca, cresciuto tra due culture, in quanto la madre cantante era francese, la sua vita si svolse tra Berna, una città internazionale ma non di tradizione cosmopolita, e Monaco dove approfondì la formazione artistica in un periodo di grande fermento culturale, in cui Wassilly Kandinsky e Franz Marc fondarono nel 1912 il movimento Der Blaue Reite, Il cavaliere blu; ma Klee studiò anche gli artisti del Rinascimento tedesco e lavorò moltissimo per addestrare il proprio talento nella coordinazione dell’occhio con la mano, nella sperimentazione di svariati materiali, fino a lasciar uscire la disciplina come istinto. La sua formazione la completarono i viaggi, fondamentali per un artista d’inizio secolo: intraprese il gran tour in Italia più volte, perché era “il suo luogo dell’anima, un paesaggio mentale, un continente psicologico”, come scrive G. Botta, dove visitò musei, frequentò teatri, lasciandoci riflessioni-racconti straordinari nei Diari, ammaliato e turbato dai grandi artisti italiani del Rinascimento. Parigi, luogo di residenza privilegiato degli artisti, fu una tappa necessaria per conoscerli ed ammirare le loro opere. Affrontò anche Africa per immergersi nell’arte islamica e nella luce: dopo il viaggio-rivelazione in Tunisia mise a fuoco la consapevolezza di essere pronto per diventare se stesso, intraprendendo con maggiore consapevolezza un percorso interiore che ognuno dovrebbe fare, anche senza evidenti talenti artistici.
Un uomo geniale che, dopo aver studiato e padroneggiato le tecniche, comprese la necessità di cercare l’interiorità e costruire l’uomo Paul Klee; lui stesso scrisse nei Diari: “dovevo innanzitutto diventare un uomo, l’arte sarebbe venuta poi”, intuendo che i talenti, da soli, non bastano.
L’ambiente provinciale, ma ricettivo in cui visse, fu favorevole per approfondire se stesso e la più bella descrizione dell’artista la scrisse Clement Greenberg: “Klee sorprende senza sconvolgere; la sua arte è eccentrica, forse, ma domestica, il suo umorismo e le sue bizzarrie, una volta decifrato il linguaggio plastico, non conturbano, ma semmai rassicurano… La vera audacia di Klee era la sua modestia, una modestia che gli faceva assumere e condurre a termine l’impresa di tramutare pressoché qualsiasi cosa in un quadro.” Infatti Klee era una persona di profondo rispetto, sapeva ascoltare, imparare e stupirsi di tutto: dal Cubismo apprese la libertà d’immaginazione, che lo liberò dalla rappresentazione naturalistica e dall’illusione di profondità, aprendogli l’intero repertorio dei segni grafici dell’umanità dagli ideogrammi ai geroglifici, dai disegni infantili ai diagrammi; apprese anche la disciplina plastica con la necessità di conservare l’unità organica e concreta della superficie del quadro. Ammirò Gustav Klimt, si appassionò a Francisco Goya specie per le incisioni satiriche che lo ispirarono per le sue produzioni, ma anche ad Albrecht Dürer ed il mistero dei numeri, ammirò gli Impressionisti e Vincent van Gogh, ma non mancò l’interesse per il poeta Rainer Maria Rilke per le Elegie duinesi, ispirate dalla nostra Duino ed evocate da Klee nell’ultima serie degli “Angeli”, simboli intimi e collettivi allo stesso tempo.
La musica influenzò moltissimo tutta la sua opera, tanto da affermare che “l’arte era un concetto temporale”, perché l’artista creava un insieme che assomigliava al cosmo di Einsten, cioè “è spazio-tempo”, per cui un disegno ha anche una dimensione temporale, in cui gli elementi sono percepiti in ordine di successione, ma anche simultaneamente: il tempo è insito nell’atto di creare e vedere. Egli stesso considerava i suoi quadri “composizioni musicali” e grazie al rapporto molto profondo con la musica, applicò il principio di deduzione di Bach all’arte visiva; infatti molte sue opere hanno un titolo ispirato dal lessico musicale, come “Fuga in rosso. Grazie alla musica Klee impresse il movimento nello spazio e le figure sembrano emanare vibrazioni, perché create con gli schemi del componimento musicale, come le scale delle note. La musica scandiva la sua vita: iniziava la giornata suonando il violino, dipingeva ascoltando i classici Bach e Mozart, concludeva la serata suonando con la moglie e gli amici.
Il “metodo Klee” fu un percorso originale ed inesplorato tra le avanguardie del’900, la sua arte è personale ed instabile, muta e non detta convenzioni, è libertà di ricerca creativa che molto si concentrata sulla “linea”: essa conduce, allaccia, congiunge, vaga come una melodia sulle corde di uno strumento. L’approfondimento sulla “linea”, fu generato dell’esperienza della pittura su vetro, che lo portò all’improvvisazione psichica sul foglio, senza i condizionamenti dell’ornato, ma anche in stretto rapporto con l’universo musicale. Per leggere l’arte di Klee occorre davvero un’erudizione visiva.
Il ragionare intorno alla luce e al colore lo condusse verso la distinzione del “tono”, ovvero il grado di luminosità di un colore: la sua sarà una pittura tonale, in cui soggetti e spazio circostante vengono come avvolti dentro un’atmosfera luminosa. Le sue opere emanano luce, non colore.
In controtendenza ai contemporanei, il suo colore è “dilavato”, “sbiancato”, leggero, quasi tenero che non definisce contorni, si muove nell’ambiguità, è soffuso, s’intensifica o svanisce come fa la luce; infatti usò il colore come tinta e non per creare volume.
Picasso, agli antipodi di Klee, lo ammirava tantissimo e andò spesso a fargli visita, anche durante la malattia; scrisse Greenberg: “Picasso vede il quadro come un muro, mentre Klee lo vede come una pagina. E quando si dipinge un muro occorre tener conto dell’ambiente circostante e dei suoi rapporti con l’opera d’arte. Qui prevale l’architettura e con essa il monumentale, il pubblico”. Klee possiede invece un intimismo lirico, dove la sfera dell’arte è privata e privilegia le piccole dimensioni. Egli si affidava alla spontaneità che si manifestava dalla totalità dell’io, riversando nell’opera ogni forza fisica e capacità mentale e il suo metodo ripercorre la storia della pittura primitiva: dallo scarabocchio, dal segno senza significato fino all’immagine riconoscibile; lo scopo della sua arte non era l’illustrazione, bensì la forma. Infatti disegnava muovendo il segno senza avere in mente alcun oggetto, finché quel segno, nato dall’improvvisazione psichica, mostrava casuali somiglianze, che a quel punto venivano elaborate fino a creare una composizione che ispirasse anche un titolo, una suggestione letteraria.
Infatti in Klee c’è una compenetrazione tra musica, letteratura e pittura, anche se considerava la pittura, l’arte più vicina alla musica.
Gregorio Botta scrive: “… Paul Klee, il pittore che ha saputo rimanere, dipingendo, musicista e scrittore”; così anche i titoli dei quadri nell’arte di Klee sono esplorare, perché la scrittura entra nell’opera d’arte con il titolo, come un suggerimento di lettura, ma anche come una suggestione misteriosa e lirica, oltre che visiva.
Questo fu anche il pensiero mistico-spiritualistico di Kandinsky nel testo Lo spirituale nell’arte, in cui scrisse che il pittore è come il musicista, perché utilizza olio e colori come parti costitutive di uno strumento musicale, il cui insieme complessivo è l’anima dell’artista, mossa nella creazione dal “principio di necessità interiore”.
Ma Klee è lontano dal pensiero mistico-spirituale di Kandinsky, perché ricerca il controllo dell’esuberanza e della passione espressionista, attraverso un processo dialettico tra l’impulso percettivo e la realtà: tenere un diario è proprio mettere delle parole sulle proprie emozioni, sulle intuizioni che premono per palesarsi. La sua pittura infatti nasce nella sua immaginazione, nata da un’analisi accurata di figure e sensazioni fisiche e psicologiche, condotta negli anni costantemente, come un esercizio spirituale, vitale per conoscere e giustificare la propria presenza nel mondo. Lontanissima dalla “fantasia” che giudica dannosa.
Durante il viaggio in Tunisia nel 1914, dalle riflessioni sui Diari emerge l’entusiasmo del grande cambiamento interiore verso il rinnovamento del suo stile e della tavolozza dei colori: la luce e i colori del Maghreb lo affascinarono ed influenzarono l’aspetto cromatico della sua pittura a beneficio soprattutto dell’acquerello, ma frequentemente usò tecniche anche miste. Addirittura dopo l’esecuzione dell’opera Davanti alle porte di Kairouan, Klee scrisse nei Diari di essere finalmente diventato pittore. Quella luce d’Africa divenne parte della sua interiorità, la ritroviamo in moltissime opere, ed il tono diventò un elemento costruttivo del quadro. Klee considerava suo Maestro Paul Cézanne, di cui amava la frase: “Il colore è il luogo dove s’incontrano il nostro cervello e l’universo”.
Klee fu il maestro assoluto della pittura tonale e in Tunisia trovò la sintesi tra arte e natura, un percorso che lo portò a scrivere: “sono un pittore”, cioè capace di farsi penetrare dal colore e farlo vivere sul foglio o sulla tela. Il paesaggio architettonico tunisino creò suggestioni visive, evocate come cubi, quadrati, parallelepipedi, che simbolicamente ritroviamo in molte composizioni pittoriche, anche dove gli elementi figurativi sono assenti, per lasciar posto a blocchi di colori vivaci accostati, i famosi “quadrati magici”, in un geniale equilibrio tra colore e simbolismo. La Tunisia rappresentò così la sua Patria Artistica. Anche la visita ai mosaici ravennati lo avevano suggestionato e ritroviamo il mosaico, sotto forma anche di puntinismo rivisitato, in molte sue opere.
Scrive Botta: “I tre vertici del suo mondo arte-natura-io, sono finalmente congiunti”.
Klee stesso parla di “architettura del dipinto” perché usando e combinando svariati materiali tra cui la carta, la tela, il legno, il cartone, il lino, sperimentò anche un lavoro di post produzione tagliando e cucendo la carta. Un soggetto, che accompagnò ad intervalli tutta l’opera di Klee, furono gli “Angeli”, a cui andrebbe dedicato un racconto a parte; infatti il filosofo Walter Benjamin s’innamorò del famoso Angelus Novus, vedendo simbolicamente e profeticamente nel quadro “l’angelo della Storia”, “la bufera della Storia e del progresso”.
Con lo scoppio della Grande Guerra, Klee si trovò senza confronto artistico: i suoi amici August Macke e Franz Marc, arruolati volontari morirono quasi subito, Picasso e Delaunay risiedevano in Francia, nemica della Germania e l’amico Kandinsky fu richiamato in Russia; toccò anche a lui arruolarsi ma, siccome erano già morti molti pittori, fu tenuto lontano dal fronte con incarichi che gli permisero di continuare il suo incessante lavoro. Fu incaricato di fotografare gli aerei in caduta e dall’esperienza di osservazione del volo ne trasse ispirazione: tutto si trasformava in quadro.
Fu il periodo dei cosiddetti “quadri-poemi”, una ricerca stilistica che si avvicinava ai pittogrammi cinesi e agli ideogrammi che saranno un successo commerciale, perché molto originali e mai visti.
Anche l’aspetto sentimentale in Klee fu determinante nella vita e nell’arte: sposò Lily Stumpf nel 1906, anche lei musicista, assieme tutta la vita in un matrimonio felice, nato da un lungo fidanzamento dove si concessero ben otto anni per approfondire lei la musica, lui la pittura ed affermarsi come artista. Dalla corrispondenza conosciamo quanto Klee partecipasse alla moglie tutte le esperienze artistiche, le illuminazioni, le riflessioni. Dal matrimonio nacque il figlio Felix, che Klee accudì rimanendo a casa, immergendosi nella paternità e nella pittura, dipingendo in cucina, preparando raffinate pietanze e giocando con il bambino, mentre sua moglie lavorava fuori casa dando lezioni di piano. Davvero una coppia alternativa. Nei Diari troviamo le parole di un padre affettuoso che inventava e costruiva giochi, come un teatro delle marionette, di cui cucì anche i vestiti con i ritagli di stoffe degli abiti della moglie: mettendo passione e cura in tutto, la cucina fu il luogo del cibo per il corpo, ma anche del cibo per l’anima. Felix lo seguiva anche nelle uscite per la pittura en plein air, fu davvero un figlio fortunato, in tempi in cui la genitorialità era espressione di severità e delega a bambinaie.
Con la fine del conflitto mondiale Klee cessò di scrivere i Diari, la testimonianza del percorso di ricerca della sua personalità umana ed artistica, non ne aveva più bisogno, perché l’uomo ormai era identificato con l’artista e si dedicò soltanto a riflessioni teoriche sull’arte. Ormai era un pittore affermato, stimato da illustri artisti contemporanei, con alle spalle mostre ed un successo commerciale, ma era anche attento agli eventi storici, non amava gli ambienti borghesi e convenzionali, ai quali aveva preferito gli anarchici russi negli anni a Monaco, e nel periodo delle incisioni troviamo la satira rivolta all’omologazione borghese; partecipò persino alla Repubblica comunista di Monaco (1918-19) nel comitato di azione degli artisti rivoluzionari: “Metto a disposizione il mio lavoro, la mia forza e le mie conoscenze artistiche”. Grazie anche a questa scelta nel 1920 fu chiamato da Walter Gropius al Bauhaus di Weimar, la prima vera scuola d’arte contemporanea nel paese sconfitto nella Grande Guerra, il cui obiettivo era “creare una tendenza artistica radicale”, dove ritrovò l’amico Kandinsky, ammirò il pittore-fotografo Laszlo Moholy-Nagy e molti altri geni presenti che si facevano chiamare “maestri” e non professori; il Bauhaus fu un cantiere in corso, una comunità di rinascita, dove Klee insegnò al corso di tessitura, di legatoria, fu maestro di pittura e teoria del colore; non condivideva l’esoterismo teosofico e antroposofico e pur avendo un grande seguito tra gli allievi e le allieve, sia per il valore che dava alla formazione scientifica, sia per suo approccio multidisciplinare alla pittura, legata alla poesia e alla musica, riteneva che l’insegnamento gli sottraesse tempo al suo lavoro di pittore-ricercatore. Eppure era stato un vero educatore, rispettoso degli allievi che considerava suoi maestri, perché la cura didattica per preparare ogni lezione, lo spingeva a sistematizzare tutta la sua teoria della visione estetica: la ritroviamo nel testo Teoria della forma e della figurazione.
Dipingere era davvero un’esigenza interiore.
Gli anni del Bauhaus furono l’occasione per confrontarsi con il razionalismo e sistematizzare il pensiero teorico sull’astrattismo. Lo fece con una scrittura lirica, perché era il registro linguistico più adeguato per raccontare la genesi del mistero della creazione. Klee scrisse dell’arte: “non rappresenta il visibile, rende visibile ciò che non lo è”. Infatti l’artista formulò una sua teoria filosofica della visione con il saggio Vie allo studio della natura; per Klee “il vedere” era un’esperienza metafisica, cioè una sintesi della visione esterna e contemplazione interna; ma la cosa più interessante e moderna fu affermare che la creazione fosse una genesi che non poteva dirsi ancora conclusa e che il compito dell’arte fosse continuare il lavoro della genesi. Che meraviglie… dette nell’era nefasta del Positivismo!
Indagò anche l’astrattismo in maniera del tutto personale, perché mai abbandonò la figurazione, in quanto era interessato a comprendere le origini delle forme. Klee fu amato moltissimo dai filosofi, oltre che dai musicisti, colpì le menti più acute del ’900, soprattutto fece scattare un dibattito filosofico: Heidegger scrisse un capitolo sull’artista ne L’origine dell’opera d’arte, George Batailles, Massimo Cacciari gli dedica molte pagine ne L’angelo necessario, Focault lo riteneva più importante di Picasso.
Così nel 1931 lasciò il Bauhaus, anche perché l’era degli artisti visivi era finita: dopo Gropius a Dessau a dirigere la scuola fu Hannes Meyer che diede un indirizzo industriale al fine di progettare design di massa. Klee approdò alla meno impegnativa Accademia di Düsseldorf, ma ne fu cacciato nel ’33 dal regime nazista per sospette origini ebraiche, dopo aver subito anche l’umiliazione della perquisizione della sua casa a Dessau con la confisca di 119 opere, perché prodotte in una scuola pubblica ; costretto a riparare in esilio a Berna, rinnegò la nazionalità tedesca, ma quella elvetica sopraggiunse solo dopo la morte, in quanto ritenuto dalle autorità un artista bolscevico ed un intellettuale di sinistra, senza mai esserlo stato. Klee, come aveva affermato Gropius, “era l’estrema istanza morale del Bauhaus”, era stato un attento osservatore, ma non un attore. Comunque nell’opera Compagno di bevute, ma il titolo tedesco è Stammtischler, ovvero chi ha un tavolo fisso all’osteria, Klee risfodera la satira di un tempo, perché sia la caricatura che l’allusione alla birreria è rivolta ad Hitler e alla nascita del nazionalsocialismo.
Nel ’37 ben 17 sue opere furono esposte alla mostra dell’arte degenerata a Monaco.
Già nel ’35 si era ammalato gravemente di sclerodermia progressiva, che prima di portarlo alla morte, lo invalidò da dover rinunciare a suonare il violino, ma continuò a dipingere incessantemente fino all’ultimo giorno di vita, lasciando sul cavalletto un quadro incompiuto. Scrive Botta: “Non ha mai dipinto tanto come alla vigilia della morte, è un fiume in piena, come dominato dall’urgenza di creare, di finire il lavoro prima che sia troppo tardi”. Mai abbandonò la sperimentazione, eseguendo lavori con la tecnica dei “colori a colla”, ottenuti mescolando i colori con la caseina, l’uovo, l’olio per dipingere su svariati materiali: dal giornale alle stoffe, persino sul cartone da imballaggio. L’ultima pittura è sempre più semplificata: su estesi campi di colore a colla tracciava linee-forza nere sia sottili che spesse. Gli ultimi lavori emanano malinconia, nostalgia, perché era consapevole della vicina morte e sembrano echeggiare il Requiem di Mozart. Disegnò moltissimi “Engels” e Botta scrive di questi Angeli: “Sono imperfetti, domestici, umani. Essi rappresentano la dualità della natura umana. Come quelli che racconterà Wenders nel Cielo sopra Berlino, sono attratti dall’esperienza terrena”. Inoltre continuò, come aveva fatto tutta la vita, a catalogare la sua opera. Ricevette la solidarietà e le visite di artisti contemporanei come Braque, Kirchner, Kandinsky e Picasso. Morì nel giugno 1940 a 60 anni, oggi è sepolto come allora a Berna e lì si trova il museo a lui dedicato, Zentrum Paul Klee, progettato da Renzo Piano. Le sue opere sono nei più importanti musei del mondo.
“Il metodo Klee” è intramontabile… è il segreto del vivere.
Bibliografia di riferimento:
Paul Klee, Diari 1898-1918
Will Grohmann, Paul Klee
Gregorio Botta, Paul Klee. Genio e regolatezza
Clement Greenberg, Saggio su Klee
Massimiliano De Serio, La vita e l’arte di Paul Klee
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